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ENCICLOPEDIA DEL CINEMA IN PIEMONTE

Cortometraggi e Documentari



Dimmi qualcosa di te
Italia, 1989, 16mm, 25', Colore


Regia
Gianluca Maria Tavarelli

Sceneggiatura
Gianluca Maria Tavarelli

Fotografia
Pietro Sciortino

Operatore
Angelo Santovito

Musiche di repertorio
The Beatles, Gianni Morandi, Claudio Baglioni, Guns ‘n Roses, Adriano Celentano, Francesco Guccini, Culture Club, Stadio

Suono
Carlos Bonaudo

Montaggio
Gianluca Maria Tavarelli

Aiuto regia
Stefano Grossi

Interpreti
Alessandro Colombo, Mirko Violetto, Fiorella Caradonna, Stefano Grossi, Alessandra Bortolami, Lucio Vinciarelli, Giuseppe Trivigno, Rosa Serione, Simona Cavagnero, Carla Maccario, Claudio Lupano, Francesca De Bellis, Barbara Casorzo, Tiziano Liberti, Patrizia Tavarelli



Produzione
A bout de souffle Studio, Unistudio

Note
Suono in presa diretta; operatore steadycam: Giovanni Gebbia; tecnico del suono: Lino Morosato; altri interpreti: Maura Sesia, Domenico Grande, Gilberto Grasso, Umberto Alciati, Giuseppe Grech, Elisabetta Fanzago, Paola Costanzo, Mauro Signorello, Carlo Tavarelli; voci al telefono: Fulton Fargas, Lorenzo Grasso; segretaria di edizione: Maddalena Greco; organizzazione: Patrizia Tavarelli; teatri di posa e mezzi tecnici: Unistudio, Torino.
Premi: Targa Vegafilm per il Miglior Cortometraggio al Festival Cinema Giovani di Torino, Gabbiano d’Oro ad Anteprima del Cinema Indipendente Italiano, Bellaria 1990; Primo Premio al Festival Tous Courts di Aix-En-Provence; Premio Unesco per il Miglior Cortometraggio 1990; Primo Premio al Festival Capalbio Cinema 1994.




Sinossi
«Il film è la storia di due adolescenti e di un programma radiofonico che ascoltano durante la notte. Il programma consiste in un filo diretto con la gente, ogni persona che lo desidera ha un minuto di tempo per raccontare i propri problemi, chiedere scusa a qualcuno, far conoscere la propria solitudine, illudersi di avere un altro che ascolti. Le storie che si riversano nelle camere dei bambini sono storie di marginalità, di periferie, di piccoli e grandi fallimenti. Durante il giorno la vita dei due ragazzi scorre normalmente, tra compiti, televisione, libri, modellini di auto, partite a subbuteo e camminate in una città che potrebbe inghiottirli da un momento all’altro. [...] L’incontro, un giorno, tornando da scuola, con due giovani tossicodipendenti fa capre loro la differenza tra la realtà vista e toccata con mano e quindi vissuta sulla propria pelle, in prima persona, e quella sentita, quasi per gioco alla radio» (G.M. Tavarelli, in F. Ferzetti, Gianluca Maria Tavarelli: Qui non è il Paradiso, FAI, Torino, 2000).




Dichiarazioni
«Il film nasce da una forte componente autobiografica. Quando avevamo più o meno l’età dei due protagonisti, io e un mio amico, vicino di porta, ascoltavamo un programma radiofonico notturno, in cui la gente telefonava in studio e raccontava le proprie solitudini e le proprie ansie. In quelle solitudini notturne forse vedevamo proiettati anche noi. [...] Girammo gli esterni nelle periferie più estreme della città, utilizzando queste immagini per accompagnare gran parte delle telefonate. Dietro a quei malesseri e quelle tragedie apparentemente private ci sono forse proprio quei luoghi, quelle periferie. Feci interpretare e telefonate da amici e parenti, evitando attori, a parte uno o due casi, per conservare maggiore spontaneità e utilizzare le cadenze dialettali e fortuiti errori per sporcare il parlato» (G.M. Tavarelli, in F. Ferzetti, Gianluca Maria Tavarelli: Qui non è il Paradiso, FAI, Torino, 2000).





«Una piccola storia originale e moderna, raccontata in sottile equilibrio fra rigore e sensibilità, che senza darlo a vedere sfiora temi enormi. Oltre che frammenti di realtà e sensibilità vere, che scopriamo e in cui è possibile riconoscersi, Gianluca Maria Tavarelli, torinese, classe 1964, sembra condividere due delle ipotesi più serie dl cinema “Giovane” di oggi, la riscoperta di altri paesaggi, inediti perché veri, paesaggi che istituiscono a necessità di una storia e quella di un linguaggio vissuto, pagato di persona, nel suo caso segnato da una voglia di racconto “forte”. Sono soltanto 25’ ma lasciano il segno» (G. Volpi, “La Stampa”, poi in Città di Torino Assessorato alla Gioventù, Cinema e video a Torino 1992, E.D.T., Torino, 1992).
 
«C’è nel film di Tavarelli (amaro, attento, ben fotografato) una qualità raramente intravista in questi giorni: il pudore. Un pudore di racconto e di suggestione del tutto assente in tante confessioni urlate,scaraventate al primo piano, esibite fino al sospetto di pornografia» (P. Cristalli, “Il Resto del Carlino”, poi Ibidem).
 
«Dimmi qualcosa di te entra silenziosamente nel cuore del pubblico, lasciando quel retrogusto amarognolo che è lo stesso degli scombussolamenti chimici adolescenziali dei due protagonisti in viaggio verso la scoperta di una realtà impietosa» (Ninì Candalino, “il manifesto”, poi Ibidem).
 
«Un 16 millimetri garbato e mai banale, sulla scoperta del mondo e delle difficoltà del vivere quotidiano di due ragazzini. Catapultati in un universo molto più grande di loro dalle voci notturne di una trasmissione radiofonica, fino alla scoperta che la “verità”delle azioni e dei gesti nasconde una violenza profonda soltanto in parte accarezzata dalla finzione delle testimonianze in diretta radio» (G. Vecchi, “l’Unità”, poi Ibidem).
 
«In soli 24 minuti il regista torinese riesce a raccontarci un passaggio di età, il conflitto urbano che oppone l’interno protettivo della casa a un esterno di insidie, la tragedia della droga (che viene sfiorata con sensibilità rara e tenerezza); tutto ciò senza rinunciare a uno sguardo personale e alla memoria. Aiutato da attori bravissimi e dalla fotografia impeccabile di Pietro Sciortino, Gianluca Maria Tavarelli ci dimostra come il cortometraggio possa guadagnare in concentrazione quel che perde in rifinitura analitica» (T. Masoni, “Cineforum”, poi Ibidem).
 
«[Dimmi qualcosa di te] ha dimostrato nel suo giovanissimo autore doti non comuni di narratore e più ancora di ritrattista di personaggi dei nostri giorni e di indagatore di aspetti inconsueti della realtà giovanile contemporanea» (G. Rondolino, “La Stampa”, poi Ibidem).
 
«Il film è un piccolo e felicissimo affresco, disperato e dolce, di una contraddizione che grava su di una grande città: Torino, dove convivono personaggi, le cui storie raramente si incontrano, ma che la disperazione unisce, magari attraverso una voce di una radio. La città dorme, ma molte vite si rincorrono in un crescendo di dolore e di solitudine. I due ragazzi la scoprono quasi per caso e ne rimangono sconvolti. Nulla sarà più come prima. Un film delicato, pieno di poesia, quasi impalpabile come lo splendido montaggio che lo caratterizza. Un rimo narrativo scandito dalla dolcezza dei personaggi e dall’ansia della loro voglia di raccontare, di raccontarsi, mentre la musica stimola infinite suggestioni» (G. Martini, “Il Tirreno”, poi Ibidem).
 
«Dimmi qualcosa di te costituisce un esempio di sensibilità e di coraggio nell’ambito del cinema indipendente italiano, sempre più attento alle tematiche dell’adolescenza e del rapporto, sempre controverso, fra educazione giovanile e violenza del mondo esterno. [...] Dimmi qualcosa di te è un piccolo saggio di cinema-verità e, al contempo, di cinema dei sentimenti, memore probabilmente di alcuni film di Truffaut e Del Monte» (A. Pizzuto, “Cinema d’Oggi”, poi Ibidem).
 
«Alla colonna sonora, alle voci del buio che raccontano attraverso il programma radiofonico iterazioni di tradimenti, solitudini e alcol, il film riserva un ruolo più dialettico del consueto, dove la voce interrompe la sintonia passiva con l’immagine e crea un mondo altro di ombre e sussurri. In presa diretta, con apporto di improvvisazione – racconta il regista – dei due giovani disinvolti protagonisti, Dimmi qualcosa di te non sottovaluta, d’altra parte, un’intenzione più strettamente cinematografica» (M. Cappa, “Il Giorno”, poi Ibidem).


Scheda a cura di
Franco Prono

Persone / Istituzioni
Gianluca Maria Tavarelli
Pietro Sciortino


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