Torino città del cinema
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ENCICLOPEDIA DEL CINEMA IN PIEMONTE

Lungometraggi



Dopo mezzanotte
Italia, 2003, HD-TV, 90', Colore

Altri titoli: After Midnight (UK), Despues de medianoce (Spagna), Ligo Meta Ta Mesanyhta... (Grecia), Torino, 24-Ji Kara No Koibito-Tachi (Giappone)

Regia
Davide Ferrario

Soggetto
Davide Ferrario

Sceneggiatura
Davide Ferrario

Fotografia
Dante Cecchin

Operatore
Marco Sgorbati

Musica originale
Banda Ionica, Daniele Sepe, Fabio Barovero

Suono
Gianni Sardo

Montaggio
Claudio Cormio

Effetti speciali
Grande Mela

Scenografia
Francesca Bocca

Arredamento
Luisa Iemma

Costumi
Paola Ronco

Trucco
Nadia Ferrari

Aiuto regia
Fernanda Selvaggi

Interpreti
Giorgio Pasotti (Martino), Francesca Inaudi (Amanda), Fabio Troiano (L’Angelo), Francesca Picozza (Barbara), Silvio Orlando (il narratore), Pietro Eandi (il nonno), Andrea Romero (il padrone del Fast Food), Giampiero Perone (Bruno, il metronotte), Francesco D’Alessio, Gianni Talia, Andrea Moretti (la banda della Falchera), Gianna Cavalla (ricettatrice), Claudio Pagano (guardia del corpo), Maurizio Vaiata (il cugino Maurizio), Ladis Zanini (Strizzapalle)

Casting
stripslashes(Lorella Chiapatti), Chiara Moretti

Direttore di produzione
Adelina Arcidiaco

Ispettore di produzione
Federico Mazzola

Produzione
Davide Ferrario per Rossofuoco

Distribuzione
Medusa

Note
Fim girato in HD-TV Sony Cinealta, poi passato in 35 mm.
Ricerche d'archivio e consulenza tecnica: Ivano Bellino; assistente operatore: Stefano Sampaolo; aiuto operatore: Antonio Scappatura; riprese 9,5mm.: Martino Pellion di Persano; suono Dolby Digital; montaggio del suono: Marco Giacomelli; microfonista: Elena Denti; assistente al montaggio: Giorgio Grosso; assistente scenografa: Luisa Jemma; assistente costumista: Rossella Tarantino; sarta: Serena Barboni; assistenti alla regia: Luca Grivet Brancot, Andrea Zambelli; altri interpreti: Ivan Negro (Ivan), Lidia Streito Misdim (ragazza indonesiana), Alberto Barbera (Direttore del Museo del Cinema); organizzatore generale: Ladis Zanini.
Film realizzato con il sostegno di Lumiq Studios e Film Commission Torino Piemonte.
Il film è stato distribuito nelle sale nel 2004.
 
Al termine del film compare questa didascalia: “Dedicato a Maria Adriana Prolo e Buster Keaton”.

Locations: Torino (Mole Antonelliana, Cineteca in via Sospello, Circolo sportivo “Gli Amici del Po”, Lungopo, piazza del Municipio, piazza Bodoni, via Po, ex Stazione ferroviaria Stura, Palazzo Chiablese, Quartiere Falchera).

Premi: Caligari Film Preis e Don Quixote Award del Forum Berlinale 2004 a Davide Ferrario; Premio Internazionale Flaiano 2004 a Davide Ferrario come Miglior Film, a Giorgio Casotti come Miglior Attore, a Francesca Inaudi come Miglior Attrice, a Claudio Cormio come Miglior Montaggio; Grolla d’Oro 2005 per l’innovazione; David di Donatello 2005 per i Migliori Effetti Speciali Visivi.
 
 




Sinossi
Martino è custode notturno del Museo Nazionale del Cinema di Torino nella Mole Antonelliana, ove  passa il tempo a visionare vecchi film muti ed a fare egli stesso delle riprese con una vecchia cinepresa ad 8 millimetri. Abita in un locale all'interno dell'edificio, che ha arredato imitando un film di Buster Keaton. Una sera Amanda, una ragazza che lavora in un fast food, per sfuggire alla polizia cerca rifugio nella Mole. Nell'insolito ambiente i due personaggi iniziano una strada convivenza, finché Amanda torna dal fidanzato Angelo - capo di una buffa gang di periferia - ma non vuole rinunciare a Martino...



Dichiarazioni
«Torino è un set straordinario nella sua molteplicità, che va dalle periferie industriali alla Mole, pensata come sinagoga dall’Antonelli, che era una specie di Renzo Piano dell’epoca, ma mai utilizzata… un sogno che oggi, con Museo del Cinema, si è riempito di sogni» (D. Ferrario, “Tam Tam Cinema”, 16.4.2004).

«[…] nell’estate del 2002 mi ritrovai con [alcuni] progetti finiti male e senza nessuna reale prospettiva. E contemporaneamente con la necessità quasi fisica di fare un film di finzione. […] Così feci quello che la mia indole bergamasca mi ha sempre portato a fare in situazioni di stallo. Invece di mollare, rilanciai. […] Guardai il mio conto in banca […] Feci due conti e decisi di produrmi un film da solo, date certe condizioni economiche e produttive, cioè non spendere più di 250.000 euro. […] [La storia non è] motivata da un personaggio, bensì da un luogo: la Mole Antonelliana. Non so come ci pensai, fu una specie di folgorazione. Si trattava di un luogo estremamente suggestivo in sé – e poi era il Museo del Cinema. Ed era proprio lì, sotto casa. Data la ristrettezza del budget, fare un film “torinese” era fondamentale. Torino era l’unica città, fuori da Roma, che, oltre a fornire la storia, poteva fornire un supporto produttivo in termini di maestranze, professionalità, strutture. Per non parlare della Film Commmission e dell’esistenza di uno studio digitale come il Lumiq, che mi fornì la telecamera. Già, perché a quel punto mi ero rimesso in contatto con Dante Cecchin e gli avevo chiesto se aveva voglia di gettarsi in questa nuova avventura. Facemmo dei test di ripresa alla Mole in vari formati digitali e optammo per l’HD. […] In verità una sceneggiatura del film non è mai esistita. C’erano dodici pagine con un breakdown di scene. Abbiamo lavorato a moduli. […] Abbiamo girato solo quattro settimane. Però è davvero andata così.. Alla fine il cinema può essere una cosa semplice se vivi la penuria di mezzi come libertà creativa. E naturalmente non bisogna dimenticare che io credo che il cinema sia soprattutto montaggio» (D. Ferrario, Il cinema è un’invenzione senza futuro, Voir Trade, Moncalieri, Torino, 2005).

«Ci sono dentro i film muti di Pastrone, Buster Keaton, l'Alta Definizione e le marce funebri della Banda Ionica, della Banda di Avola, le musiche di Fabio Barovero e quelle di Daniele Sepe. Un paradosso? Non lo è da sempre, il cinema?» (D. Ferrario, dal Pressbook del film, 2003).

«Fin dall'inizio pensavo a un custode che non parla con nessuno, non solo ma non ha neanche voglia di parlare con qualcuno. Il mio custode doveva avere unn atteggiamento imperturbabile, keatoniano appunto, rispetto alle cose del mondo. Non volevo una recitazione da cinefilo. Martino non è uno che conosce i tiutoli dei film, vede semplicemente dei film, vede delle cose, delle facce e da quelle impara. A lui non  frega niente avere un'opinione su Keaton» (D. Ferrario, in A. Maraldi, a cura, Il cinema di Davide Ferrario, Il Ponte Vecchio, Cesena, 2007). 






«Se un merito può essere riconosciuto a Davide Ferrario è quello di non farsi ripetitivo e di essere coerente nell’incoerenza dei suoi film. [...] Dopo mezzanotte è anzitutto un omaggio al cinema, non solo per il luogo in cui viene ambientata la maggior parte delle situazioni, non solo per le citazioni sparse di reperti del muto [...] ma anche per l’amore manifestato nei confronti del mezzo. Che è gestito a 360°: dalle riprese in alta definizione (che consentono di muoversi agevolmente in ambienti poco illuminati o comunque a luce naturale) [...] agli inserti del passato cinetecario» (L. Pellizzari, “Cineforum”, n. 5, giugno 2004).
 
«[...] le vedute della città di inizio Novecento si alternano con quelle della città di inizio Duemila in un intreccio che se talvolta rischia un certa meccanicità didascalica (ma d’altronde proprio le didascalie sono parte integrante del muto), più spesso crea ponti poetici sul presente estremo di ogni sentimento vero, sia esso per un uomo o una donna, per un luogo, un volto, un film, un’idea. [...] Ferrario inanella continuamente scene alla Godard, che destrutturato il racconto in senso straniante o inseriscono picchi drammatici in bilico tra il tragico e il grottesco, come accade per la sparatoria [...]. Usa la vertigine della Mole come location privilegiata, ma la confronta continuamente con gli orizzonti piatti del Po invernale o dell’estrema periferia della Falchera. [...] Usa le suggestioni pauperistiche del visivo puro, con scorci da cinema muto contemporaneo [...] ma anche elaborate costruzioni prospettiche, luministiche e cromatiche che sfruttano al meglio l’elasticità dell’Alta Definizione e indicano una possibile via di sintesi tra la precisione visiva del cinema e l’elasticità dinamica del digitale. Fa vivere il suo film di sguardi intensi, panorami che assumono frontalmente l’immagine da cartolina (inevitabile se ci si mette la Mole) e la rielaborano di continuo, scorci urbani e umani che denotano una profonda architettura dello sguardo, nel dna di un regista che da sempre fa cinema che documenta e rielabora le superfici del visibile e trova forse in questo la sua coerenza più profonda [...]. Infine, in un film così visivo e bello da vedere in senso proprio, che recupera la magia e la meraviglia del guardare che forse era la vera specificità del cinema delle origini e del muto, le orecchie sono continuamente solleticate dalle rielaborazioni etno-funebri della Banda Ionica [...], dai ritmi colti e caldi di Daniele Sepe, dalle melodie sinuose di Fabio Barovero il più mistico dei Mau Mau» (M. Marangi, “Cineforum”, n. 5, giugno 2004).
 
«Sul piano della realizzazione, Ferrario e l’operatore Dante Cecchin lavorano interamente in alta definizione digitale, con risultati di impasto, luminosità e nitore cromatico di notevole rilievo. Nel plot narrativo abbiamo invece altri livelli, mixati, di prospettive estetiche che sono soprattutto omaggi: al cinema-rifugio, al cinema-visione totalizzante, al cinema-testimone e documento e al cinema-immagine come (insieme) sogno, realtà e valore. [...] Un’opera terminata in sole quattro settimane, che ha la voce narrante fuori campo, da racconto fiabesco, tipo il Pinocchio di Comencini, di Silvio Orlando e propone, esteticamente e operativamente, una mescolanza ricca di spunti riflessivi (sviluppo storico e tecnico, ma fondamentale unitarietà nel tempo della fascinazione, delle magie e dei valori del cinema/cinematografo) tra cinema delle origini e strumenti elettronici oggi più avanzati. [...] E ci piace molto riscontrare che, otre alla magia del tono di narrazione all’interno della Mole e del Museo, Ferrario, in certi campi lunghi di “personaggio” (Amanda) “calato nell’ambiente” (il quartiere i poveri spazi aperti di periferia, laggiù in lontananza le case popolari della Falchera) sa far vibrare come nessun altro finora la visualità e il sentimento-sentire del paesaggismo d’anima che fu di Michelangelo Antonioni» (R. Gilodi, “Cinemasessanta”, nn. 3/4, 2004).

«Après minuit est un film régressif pour trentenaires de gauche en duffle-coat. Film climatisé, moelleux, claquemuré dans la mythologie rance de la “magie du cinéma”. La vague idée de l’existence d’un monde au-delà du cercle dessiné par tros vies minuscules ne perce qu’une fois l’écran angélique: e cul sur e trottoir, L’Angelo voit passer devant ses yeux le sourire menaçant de Berlusconi placardé sur le flanc d’une volture publicitaire. On avait oublié: c’est aussi un film politique. Le Condottiere peut se le passer en boucle, il ne fera pas de cauchemar» (C. Neyrat, “Cahiers di Cinéma”, n. 603, juillet/août 2005).

«La scelta degli interpreti Giorgio Pasotti, Francesca Inaudi, Fabio Troiano, non è certo un merito minore di Dopo mezzanotte di Davide Ferrario [...] È invece una sorpresa e un piacere poter vedere facce così belle e integre, immuni da ogni contagio della volgarità banale, delinquenziale o bordellesca dell'estetica televisiva, senza manierismi né artifici superflui, perfette per i personaggi d'un film geloso, misterioso, elegante. Il luogo della storia è la Mole progettata dall'architetto Antonelli nel 1863 a Torino bellissima, emblema delle geometrie e magie della città, oggi sede del Museo del cinema. [...] Nella danza dei numeri, Torino vista dall'alto della Mole toglie il respiro. Alla fine gli innamorati s'allontanano: come Charlot e Paulette Goddard, escono dalla narrazione condotta dalla voce rauca di Silvio Orlando, dal film molto bello» (L. Tornabuoni, “La Stampa”, 25.4.2004).

«Dopo mezzanotte è un esempio di cinema a basso costo così riuscito e vitale che andrebbe studiato nelle scuole. [...] La trama è, anzi sembra appena un pretesto, ma Ferrario gioca a carte scoperte. E recupera uno spirito giocosamente nouvelle vague convocando nel suo film girato in alta definizione le suggestioni più disparate. Gli incanti del cinema muto e i numeri di Fibonacci, perché il custode si intende pure di matematica; la Torino storica e quella delle periferie; un pizzico di giallo e uno di kung fu. Il resto lo fanno la freschezza degli interpreti, i giochi del caso e dell'amore, l'estro, la leggerezza e insieme la serietà con cui il film scava, senza parere, nei sentimenti dei suoi personaggi. Un antidoto al tanto cattivo cinema italiano che sbandiera gli incassi in mancanza d'altro» (F. Ferzetti, “Il Messaggero”, 23.4.2004).

«Cinema in digitale, schizzato con la biro, mano leggera, elegante e ironica, piccolo budget e grande cuore: quando si rinnovano gli strumenti tornano le nouvelles vagues, corredate di citazioni. Come nella commedia-puzzle sentimentale di Ferrario Dopo mezzanotte, dove il solitario protagonista è come vivesse un ménage a tre: l'amore, la realtà-spot e il cinema-sogno con riferimenti ottimi e abbondanti, non intellettualistici. Ferrario racconta bene l'eterna e dolce ambiguità dell'amore. Il suo film non è solo un corpo a corpo tra la vita deludente e l'illusione, ma anche un omaggio alle misteriose notti torinesi (la città rivive in antichi spezzoni) e una glossa ai disagi generazionali» (M. Porro, “Corriere della Sera”, 24.4.2004).

«Cinema in digitale, schizzato con la biro, mano leggera, elegante e ironica, piccolo budget e grande cuore: quando si rinnovano gli strumenti tornano le nouvelles vagues, corredate di citazioni. Come nella commedia-puzzle sentimentale di Ferrario , dove il solitario protagonista è come vivesse un ménage a tre: l'amore, la realtà-spot e il cinema-sogno con riferimenti ottimi e abbondanti, non intellettualistici. Ferrario racconta bene l'eterna e dolce ambiguità dell'amore. Il suo film non è solo un corpo a corpo tra la vita deludente e l'illusione, ma anche un omaggio alle misteriose notti torinesi (la città rivive in antichi spezzoni) e una glossa ai disagi generazionali» (M. Porro, “Corriere della Sera”, 24.4.2004).

«Cinema in digitale, schizzato con la biro, mano leggera, elegante e ironica, piccolo budget e grande cuore: quando si rinnovano gli strumenti tornano le nouvelles vagues, corredate di citazioni. Come nella commedia-puzzle sentimentale di Ferrario , dove il solitario protagonista è come vivesse un ménage a tre: l'amore, la realtà-spot e il cinema-sogno con riferimenti ottimi e abbondanti, non intellettualistici. Ferrario racconta bene l'eterna e dolce ambiguità dell'amore. Il suo film non è solo un corpo a corpo tra la vita deludente e l'illusione, ma anche un omaggio alle misteriose notti torinesi (la città rivive in antichi spezzoni) e una glossa ai disagi generazionali» (M. Porro, “Corriere della Sera”, 24.4.2004).

«Davide Ferrario con Dopo mezzanotte dimostra di essere un autore interessante e originale. Cambiando, infatti, registro rispetto agli alterni titoli precedenti, il regista rifinisce in alta definizione digitale una commedia insieme romantica e materialista, francese e autarchica: nei meandri della torinese Mole Antonelliana e dell'annesso, prestigioso Museo del cinema riesce a fondere con grazia lo spirito dei pionieri della settima arte in quello di un motivato sperimentalismo neo-surrealista» (V. Caprara, “Il Mattino”, 24.4.2004).

«Un piccolo film squisito, che valorizza tutto quello che tocca. La città di Torino, l'idea di cinema come consolazione della vita, i giovani attori. Appassionatamente autoprodotto dal regista Davide Ferrario, ma impreziosito dalla tecnologia dell'alta definizione che ne raccomanda la visione su schermo grande» (P. D'Agostini, “la Repubblica”, 24.4.2004).

«Dopo mezzanotte è un perfetto, leggiadro esempio di piccolo dramma all'italiana in dolce stil novo, una sorta di risposta-presentazione della giovane generazione sia a Jules e Jim che a Dreamers» (R. Silvestri, "il manifesto", 10.2.2004).

«[In Dopo mezzanotte] l'inquietante "metropoli" torinese di Tutti giù per terra […] si fa sintesi di un mondo magico e incantato che trova la sua perfetta espressione architettonica nella Mole Anfonelliana, sede del Museo Nazionale del Cinema, in cui si ambienta la maggior parte della narrazione. Laddove, in Tutti giù per terra, la novità tecnica e stilistica era rappresentata dall'impiego dell'editing digitale, Dopo mezzanotte segnala per Ferrario il salto nel mondo della ripresa numerica in alta definizione. Più il regista spinge, tuttavia, sul "pedale" detta tecnologia, più sembra celebrarsi la nostalgia dell'immagine fotochimica e delle sue imperfezioni mediante il richiamo ad un'estetica esplicitamente rétro. Non a caso, insieme con Busfer Keaton, sono i fratelli Lumière i punti di riferimento detta cinefilia del protagonista Martino (Giorgio Pasotti), quel loro piazzare le cineprese per le strade, nelle stazioni o all'uscita delle fabbriche per far vedere "le cose così come sono". Metalinguisticamente il film di Ferrario mette così in quadro luoghi caratteristici di una Torino nella quale torna in gioco una dialettica tra antico e moderno, tra centro e periferia, da cui dipende la stessa dinamica di interazione all'interno del truffautiano trio di personaggi: secondo tale prospettiva, la Mole in cui risiede Martino si fa vero e proprio centro di gravità intorno al quale finiscono per orbitare fatalmente Amanda (Francesca Inaudi) e l'Angelo (Fabio Troiano), entrambi provenienti dalla Falchera, quartiere situato nell'estrema periferia della città» (C. Uva, “Quaderni del CSCI” n. 6, 2010).




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