Torino città del cinema
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ENCICLOPEDIA DEL CINEMA IN PIEMONTE

Lungometraggi



Nonhosonno
Italia, 2001, 35mm, 117', Colore

Altri titoli: Non ho sonno, Sleepless, I Can't Sleep

Regia
Dario Argento

Soggetto
Dario Argento, Franco Ferrini, Carlo Lucarelli

Sceneggiatura
Dario Argento, Franco Ferrini, Carlo Lucarelli

Fotografia
Ronnie Taylor

Operatore
Roberto Brega

Musica originale
Goblin (Claudio Simonetti, Agostino Marangolo, Massimo Morante, Fabio Pignatelli)

Musiche di repertorio
Piotr Ilj? ?ajkovskij ("Il lago dei cigni")

Suono
Tullio Morganti

Montaggio
Anna Napoli

Effetti speciali
Sergio Stivaletti

Scenografia
Antonello Geleng

Costumi
Susy Mattolini

Trucco
Alfredo Marazzi, Graziella Tosti

Aiuto regia
Giulietta Revel

Interpreti
Max Von Sydow (Ulisse Moretti), Stefano Dionisi (Giacomo), Chiara Caselli (Gloria), Rossella Falk (Laura De Fabritiis), Paolo Maria Scalondro (Commissario Manni), Roberto Zibetti (Lorenzo), Gabriele Lavia (Avvocato Betti), Massimo Sarchielli (Leone), Barbara Mautino (Dora, La Coniglietta), Elena Marchesini (Mel, La Gattina), Roberto Accornero (Fausto), Diego Casale (Beppe), Alessandra Comerio (Signora Betti), Luca Fagioli (Vincenzo De Fabritiis), Barbara Lerici (Angela), Conchita Puglisi (Amanda), Guido Morbello (giovane detective), Aldo Massasso (Cascio)

Casting
stripslashes(Lorella Chiapatti), Chiara Moretti

Direttore di produzione
stripslashes(Ladis Zanini), Gianluca Passone

Ispettore di produzione
Gianluca Borelli Stracca, Riccardo Folgore

Produttore esecutivo
stripslashes(Claudio Argento)

Produzione
Claudio e Dario Argento per Opera Film, Cecchi Gori Group Tiger Cinematografica, Medusa

Distribuzione
Medusa Distribuzione

Note

Nulla Osta n. 95.060 del 27.12.2000.

Regista della seconda unità: Marzio Casa; suono Dolby Digital; parrucchiere: Massimo Cattabrusi; altri interpreti: Barbara Mautino (Dora), Conchita Pugliesi (Amanda), Brian Ayres (magistrato), Daniele Angius (Giacomo tredicenne), Robert Camero (Marco), Luca Fagioli (Vincenzo de Fabritiis), Daniela Fazzolari, Elisabetta Rocchetti; segretaria di produzione: Carla Alonzo; amministratore: Erika Taloni; vietato ai minori di 14 anni.

Il film è stato realizzato con il sostegno della Film Commission Torino Piemonte.

Gli interni del film sono stati girati negli Euphon Studios di Torino; gli esterni a Torino e provincia, tranne la sequenza del cimitero (realizzata a Perugia).





Sinossi

Nel 1983, a Torino, il piccolo Giacomo assiste all'omicidio della madre. Il commissario Moretti gli promette che arresterà il colpevole. Nel 2000 la città diventa teatro di una serie di misteriosi delitti che sembrano avere qualche affinità con quello di diciassette anni prima. Con il commissario Manni collabora anche l’anziano Moretti, ora pensionato. Giacomo partecipa alle indagini che si concentrano sulla figura di Vincenzo de Fabritiis, un nano scrittore di libri gialli, morto assassinato da anni, e su coloro che lo hanno conosciuto. Moretti intuisce che le azioni dell'assassino sono legate ad una filastrocca, ma muore d’infarto. Giacomo segue le intuizioni di Moretti e trova il serial killer, ossessionato dalla filastrocca.

Ecco la filastrocca (scritta da Asia Argento): «È arrivata mezzanotte, con il letto faccio a botte, ora inizia la mia guerra con le bestie della terra. Una del mattino, il fattore è felice come un bambino, sgozza il maiale più bello e si libera del primo fardello. Due del mattino, ora tocca al gallo, usa bene il suo strumento, per la morte è un godimento. Tre del mattino, il fattore strangola il pulcino, “L’insonnia mi tormenta!”, si rigira nel letto e si lamenta. Quattro del mattino, ha acchiappato un gattino, ma poiché l’ha graffiato, nell’acqua gelata l’ha affogato. Cinque del mattino, il fattore è nel giardino, accarezza il coniglietto, poi lo sbatte al muro per diletto. Sei del mattino, al cigno più carino, il fattore ha tagliato la testa, ormai nessun nemico gli resta. Ecco arriva il nuovo giorno, il fattore si leva di torno, le sue armi può posare e finalmente può dormire».





Dichiarazioni

«In questo caso ritraggo una Torino diversa rispetto al solito: la vedo come una città misteriosa, più piccola; è la Torino vera, cioè quella delle case, dei portoni che si aprono su bellissimi giardini, delle scale di marmo che conducono in appartamenti da scoprire. Una Torino, comunque, molto interessante che ho scelto come logo per girare il mio nuovo film dopo essere stato due anni fa al Torino Film Festival: camminando di sera come amo fare, mi sono riappassionato a questa città e l’ho voluta riportare nel mio cinema con una nuova chiave di visione, evitando quindi la Torino ormai scontata delle sette sataniche e delle grandi piazze. Sul set mi sono trovato bene, qui si sta creando un valido gruppo di professionisti che lavorano nel cinema» (D. Argento, “La Stampa”, 5.1.2001).

«Il film è realmente un tributo a Torino, che io considero la mia città, anche se non ci sono nato. Sono molto riconoscente alla città che mi ha regalato le atmosfere dei primi film e ha lasciato un segno anche in quelli successivi, e sono sempre affascinato dalle sue meravigliose strade e architetture. Rispetto a Profondo rosso devo dire che non ho trovato molti cambiamenti, non ci sono state trasformazioni così appariscenti nella vita della città. Questo è davvero strano, percorro le stesse strade e trovo sempre gli stessi posti. Invece, sotto il profilo della professionalità, ci sono condizioni inconsuete: nuovi scenografi bravissimi, nuove leve di tecnici molto preparati. Il mio ritorno a Torino vuole essere anche un contributo affinché questi giovani amanti del cinema possano continuare a lavorare nella loro terra e perché il cinema continui ad avere in Torino una casa ideale» (D. Argento, Prefazione a AA. VV., Torino città del cinema, Il Castoro, Milano, 2001).

«Torino è una città particolare per me: la amo molto, è il posto dove ho girato più film e, avendoci vissuto a lungo, la conosco benissimo, così come conosco tanta gente. La amo talmente che tornerò a girare qui […]. Torino ha una bellezza architettonica incredibile, vanta periferie interessantissime. Per Nonhosonno, per metà ambientato proprio ai margini della città, le ho visitate bene: suonavo ai portoni, mi presentavo alla porta, entravo negli appartamenti, a volte mi sdraiavo pure sul letto per vedere con un’altra prospettiva gli alloggi. Mi sono accorto che può vantare quartieri di periferia vivibilissimi» (D. Argento, “La Stampa”, 3.1.2004).





È il ritorno di Dario Argento al giallo e a Torino, la città che con la sua architettura e i suoi palazzi lo ha spesso ispirato (Il gatto a nove code, Quattro mosche di velluto grigio e Profondo rosso), per raccontare le sue angosce e paure.

«Grazie a un effetto eco Nonhosonno risponde a Profondo rosso. Tanti i ritorni: l’accompagnamento musicale eseguito dai Goblin, un delitto famigliare come premessa scatenante, un bambino come testimone dell’accaduto, […] una filastrocca che risponde al motivo infantile nel rituale dei delitti, una serie di lame di coltelli e di accette affilate, una villa abbandonata, la soluzione dei delitti attraverso l’inchiesta privata e non grazie al percorso della giustizia. Tanti richiami per una risposta a distanza i 26 anni. E ciò che maggiormente segna questa replica è il ritorno della parabola della svista. […] Il piccolo Giacomo, nascosto nel sottoscala, non vede bene il volto dell’assassino, il suo sguardo è irrimediabilmente manchevole al punto da attribuire i panni dell’assassino a un nano e non a un coetaneo. […] Lo spettatore non vede l’assassino pur avendolo sotto gli occhi: estrema maniera della svista diventa quel corpo rannicchiato sotto le lenzuola che ripete, in un cantilenante rantolo-vagito, “ne ho ammazzate tante, non mi prenderanno mai”» (F. Villa, in G. Carluccio, G. Manzoli, R. Menarini, a cura, L’eccesso della visione. Il cinema di Dario Argento, Lindau, Torino, 2003).

Diversamente dai suoi precedenti lavori “torinesi”, Argento in Nonhosonno preferisce concentrare il suo sguardo sull’interno dei palazzi, sul buio dei cortili, su stanze e corridoi di ville precollinari che accentuano il carattere claustrofobico delle “imprese” del serial killer. La geografia urbana vene reinventata, stravolta, ricreata dalla fantasia del regista il quale gira soltanto una sequenza in un’altra città, Perugia, in quanto ritiene che il cimitero «appartato, famigliare, popolare» della città umbra sia più aderente di quello torinese all’atmosfera del film.

In Nonhosonno Argento riconferma alcune scelte sulla definizione del casting: anche in questo caso il protagonista è un affermato attore internazionale come Max von Sydow (dopo Karl Malden, David Hemmings, Joan Bennett) affiancato da grandi attori del teatro italiano (qui Rossella Falk e Gabriele Lavia) e giovani interpreti italiani (Stefano Dionisi, Chiara Caselli e il torinese Roberto Zibetti).

Come nei suoi primi lavori, Argento sfrutta invenzioni inquietanti, capaci di creare splendidamente la suspense, come la presenza disturbante di automi meccanici e le musiche incalzanti e ipnotiche dei Goblin. Il genio visionario di Argento si esalta ancora una volta nella realizzazione di indimenticabili invenzioni visive: la sequenza di oltre quindici minuti in cui l’assassino insegue la sua vittima su un treno in corsa apparentemente privo di viaggiatori è terrorizzante per forza immaginifica e ritmo narrativo. Argento racconta di aver impiegato una settimana per girare questa sequenza: ogni notte saliva con una piccola troupe su un treno che percorreva la Valle di Susa e nel tentativo di trasmettere allo spettatore l’angoscia dell’inseguimento sui vagoni in corsa, costringeva gli operatori ad utilizzare sia una piccola steadycam, sia una particolare imbracatura della cinepresa che consentiva di correre vorticosamente nei corridoi.

«Argento torna a Profondo ros­so, a Il gatto a nove code, al giallo vero e proprio: intera­mente risolto nel visuale, nello stile, nella lingua argentiana del giallo, e comunque giallo razionale, senza varianti hor­ror-sovrannaturali che proprio dopo Profondo rosso ebbero apertura memorabile in quello che per ora rimane il vertice, Suspiria. E così riapproda a uno dei suoi film più riusciti e appassionanti sul piano della fisicità linguistica, del puro go­dimento filmico applicato al genere che appare veramente (come del cinema diceva Truf­faut) un treno che corre nella notte. E davvero c'è un treno che corre nella notte, dal di fuori in una sequenza girata in modo straordinario nel grande quadro dello schermo buio ve­diamo soltanto la sequenza dei finestrini illuminati di luce az­zurra come lama di coltello, all'interno del treno in corsa una ragazza terrorizzata che fugge di vagone in vagone. Fi­no a esser sgozzata. Da antolo­gia, da maestro del visuale - quale Argento nel cinema ita­liano oggi più che mai si dimo­stra. Come in quel girare, tipi­co, tra e in case del mistero e della paura, solitarie, disabita­te, ville misteriose della collina torinese. Ancora una volta, Ar­gento ci vuole offrire un cine­ma di archetipo della paura, veicolato come una fiaba, una filastrocca. […] È il quarto film che Argento gira a Torino, una città che egli coglie negli aspetti meno cono­sciuti, i più inquietanti e biz­zarri, angoli, portoni, facciate, giardini, ville. […] Si riconferma come costante primaria di Argento quella vi­sione molteplice dello spazio che è, insieme artificiale e profondamente reale: pensia­mo solo in Profondo rosso a quella piazza torinese con i portici e le due fontane: nel contempo, statue antiche, spa­zio vuoto dechirichiano e un bar nella notte a forti luci al neon e silhouettes all'interno da iperrealismo americano, da quadro di Hopper» (R. Gilodi, “Cinemasessanta” n. 2/252, marzo/aprile 2000).

«La critica, come al solito, si è divisa. Grande ritorno al “giallo d'autore” o ennesima delusione? Nonhosonno, ispirato al suo cinema primordiale e a Profondo rosso in particolare va, forse, preso per quello che è. Un catalogo delle ossessioni di Dario, una languida e dimessa commemorazione di se stesso, un oggetto di modernariato, un film iconografico e iconoclasta, un'opera che smaschera la maturità imperfetta e nostalgica d'un grande regista visionario» (F. Bo, “Il Messaggero”, 12.1.2001).)

«Che Dario Argento sia il cineasta più osteggiato dalla critica italiana non dovrebbe essere un mistero per nessuno. [...] Argento vive in Italia alla stregua di un paria. Fermamente deciso a non piegarsi all'omologazione estetica imperante nella stragrande maggioranza del cinema italiano continua a praticare il suo cinema visionario senza cedere di un millimetro. [...] Ma non si tratta solo di un magistrale tour de force tecnico. Non ho sonno si fionda nel cuore stesso del cinema argentiano. Ne reinventa le forme e le risogna come progetto palingentico di un linguaggio, di uno stile [...]. Il suo cinema, in linea con i dettami più rigorosi della modernità, è un cinema in prima persona - intimo - che delle convenzioni di genere non usa altro che i segni denotativi più evidenti. Lungi dal corteggiare meccanismi narrativi perfetti, i suoi film evocano, con un'ossessione degna dei grandi monomaniaci, labirinti mentali inestricabili che contaminano completamente con la loro indecifrabilità le strutture del suo filmare. [...] Entrato nella sua fase autunnale (diremmo della maturità), continua a rifiutare di rinunciare alle asperità del conflitto in favore del conforto del già noto. Non ho sonno, appunto. Rifiutare Argento oggi significa rifiutare il cinema italiano più moderno, forte e coraggioso: l'unico che continui a fare pubblicamente i conti con se stesso» (G. A. Nazzaro, "Rumore” n. 109, febbraio 2OO1).
 
«Ogni volta che assisto a un film con delitti plurimi mi dispongo a enumerare i morti ammazzati e ogni volta perdo il conto. Figuratevi se non mi è successo con Nonhosonno (tutta una parola), dove Dario Argento (e per lui il solito serial killer la cui identità si scopre solo alla fine) di cadaveri ne scodella in sovrannumero. Tornando al giallo dopo una lunga permanenza nell'horror [...] Dario si è impegnato a rispettare le regole della tradizione e ha persino scandito la catena dei delitti su una cantilena infantile come faceva Agatha Christie. Però il nostro è un cavallo che continuamente rompe l'andatura, l'unica regola che rispetta è infatti un'antiregola: la licenza di sconfinare dalle chiuse geometriche dell'intreccio classico. Ciò che davvero interessa al regista non sono la faccenda, né i personaggi, né la curiosità di scoprire l'assassino, ma le iterative situazioni di minaccia incombente con finale al sangue. [...] Tutto preso dalle acrobazie visuali [...] Argento non va troppo per il sottile riguardo alla plausibilità di ciò che racconta. [...] Nel finale, quando cade la maschera del mostro, succede invece che la delusione e l'incredulità hanno la meglio sulla sorpresa. Un tipo di infortunio sul quale in verità scivolano anche i giallisti ortodossi: la soluzione è sempre inferiore alla premessa. Per confermare che l'Argento vivo di Nonhosonno sta tutto nelle immagini, che guadagnerebbero nella loro impeccabile classicità a scorrere sullo schermo accompagnate solo dalla musica dei Goblins. Ovvero senza i brutti dialoghi che fanno scadere il livello del film» (T. Kezich, "Corriere della Sera", 6.1.2001).
 
«Non ho sonno è un film straordinario proprio per i motivi che lo fanno detestare dai fighetti della nuova critica chiamati a esprimersi sulle pagine dei vari giornali. A Dario Argento interessano poco sceneggiature, dialoghi, attori: sono elementi di contorno dei suoi film, variabili alle quali non è giusto dedicare un'attenzione troppo prolungata. Fa ridere quando si legge che Profondo rosso era un bel film perché un giallo classico, un perfetto whodunnit: ma vi sembra un perfetto meccanismo giallo quello che vede una vecchietta uccidere impuniti giovani donne e pezzi di marcantoni, affrontandoli con forza e agilità. È chiaro che non è questo l'aspetto interessante. Dario Argento è il regista più visivo e più visionario che stia lavorando nel nostro cinema, e Non ho sonno è un falso ritorno ai suoi gialli anni Settanta. [...] Ma forse i nostri critici occhialuti di nuova generazione dovrebbero riflettere sul fatto che [...] Non ho sonno è un falso ritorno, una beffa per chi ama il cinema di sceneggiatura: Dario lavora sulle visioni, propone straordinarie soggettive e immagini da urlo e poi accontenta gli amanti dell'ordine con le minacce sussurrate dentro un tram. Non ho sonno è un film disordinato, creativo, ateo, un concentrato di spinte adrenaliniche inserito, per convenzione, dentro una struttura gialla che tale poi non è. Da tempo non si vedeva in Italia un film così. Quelli che non lo amano sappiano che stanno lavorando per dieci, cento, mille American Beauty» (S. Della Casa, "Nocturno" n. 17, marzo 2001).
 
«In Non ho sonno intristisce il richiamo insistito ai film del passato: ogni tecnica di omicidio è una citazione [...]. Si pensava a un target giovanile che i classici non li ha visti? O è intorcicamento autoriale e autofago (cose, comunque che mi lasciano indifferente)? Su tutto pesa un sospetto di retrodatazione, o di paradosso temporale. Come quello di chi si ostina a gioire per i prodigi tecnici e visionari, quando i tempi sono cambiati, e la tecnica non è neanche più quella di una volta [...]. I critici sono ciechi e vivono nel passato. E Dario Argento pure. Lui ne ha più diritto. Ha già dato tanto. Lasciatelo riposare. Ma per favore: è pretendere troppo - da spettatori, intendo - che la prossima volta Argento si faccia scrivere dialoghi meno ridicoli (ma li vede i suoi film con la gente in sala?). Che impari a rinunciare alle sorprese finali che non stupiscono nessuno (e sì che all'inizio della carriera lo paragonavano sempre ad Hitchcock: possibile che certe cose non le abbia imparate?). Che prestigiosi scrittori noir come Lucarelli diano contributi più avvertibili, o meno banali?» (A. Pezzotta, "Nocturno" n. 17, marzo 2001).


Scheda a cura di
Franco Prono

Persone / Istituzioni
Dario Argento
Franco Ferrini
Carlo Lucarelli
Sergio Stivaletti
Lorella Chiapatti
Claudio Argento
Max Von Sydow
Stefano Dionisi
Chiara Caselli
Rossella Falk
Roberto Zibetti
Gabriele Lavia
Roberto Accornero
Ladis Zanini

Luoghi
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birreria Barbican's TavernTorinopiazza Vittorio Veneto
Cairoli, corsoTorinocorso Cairoli
Casale, corsoTorinocorso Casale
castello del ValentinoTorino-
cavalcavia di Corso GrossetoTorinocorso Grosseto
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Gran Madre di Dio, piazzaTorinopiazza Gran Madre di Dio
Lodovica, viaTorinovia Lodovica
Murazzi del Po - Jammin'TorinoMurazzi del Po
Roll Play CafèTorinopiazza Castello
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stazione Madonna di CampagnaTorino-
stazione Porta NuovaTorino-
Teatro CarignanoTorinopiazza Carignano
Unione Sovietica, corsoTorinocorso Unione Sovietica
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