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ENCICLOPEDIA DEL CINEMA IN PIEMONTE

Lungometraggi



Hans
Italia, 2005, 35mm, 98', Colore


Regia
Louis Nero

Soggetto
Louis Nero

Sceneggiatura
Louis Nero

Fotografia
Louis Nero

Operatore
Pasquale Garioz

Musica originale
Tiziano Lamberti

Suono
Claudia Trapanà, Tiziano Lamberti

Montaggio
Louis Nero

Effetti speciali
Stefano Messina

Scenografia
Claudia Trapanà, Louis Nero

Costumi
Francesca Cibischino

Trucco
Giulia Accornero

Interpreti
Daniele Savoca (Hans Schabe), Simona Nasi (Rita Fox), Franco Nero (barbone e giudice), Silvano Agosti (barbone), Eugenio Allegri (malato), Caterina De Regibus (infermiera), Lola Gonzales Manzano (madre di Hans), Sax Nicosia (presentatore tv), Walter Succu (presidente del tribunale / procuratore), Giuseppe Cesario (Prof. Wittemberg / avvocato difensore), Mattia Audisio (Hans bambino), Vanessa Giuliani (professoressa), Mina Cuozzo (infermiera), Diana Dell’Erba (cameriera), Giusto Lo Piparo (padre)

Casting
Sabrina Rubino, Gian Maria Colombo, Walter Maravillo, Francesca Brizi

Produzione
L’Altrofilm Produzioni

Note
Collaborazione alla sceneggiatura: Adriano Cavallo; autore del monologo del barbone: Silvano Agosti; assistente alla fotografia: Alvise Pasquali; assistenti operatore: Danide Carbonari, Antonio Trullo; fotografo di scena: Irene Beltrame; suono in presa diretta Dolby Digital; montaggio e ottimizzazione suono: Paolo Bozzola; assistenti al montaggio: Claudia Trapanà, Stefano Messina; assistenti alla regia: Stefania Bonatelli, Anita Galfrè; altri interpreti: Basilio Pappadà (Hans adolescente), Severino Lupo (Dr. Freud), Andrea Ward (voce Dr. Freud), Massimo Corelli (Dr. Jung) Luca Ward (voce Dr. Jung / voce folletto), Maurizio Morello (Dr. Hillman), Antonio Angrisano (voce dr. Hillman), Savino Genovese (dirigente), Alessandro Amaducci (dirigente), Cosimo Crucitti (dirigente), Antonella Peretto (Marta), Claudia Trapanà (partoriente), Stefania Bonatelli (partoriente), Francesca Cibischino (cadavere), Annalisa Monculli (donna del sogno), Franco Urban (voce barman), Raoudha Massaoudi (prostituta), Cedric Kibongui (cliente prostituta), Ezio Bodo (folletto), Carlo Gerbino (infermiere), Giulia Accornero (infermiera), Antonio Trullo (malato), Timothy Keller (malato), Stefano Messina (malato), Daniel Isabella (malato), Franco Cardamone (malato), Luca Ghignone (malato), Michele Iannitti (malato), Ferdinando Tiani (malato), Fabio Masetto (malato), Louis Nero (malato); segretaria di edizione e di produzione: Anita Galfrè; location manager e assistente alla produzione: Franco Beltrame.
 
Film realizzato con il sostegno di Film Commission Torino Piemonte.




Sinossi
Hans Schabe è un soggetto disturbato fin dalla giovane età, a causa di una predisposizione ereditaria e dei comportamenti psicotici della sua famiglia. La sua paranoia evolve col tempo in una fobia verso i rifiuti e la loro crescita spaventosa che nella sua mente si associa alla presenza numerosa della popolazione di colore, suscitando tutto il suo odio. Alcuni anni dopo, Hans sembra essere guarito e lavora in una società che si occupa dello smaltimento dei rifiuti. Ma un giorno, di ritorno a casa, riemergono con forza le sue fobie.




Dichiarazioni
«Bisogna fare una premessa, ossia che è il terzo film di una trilogia incentrata sul linguaggio cinematografico. Prendere come tema principale la pazzia per il mio terzo lavoro, visti i precedenti, era sicuramente il modo migliore per avere delle libertà creative che avessero una vicinanza con il contenuto stampato. Quindi lo studio al personaggio di Hans è la genesi della sceneggiatura che ho scritto tanti anni fa, quando avevo 17 anni, è stata rielaborata cambiata e dopo tanto tempo siamo riusciti a produrre il film e a portarlo sullo schermo. Ho cercato di far sentire le sensazioni non usando parole o situazioni ma l'inquadratura per suscitare emozioni. Ossia per far sentire la paura faccio un'inquadratura che esprima paura e non una situazione paurosa. È proprio un lavoro sul linguaggio» (L. Nero, www.fctp.it).
 
«Ho avuto la grande fortuna di vivere in Inghilterra grazie a mia moglie, Vanessa Redgrave, e ho avuto la fortuna di essere amico dei più grandi attori inglesi, tra cui Lawrence Oliver. Lawrence una volta mi disse che con il mio fisico avrei potuto fare sempre il protagonista, l'eroe, però sarebbe stata una carriera monotona perché avrei dovuto fare un film l'anno, commerciale, sempre lo stesso personaggio e augurarmi che avesse tanto successo. Per cui avrei dovuto scegliere se fare la star oppure fare l'attore, rischiare cambiando ogni volta personaggio divertendomi. Mi disse anche che ci sarebbero stati alti e bassi ma poi avrei avuto i miei frutti. Mi sono cimentato in tutti i generi, penso di essere l'unico attore italiano che ha lavorato in tutti i generi cinematografici. [...] Quando ho incontrato Louis Nero mi è rimasto molto simpatico e ho letto il suo copione. Lui mi ha proposto la parte del giudice, ma non era abbastanza. Io gli ho fatto una controproposta, ossia quella di fare un'operazione più completa e allora parlando ci siamo inventati questo ruolo del barbone. In questo modo interpreto due ruoli completamente opposti. Uno dei quali ho voluto fare perché io ho avuto sempre una grande simpatia per i barboni sin dall'infanzia e per fare un certo discorso politico, perché il monologo del film è fatto ad un piccione bianco quello che dico è talmente forte che è bella questa contrapposizione tra le parole e il candore del piccione. Parlo dei manicomi, da bambino andavo in un paesino vicino dove c'è il manicomio e ho visto delle cose tremende e ho sempre avuto questo incubo in tutta la mia vita e allora ho pensato che fosse il momento giusto per fare in un film questo tipo di discorsi» (F. Nero, 3.9.2005, www.filmup.leonardo.it).





«Louis Nero [...] ha affrontato uno dei temi più difficili al cinema: la schizofrenia, il disturbo mentale, la paranoia, facendone anche una metafora del razzismo quotidiano verso le persone di colore, guardando “il razzismo dalla parte del razzista” con stile evocativo ed eloquente del tutto personale. Se il regista deve mettere in scena due scienziati essenziali (Freud, Jung), li fa interpretare da ragazzi down; se deve dare un cognome al suo protagonista [...] lo chiama Schabe, che n tedesco significa blatta, scarafaggio. [...] Film inconsueto, non sempre semplice da comprendere, a suo modo affascinante, introduce un’ottica diversa, un modo nuovo di affrontare anche i problemi sociali: svolge quindi la funzione che dovrebbe essere tipica del cinema giovane» (L. Tornabuoni, “La Stampa”, 17.2.2006).
 
«Digitale spintissimo, interni soffocanti, recitazione che supera il limite dell'atto performativo fine a se stesso, Hans è cinema dalle enormi pretese teoriche che sfiora da molto lontano la materia, umana e non, messa in scena. Freddo e distanziante, venato di nostalgia per un modo di fare cinema che non è mai sbocciato nemmeno negli anni ‘70» (da.tu., “Segnocinema” n. 141, settembre-ottobre 2006).
 
«Il lungometraggio trae ispirazione dall’incontro tra il teatro dell’assurdo di Adamov e le teorie freudiane sull’isteria. Il film analizza una paranoia e la sua evoluzione in un individuo altamente disturbato, il protagonista Hans Scabe. La schizofrenia viene raccontata a partire dall’infanzia di Hans fino alla sua morte. Non è analizzata in terza persona o da un punto di vista esterno, come nella maggior parte dei film che trattano questo tema, ma in prima persona. Lo spettatore è quindi partecipe delle visioni e dei sentimenti che prova Hans quando si trova in stato di allucinazione. Egli è un soggetto disturbato fin dalla giovane età, a causa di una predisposizione ereditaria, e dei comportamenti psicotici della sua famiglia : il padre malato mentale cronico è succube della moglie; la madre è una donna dai costumi "particolari". In età adulta, la malattia di Hans regredisce al punto da raggruppare le paure e gli odi di tutta la società in cui vive, dove la discriminazione razziale è molto radicata e condivisa dai detentori del potere giudiziario. La paranoia di Hans con gli anni evolve in una fobia verso i rifiuti e la loro crescita spaventosa, fino alla conclusione che il mondo sta accumulando tutti quei rifiuti per farglieli, un domani, ingurgitare tutti. Un giorno, mentre sta guardando un documentario sulle popolazioni di colore, la sua malattia lo porta ad associare la presenza così numerosa della popolazione di colore alla produzione dei rifiuti, concludendo che i neri ne sono direttamente responsabili, e che quindi lo vogliono uccidere e fargli ingurgitare tutti i rifiuti della Società. Il suo odio si dirige verso di loro. Alcuni anni dopo, Hans sembra essere guarito e, grazie all’aiuto di uno psichiatra, risolve apparentemente i suoi problemi mentali. Nel corso del film appariranno tre psichiatri molto importanti (Dott. Freud, Dott. Jung, Dott. Hillman), interpretati da tre ragazzi down. Hans Schabe dirige ora una società che si occupa dello smaltimento dei rifiuti. Un giorno, di ritorno a casa, uno stimolo esterno fa riemergere con più forza di prima le sue fobie, Inizia quindi a vagabondare per le strade della città dove le sue visioni si mescolano alla realtà. Nei giorni seguenti vede in un vicolo una coppia di persone di colore che fa l’amore, istintivamente decide di malmenarli e di violentare la donna. Dopo alcune ore viene ritrovato dalla polizia nella sua abitazione in stato d’incoscienza, e immediatamente viene portato in galera e subito processato. Il processo è più immaginario che reale. Durante il dibattimento in tribunale emerge chiaramente, sia tra il pubblico ministero, sia tra gli avvocati e lo stesso giudice, l’odio nei confronti delle persone di colore, quasi al punto da assolvere il protagonista. Quando però il giudice capisce che l’imputato, per salvaguardare la propria incolumità, sarebbe disposto ad uccidere qualsiasi persona, anche di razza bianca, viene immediatamente condannato e rinchiuso in manicomio. In manicomio la sua malattia raggiunge il culmine: quando un’infermiera di colore entra nella sua cella per portargli da mangiare, viene violentata ed uccisa; dopo alcuni minuti e dopo aver avuto un’altra visione, Hans Scabe si ritrae verso uno specchio dove vede la sua immagine riflessa con un volto di una persona di colore, e su questo interrogativo termina il film. Hans, anti-eroe per eccellenza, è una vittima della Società e con il suo sacrificio ne diventa anche il capro espiatorio. La volontà di trattare "il razzismo dalla parte del razzista", muove dal presupposto di sottolineare con maggior efficacia questa terribile condizione di pregiudizio e di discriminazione, nel momento in cui sembra che il cinema "ufficiale" faccia finta che questo tema sociale appartenga al passato, volgendo lo sguardo verso temi differenti e più superficiali. Hans Scabe (dal tedesco scarafaggio) è una sorta di anti-eroe moderno. Non cerca di accattivarsi la benevolenza altrui tramite azioni moralmente degne, ma sprona lo spettatore a interrogarsi sui propri limiti e sulle proprie riprovevoli pulsioni. Hans è un personaggio xenofobo e violento e le sue azioni tendono a scatenare la rabbia del pubblico che è spinto a disprezzarlo e nello stesso tempo a riflettere sulle tematiche del razzismo e dell’emarginazione» (dalle Note di Produzione, 2005). 




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