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ENCICLOPEDIA DEL CINEMA IN PIEMONTE

Persone



Maurizio Orlandi

Massa Marittima (Grosseto), 1958
Regista
Vive a Torino, dove insegna Storia e Italiano in un Liceo Classico. Nel 1997 si avvicina agli audiovisivi ideando e scrivendo sceneggiature che, diventate in un primo momento documentari diretti da altri registi, vengono presentati al Torino Film Festival ed ad altri festival cinematografici nazionali. Partendo dalla sua esperienza professionale, profondamente connotata da un’impostazione didattico-culturale finalizzata all’insegnamento della storia come strumento di conoscenza del passato e di trasmissione della memoria alle giovani generazioni, nel corso degli anni organizza lavori di ricerca con i suoi allievi su argomenti come il fascismo, la guerra, la Resistenza, lo sterminio degli ebrei e degli zingari nei lager nazisti ed ancora sulla lotta armata degli anni Settanta. Nel 2000 fonda, con Davide Trinchero, con il quale nasce una proficua collaborazione professionale, l’Associazione Culturale Laboratorio Novecento, nell’ambito delle cui iniziative si fa promotore di rassegne cinematografiche, teatrali e fotografiche a Torino e in altre città italiane. Nel nel 2001 esordisce nella regia con un documentario sulla Resistenza a Torino, Quei ragazzi del borgo del fumo, che riceve il  primo premio nella sezione documentari del Torino Film Festival. Nel 2005 dirige Il bandito della Barriera (Storia di Piero Cavallero), documentario che racconta la storia del capo di quella Banda di malviventi che nei primi anni Sessanta rapinò varie banche in Piemonte e Lombardia, lasciando dietro di sé una lunga scia di morti e feriti Alcuni dei suoi lavori sono stati acquistati da canali televisivi italiani e stranieri (Rai, Planet, La7). Nel 2009 partecipa con il cortometraggio “048” Esenzione ticket malati oncologici al film collettivo Walls and Borders.





Ho lavorato da sempre sulla storia, non quella con la esse maiuscola, ma, diciamo, quella della gente, quella fatta dalle persone semplici, quasi sempre dimenticate. Per questo, fin dai miei primi lavori, ho privilegiato le "fonti orali", i racconti, le testimonianze di tutte quelle persone che hanno per me rappresentato innanzitutto un'indicibile e straordinaria esperienza umana, nonché una preziosissima condizione per la ricostruzione del passato, che io ho sempre finalizzato al recupero della "memoria" storica e degli insegnamenti che dalla storia dobbiamo trarre. Ho scritto tanti racconti, tante storie di persone, molte dimenticate, forse troppe, dalla storia ufficiale; storie semplici e normali che sono poi diventate sceneggiature di documentari diretti in un primo momento da altri registi, come Pier Milanese e Chicca Richelmy, che mi hanno dato la possibilità di imparare un po’ questo mestiere. Nel 2001 ho fatto il mio esordio nella regia video, con un documentario sui partigiani del quartiere della Vanchiglietta; in seguito, ho lavorato sugli zingari e sulle discriminazioni e persecuzioni subite da questo popolo nel corso del Novecento; sulle miniere e sui minatori della Toscana e del Canavese, qui in Piemonte; sugli anni Settanta, gli anni "caldi e divertenti" di un gruppo di amici legati ancora dall'amore per il calcio, per la voglia di stare insieme e, forse, per una comune visione del mondo... Fino all'ultimo lavoro, quello su Piero Cavallero, il capo dell'omonima Banda che negli anni Sessanta fece tanto parlare di sé in tutta Italia. Un documentario diverso dai precedenti, sia per lo stile narrativo, sia per le scelte registiche, sia per la tecnica di riprese: un linguaggio cinematografico diverso, attraverso il quale ho cercato di raccontare la storia di un personaggio controverso e misterioso, sicuramente diverso da come il Piero Cavallero, il bandito della Barriera di Milano, fino ad oggi ci è stato sempre presentato dal cinema e dai mass media.









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