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ENCICLOPEDIA DEL CINEMA IN PIEMONTE

Lungometraggi



Si fa così...
Italia, 1934, 35mm, 67', B/N


Regia
Adriano Giovannetti

Soggetto
Adriano Giovannetti

Sceneggiatura
Adriano Giovannetti, Giovanni Morvilia, Luigi Movilia

Fotografia
Luigi Fiorio

Musica originale
Julio Franco

Montaggio
Adriano Giovannetti

Scenografia
Celeghin, Pifferi

Aiuto regia
Giovanni Movilia, Luigi Movilia

Interpreti
Tino Bianchi, Bianca Stelo, Kathryn Berg [Rina Maggi], Emma Campi



Produzione
Torino Film

Distribuzione
Torino Film

Note
Il film è stato girato negli stabilimenti della Leonardo Film, Torino.
Locations: Torino, Balme, Valli di Lanzo.




Sinossi
Quattro studenti dell’Università di Torino si sono promessi reciproco aiuto in qualsiasi momento della loro vita. Accade che uno di loro, perdutamente innamorato della bella figlia di un ricchissimo commerciante di vini, si faccia passare per il figlio di un altrettanto facoltoso produttore di vini francesi. Per conquistare il padre della ragazza si reca fino a Sanremo, alla villa dell’uomo, ma l’imbroglio viene scoperto. Il ragazzo, aiutato dai tre amici, fa di tutto per riconquistare la fiducia del padre della ragazza e, aiutato dai sentimenti che prova per la giovane, riesce a convincere l’uomo a concedergli la figlia in sposa.





«No, così non si fa un film. Così si sciupano danaro, pellicola, tempo. E si stanca il pubblico, il quale il cinematografo vuole del cinematografo e non esercitazioni più o meno infantili e goffe. [...] Soggetto, sviluppo, montaggio, inquadrature: tutto è spaventosamente sciocco e banale. Non ci sono un’idea, una fotografia, uno scorcio degni d’essere salvati. Si naviga nell’improvvisazione e nella mediocrità. Le voci ed i  suoni sono stati appiccicati dopo la realizzazione del film che è stato girato muto. [...] Ci rifiutiamo di catalogare fra i film italiani questo film italiano. Lo dimentichiamo per carità di patria. E ci permettiamo di segnalare alla censura un compito che  forse non ha ancora voluto tener presente. La censura deve giudicare non soltanto in sede morale e politica, ma anche in merito artistico. C’è una indegnità artistica che può essere più grave di quella morale, perchè avvilisce il gusto, l’educazione la tradizione italiana»(F. T. Marinetti, “Gazzetta del Popolo”, 7.3.1934).
 
«Ancora ricordo quando i ragazzi della neonata Torino-Film m’invitarono a visitare il loro cantiere. Avevano affittato per tre settimane il capannone della vecchia Leonardo, rimasto intatto; anzi, quando vi entrarono, vi trovarono ancora montata, e coperta d’una veneranda polvere, l’ultima scenografia dell’ultimo film che anni addietro vi era stato girato. Il primo lavoro di questi direttori, attori, scenografi, parecchi dei quali avevano da poco varcata la ventina, il loro primo lavoro fu dimettersi a scopare quello che per venti giorni sarebbe stato il teatro delle loro imprese. Pochissimi i quattrini, moltissimo entusiasmo; e vedendoli fervidi, alacri, sorridenti, che bella cosa, pensavo, se da questo capannone potesse uscire almeno un filmetto garbato, intelligente, pulito. Sarebbe già sufficiente; e dimostrerebbe a usura come nel regno della celluloide non sempre siano indispensabili milioni e milioni di dollari. Giunsero poi le prime fotografie, i primi comunicati; e volentieri pubblicammo fotografie e quasi interviste, come era nostro dovere di fronte a un’iniziativa che si presentava assai giovane e volenterosa. Oggi il film lo si può vedere sullo schermo; e purtroppo anche le più modeste speranze ne sono deluse. Non si tratta di avere vocazioni più o meno spiccatamente cinematografiche, di avere più o meno  genialità, più o meno qualcosa da dire; qui si tratta, troppo sovente, di ignorare quali siano i più elementari principi con i quali devono essere adoperati obiettivo e microfono. Il cartellone afferma: Si fa così; noi sommessamente potremmo soggiungere: non è così, che si fa del cinema; e soprattutto non è così che deve essere fatto un film da giovani italiani. Qui volti che ieri sera abbiamo rivisto sullo schermo, se oggi leggeranno queste righe saranno forse un po’ contriti, ma più probabilmente assai feroci. Vorrei riaverli dinazi, quei ragazzi, e chieder loro soltanto: “Ma come è possibile, su milleseicento metri di pellicola azzeccarne fotograficamente soltanto alcune decine? Come è possibile, rivedendo alla sera ciò che è stato girato di giorno, non accorgersi che la scenografia è male illuminata, e che bisogna aver la pazienza di rifare l’episodio, raddoppiando o triplicando le lampade? Come è possibile non vedere che molti fotogrammi sono sfocati, o sovra esposti? Come è possibile girare una serie d’inquadrature con un sole che spacca le pietre, un’altra serie con un cielo coperto, e poi, nel montaggio, alternare i vari istanti, con il risultato d’ottenere un cielo che a ogni stacco s’annera o risplende? Come è possibile, in una sequenza che vuol descrivere una gita in automobile da Torino  a San Remo, farci percorrere il ponte Umberto, portarci poi nelle valli di Lanzo, farci vedere Balme e la Bessanese, e subito dopo Bordighera? Com’è possibile non scorgere attori e comparse che talvolta fissano l’obiettivo, sorridendogli, tutti contenti di poter fare un  film?” E le domande potrebbero continuare. Credetelo figlioli, non vi vuol male nessuno; soprattutto il sottoscritto; e nemmeno il pubblico, che vi fischia. Ma qui non si discutono né il soggetto, né la sceneggiatura, né la sonorizzazione – tutte cose delle quali sarà davvero meglio tacere. Si tratta dell’a b c; che è poi un modo come un altro per indicare le prime tre lettere dell’alfabeto» (M. Gromo, “La Stampa”, 7.3.1934).


Scheda a cura di
Matteo Pollone

Persone / Istituzioni
Adriano Giovannetti


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