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ENCICLOPEDIA DEL CINEMA IN PIEMONTE

Cinema muto



Il granatiere Roland
Italia, 1911, 35mm, B/N

Altri titoli: Roland der Grenadier, Grenadier Roland, Roland le Grenadier, Roldán el granadero, A granátos

Regia
Luigi Maggi

Sceneggiatura
Arrigo Frusta

Fotografia
Giovanni Vitrotti

Scenografia
Decoroso Bonifanti, Paolo Borgogno

Interpreti
Alberto A. Capozzi (il granatiere Roland), Mary Cléo Tarlarini (Elena), Mario Voller Buzzi (un ussaro), Ernesto Vaser (l’oste Feuillée), Gigetta Morano (la vivandiera), Giuseppe Gray (Henry), Oreste Grandi, Ercole Vaser, Serafino Vité, Arrigo Frusta (Augusto Ferraris)



Produzione
Società Anonima Ambrosio, Torino

Note
332 metri.
 
Sottotitolo: Campagna di Russia 1812.
La pellicola è precedente all’istituzione della censura e non è dotata di visto di censura.
Distribuito in Austria, Finlandia, Francia, Germania, Gran Bretagna, Spagna, Ungheria e negli Stati Uniti; la versione francese era lunga 374 m; la versione ungherese era lunga 375 m; la versione inglese era lunga 1217 feet; la versione statunitense era lunga 950 feet.
Nelle réclame d’epoca veniva indicata la presenza di oltre 600 comparse e 100 cavalli durante la lavorazione della pellicola.
Appartenente alla «Serie Oro» della Società Anonima Ambrosio.
 
Copia conservata presso: BFI - National Film and Television Archive (London).
Una copia del film della durata di 15 minuti è stata proiettata nel 1986 alle Giornate del Cinema Muto di Pordenone.




Sinossi
1812. Roland, granatiere nell’esercito napoleonico, torna nella sua terra natale dopo aver combattuto in Spagna; ad attenderlo, un’amara sorpresa: l’amata fidanzata Elena, rimasta orfana di madre durante la sua prolungata lontananza da casa, è diventata la moglie di un altro, un ufficiale. Deluso e amareggiato, il soldato abbandona il progetto di vivere pacificamente e si arruola nell’esercito per altri sette anni; è inviato sul fronte russo agli ordini del tenente Henry che scopre essere, con grande disappunto, il marito di Elena. Non sopportando la solitudine, la donna si è unita alle truppe di Napoleone; quando il “generale inverno” ha la meglio sui soldati francesi ed Henry viene ferito nella battaglia della Moskova, Roland aiuta l’amore di un tempo a ritrovare il tenente. Durante la tragica ritirata da Mosca assiste la coppia, la protegge e cede loro il proprio cappotto. Compiendo infine un ultimo gesto di generosità, agevola il loro passaggio sul ponte della Beresina e rinuncia ad attraversarlo a propria volta per fronteggiare i soldati russi che sono quasi giunti sul posto, andando coraggiosamente incontro alla morte.




Dichiarazioni
«Meglio raccontare qualche curiosa avventura, per esempio i fasti e i nefasti del Granatiere Roland un film che riuscì assai bene ed ebbe molto successo; ma che filza di casi avversi durante la lavorazione, buffi, imprevisti, che non succedono tutti i giorni, che sembrano, più che strani, quasi impossibili! Dopo, magari se ne ride; ma, lì per lì, mandano in bestia e fanno dar l'anima al diavolo. Si girò nel 1910. Dal sottotitolo già si può inferirne l'argomento: Il Granatiere Roland ovverossia Il passaggio della Beresina, vale a dire Napoleone in Russia, con la campagna del 1812, la Moscova, i quattro reggimenti piemontesi, l'incendio di Mosca, la ritirata, il terribile inverno, lo sfacelo della Grande Armata, il ponte della strage... e tutto il rataplan della storica vicenda, condita, si capisce, e sostenuta, e più o meno complicata, da un burrascoso amore, a cui si riannodano tutte le fila del racconto. Film d'impegno, dunque, che richiese l'impiego dei migliori attori - un cast superiore, direbbero oggi ­ e di numerose comparse. Da un anno l'Ambrosio aveva inaugurato la Serie d'Oro dei suoi film con la famosa Spergiura seguita poi dal Nerone, L'ostaggio, Pauli, Lo schiavo di Cartagine, Estrellita, La stanza segreta e poche altre. Ora toccava al Granatiere Roland. In breve approntai il soggetto e la sceneggiatura. Per i costumi avevamo deciso di servirci delle uniformi già usate nel Debito dell'imperatore con l'aggiunta d'un centinaio di cappotti da cosacchi e berretti di pelo. Alla folla in ritirata vesti a sbrendoli, rabberciate alla meglio, cenci motosi e stracci d'ogni genere. In quanto alle scene, scenografi e scenotecnici, sotto la direzione dei pittori Bonifanti e Borgogno, si dettero un bel daffare a allestire il salone del Cremlino e il panorama di Mosca, che doveva comparire all'orizzonte coperta di neve; uno scenario lungo duecento metri, dipinto e ben sagomato su venti telai di dieci metri l'uno, per poterli trasportare alla Vauda di San Maurizio. Vauda è parola piemontese, che significa, suppergiù landa deserta. Infatti la Vauda di San MaurIzio era, a venti chilometri da Torino, un vasto terreno incolto, sterile, senz'alberi, chiamato il Campo, dove le truppe d'artiglieria s'esercitavano al tiro dei cannoni. Su quella deserta superficie di passa novanta chilometri quadrati lo sguardo correva a perdita d'occhio senza incontrare alcun ostacolo. D'inverno, coperta di neve, poteva apparire la più vera steppa che un metteur-en-scène desiderasse. Intanto si chiese il permesso all'autorità militare; e, nell'attesa, distribuite le parti, cominciammo a girare gli interni: la locanda, l'isba, la sala del Cremlino, vari quadri dell'incendio, primi piani di attori e di attrici. Capozzi faceva la parte del Granatiere, Gray quella del comandante, Mary Cleo la donna contesa, Voller Buzzi l'ussaro, Vaser Ernesto l'oste, Gigetta Morano la vivandiera. In quanto alla parte di Napoleone... ecco: l'avevano assegnata a Grandi. Ora, se al mondo c'era uno che fosse la completa antitesi dell'imperatore, quello era Oreste Grandi. “È più rimondo d'una zucca, opponevo io. Bravo attore, certo; ma il riccio, dove lo prendiamo il riccio?” E Ambrosio duro. “Il naso poi, seguitavo... tutti sanno che Napoleone l'aveva aquilino. E Grandi? Schiacciato, a nespola, a pallottola. Che nappa! Bel Napoleone, in verità, da far ridere le telline”. Qui smisi di brontolare. Un'idea grandiosa, stupenda, cominciava a girarmi per la mente. E girò tutta la notte, si sviluppò a poco a poco, si condensò e, la mattina, prese forma, manifestandosi nel più vero Napoleone che mai si fosse presentato sulle scene pellicolari: aveva un riccio a mezzo della fronte che proprio andava a capello, e un borbonico naso di prim'ordine. “Ma... ma... gorgogliò Ambrosio, come se lo vide comparire in teatro, ma... cos’elo capitaie a Grandi?” Poi, avvicinandosi: “Ma... a l'é nen chiel! O chi è dunque?” Certo non era Grandi: quel magnifico imperatore, col suo riccio sulla fronte e tanto di naso all’Enrico quarto, ero io. Ambrosio, sul subito, non mi riconobbe, perché per la prima volta avevo sacrificato - all'amore dell'arte o alla mia cocciutaggine? – l’onere di due vistosi, prepotenti baffoni. E vi dico che non fu piccolo sacrifizio: i baffi, al tempo d'allora, solo i preti e gli attori se li toglievano. Ambrosio era lì lì per pigliar cappello. Lo disarmò una gran risata. Rise pure lui. Risero tutti. E la parte mi restò: Il Granatiere Roland ebbe un degno imperatore, almeno all'aspetto» (A. Frusta, “Bianco e Nero”, a. XXI, nn. 5-6, 1960).




Scheda a cura di
Azzurra Camoglio

Persone / Istituzioni
Luigi Maggi
Arrigo Frusta
Giovanni Vitrotti
Alberto A. Capozzi
Mary Cléo Tarlarini
Mario Voller Buzzi
Ernesto Vaser
Gigetta Morano
Oreste Grandi
Arrigo Frusta (Augusto Ferraris)


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