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ENCICLOPEDIA DEL CINEMA IN PIEMONTE

Cinema muto



La memoria dell’altro
Italia, 1913, 35mm, B/N

Altri titoli: La mémoire de l’autre, Jusqu’à la mort (Francia)

Regia
Alberto Degli Abbati

Soggetto
baronessa De Rege

Fotografia
Angelo Scalenghe

Interpreti
Mario Bonnard (Mario Alberti), Lyda Borelli (l’aviatrice Lyda), Felice Metellio (il giornalista), Letizia Quaranta (Cesarina), Emilio Petacci, Vittorio Rossi Pianelli (il principe di Sèvre), Emilio Petacci



Produzione
Film Artistica “Gloria”

Note
1650/2000 metri
Nulla Osta n. 2.084 del 24.12.1913
Secondo alcune fonti il film è datato 1914.
Il film ebbe molto successo in Italia: al Salone Biondo di Palermo rimase in programmazione per ben otto giorni ottenendo un incasso complessivo di 17.330 lire.
 




Sinossi
La bella aviatrice Lyda respinge l’assidua corte del principe di Sèvre e s’innamora del giornalista Mario Alberti che, nonostante sia fidanzato con Cesarina, accetta l’invito di Lyda a raggiungerla a casa sua. Insospettita, Cesarina segue Mario e lo sorprende in una scena d’amore con la giovane. Approfittando di una breve assenza di Lyda, Cesarina riesce a sottrarre alla rivale Mario, convincendolo a lasciarla. Abbandonata, Lyda si concede all’amore del principe di Sèvre. Ma la donna non riesce a dimenticare Mario. Qualche tempo dopo, mentre la coppia si trova a Venezia, Lyda rincontra Mario in un teatro: colti dalla passione riaccesa, i due fuggono a Parigi per vivere il loro amore. Ma la felicità viene troppo presto guastata da una malattia che costringe Mario a letto per lunghi mesi. La miseria spinge Lyda a cercare aiuto: lo trova presso un gruppo di apaches generosi che rimangono conquistati nel vederla danzare. Il ritorno a casa però è amaro: Mario è morto. Disperata, anche Lyda si ammala e muore in una triste corsia d’ospedale dopo aver richiamato per l’ultima volta alla memoria l’immagine del suo amato Mario.
 





«Il secondo lavoro interpretato dall’artista Lyda Borelli per la grande Casa Nazionale “Gloria” di Torino, da qualche sera è proiettato sullo schermo dell’elegante Cinema Universale di Genova, con l’unanime consenso dei numerosi visitatori, che veramente rimangono soddisfatti. La spassionata reclame del pubblico su questa grandiosa pellicola - altrimenti non si può definire - è sufficiente per registrare continui esauriti e dare quella dovuta lode a tutti coloro che cooperarono per aggiungere al ricco diadema dell’arte del silenzio questa nuova e fulgida gemma. ... La memoria dell’altro... Un brano di vita, impresso su parecchie centinaia di metri di pellicola, a cura di una messa in scena e di una interpretazione di non comune naturalezza, definiscono questo lavoro immune da spunti, che l’occhio vigile ed osservatore del critico, abbia a biasimare e contraddire ertamente per la perfetta interpretazione di Lyda Borelli, che una volta di più ci ha mostrato la sua arte grande.arzo. sa mante» (Maritza, “La Vita Cinematografica”, n. 1, 7.1.1914).
 
«V’è qualche cosa di voluto in questo lavoro, v’è dell’artifizio; ma l’ottima esecuzione e la smagliantezza dei quadri rende accettabile l’uno e l’altro. Non è troppo assurdo il credere che l’autrice (Contessa de Rege), abbia tenuto conto, nell’ideare questo lavoro, non soltanto delle rare doti artistiche dell’artista, ma anche delle sue attitudini speciali di aviatrice, di automobilista e di ballerina. Infatti Lydia [sic] Borelli esordisce in questo lavoro, spiccando un magnifico volo su un aeroplano. Poi guida per un buon tratto, con massima disinvoltura un’automobile, e balla magnificamente la danza degli apaches. In verità che, a parte la virtuosità scenica, Ella ne sa già abbastanza per occupare un primo posto nel campo cinematografico! Volontariamente o no, fa anche scuola, e mi sono accorto che qualche giovane attrice ne ha approfittato, con vantaggio suo e dell’arte. Intendo parlare della signorina Letizia Quaranta, che della Borelli ha tentato prendere il gesto alto e sicuro. Ma con non troppa efficacia, però è un’attrice che ha dell’anima. Ben guidata, potrà uscirne qualche cosa di buono. Ma per amor del Cielo! attenta con quei rai fulminei! Se le sfugge un’occhiata alla macchina da presa, addio pellicola! Il Rossi Pianelli è una figura distinta di principe. Egli sa condurre la sua parte attraverso momenti irti di difficoltà, scevra da incertezze, e nella passione che errompe, sa mantenersi corretto senza sminuirne l’efficacia. Elegante e simpatico come sempre il Bonard svolge la sua azione con molto impegno. Ma ciò che rende maggiormente pregevole questo film, oltre ai meriti rappresentativi, è la smagliantezza dei quadri. Belli per composizione, magnifici per chiaroscuro. Sono degli acquarelli finissimi sotto ai quali si dovrebbe scrivere come nelle antiche incisioni - Alberto degli Abbati ideò - Angelo Scalenghe incise - pardon..... fotografò. Figuratevi: vedute animate di Venezia prese con concetto d’arte elevatissimo! Credo che basti per dispensarmi da qualunque descrizione. Non meno belle sono le fotografie degli interni, eseguite con grande varietà di luci, e colla solita ampiezza e sfarzo. Se questo film avrà un successo di repliche, come Ma l’amor mio non muore, al Cinema della Borsa, posso metter la mia tessera in riposo per un mese» (A. Berton, “Il Maggese Cinematografico”, n. 1, 10.1.1914).
 
«Non era facile invero filmare il soggetto intimamente drammatico e passionale di questo lavoro, dovuto alla Contessa De Rege. In esso è una continua incessante lotta di opposti e forti sentimenti; uno studio psicologico e sottile di anime travagliate da passioni indomabili ed irraggiungibili. Mario Alberti, il valoroso giornalista, è con l’animo in lotta per due passioni ugualmente veementi: l’amore della sua adorata amante Cesarina, fatto di ricordi, di affezioni, di carezze e di sorrisi: amore al quale egli non sa e non può sottrarsi; venuto all’abitudine, dalla comunanza di vita; l’amore nuovo e folle, il desiderio intenso e gagliardo per la bella Lyda, che all’arditezza ed al valore sportivo - quale aviatrice di gran fama, e chauffeuse abilissima - unisce il fascino delizioso e maliardo di donna squisitamente sensibile, leggiadramente voluttuosa e seducente. Il Principe di Sèvres, perdutamente innamorato di Lyda e conscio di non essere corrisposto, è continuamente con l’animo in tumulto perché non è sicuro della sua consorte e non riesce in alcun modo neanche a farsi tollerare. Lyda, dal canto suo, che ama Mario con tutta la possanza e l’ardore di un amore intimamente sentito; di un amore che non ammette barriere di sorta e che infrange ogni ostacolo, non sa e non può fingere col Principe suo marito, e soffre tutte le angoscie [sic] di chi non può raggiungere l’oggetto dei propri pensieri, dei suoi sogni, del suo amore. Cesarina, infine, la devota e affezionata amante di Mario, non sa rassegnarsi a vedersi rubare il suo adorato compagno, e si dispera e vigila costantemente con l’ansia nel cuore, con i lucciconi agli occhi. Arduo era, come dicevo innanzi, far risaltare perfettamente sulla pellicola la evoluzione, la genesi, di tutte queste contrastanti e ugualmente potenti espressioni. Pure devo aggiungere subito che la nuova e già ormai poderosamente affermata Casa Torinese vi è riuscita non solo, ma vi è riuscita magnificamente. Nulla infatti è stato trascurato, ed il pubblico, nel seguire le scene della film, vi si appassiona e rivive la vita dei singoli personaggi, come se stesse a teatro, ed impaziente aspetta la fine [...]. L’interpretazione è stata dunque mirabilissima per parte di tutti. Lyda Borelli ha fatta una creazione, del personaggio che ha il suo nome medesimo, semplicemente meravigliosa, superba, per potenza e naturalezza di espressioni; suggestiva e piena di mille seduzioni nei momenti di languore; straordinariamente espressiva nei momenti di abbandono, di tristezza e di desolazione. Oserei dire, se possibile, che ha superata sé stessa e che in questo suo secondo lavoro cinematografico è riuscita assai meglio che nella prima film. Mario Bonnard le è stato degno compagno, e sono lieto di tributare ogni mia lode a questo giovane e valoroso artista, che a fianco di Lyda Borelli ha integrate e superbamente accomunate le sue ottime qualità di attore efficacissimo, e nel contempo sobrio, misurato e corretto. Il Rossi-Pianelli nella veste del Principe di Sèvre è stato di una correttezza esemplare ed ha resa da par suo ogni situazione della sua difficile parte. Fecero anche assai bene la Letizia Quaranta ed il Sinimberghi, nonché gli altri interpreti, fra cui ricordo di aver visto perfettamente in carattere Felice Metellio che, tanto per cambiare, fa anche il giornalista nelle... films! Mi è grato poi in particolar maniera rivolgere un elogio incondizionato ad Alberto Degli Abbati per la splendida messa in scena, ed al valente operatore Angelo Scalenghe per l’impeccabile parte tecnico-fotografica. Sfarzosissima e grandiosa la messa in scena; deliziosi, suggestivi, incantevoli i quadri esterni riproducenti i più pittoreschi luoghi di Venezia. Perfino le planches di questo lavoro sono ottimi lavori artistici; ne ricordo specialmente una riproducente la Borelli, molto bene eseguita su bozzetto del pittore Giuseppe Maria Del Chiappa. Questo nuovo poderoso lavoro della Film Artistica ‹Gloria›, destinato ad una tournée eccezionale, si replica ora con grandissimo successo al Cinema Borsa e si replicherà chissà per quanti giorni ancora... ertamente per la perfetta interpretazione di Lyda Borelli, che una volta di più ci ha mostrato la sua arte grande.arzo. sa mante» (E. Demitry, “La Vita Cinematografica”, n. 2, 15.1.1914).
 
«Per una pellicola di tal genere ogni elogio riuscirebbe vano ed inutile. Le scene della suggestiva Venezia, e della rumorosa Parigi furono grandemente ammirate. Grande emozione destarono le scene dell’agonia di Mario e della morte dell’eroina che sono di una drammaticità veramente intensa. [...] Il lavoro è stato replicato per altre sei sere consecutive riportando un successo completo, entusiastico» (Frosina, “Il Maggese Cinematografico”, n. 5, 10.3.1914).
 
«Dopo alcuni giorni di attesa, la desiderata pellicola venne. Ed ebbe un vero entusiastico successo. Certamente per la perfetta interpretazione di Lyda Borelli, che una volta di più ci ha mostrato la sua arte grande. Il fatto, già noto al pubblico, non lo spiegheremo, solo ci limiteremo al reportage dell’interpretazione e della messa in scena. In ispecial modo di quest’ultima che non fu certamente all’altezza dell’altro indimenticabile lavoro: Ma l’amor mio non muore. La innovazione che la “Gloria” aveva portato, e cioè di prendere i quadri a distanza, in maniera che scena e persona venivano naturalissime, venne questa volta a torto abbandonato. In più questa volta la messa in iscena non fu solamente comune, ma anche in certi punti scarsa. Certamente dalla “Gloria” ci aspettavamo di più! Tutti gli esterni invece, specialmente quelli di Venezia, furono splendidi, dal primo all’ultimo. Che dobbiamo dire di Lyda Borelli? Semplicemente straordinaria. Quasi sempre presa di primo piano, ella ha dimostrato al pubblico che non ha agito così macchinalmente, ma che si immerse completamente e con passionalità nella sua non facile parte. Buoni anche gli altri attori. Il pubblico assai numeroso, ebbe la soddisfazione di applaudire assai lungamente la Borelli in persona, la quale assisteva allo spettacoloertamente per la perfetta interpretazione di Lyda Borelli, che una volta di più ci ha mostrato la sua arte grande.arzo. sa mante» (Hover, “Il Maggese Cinematografico”, n. 9, 10.5.1914).
 
«Film eccezionale per interpretazione e per svolgimento. Soggetto un po’ semplice. I quadri all’esterno sono poco nitidi, eccettuati quelli meravigliosi presi nella laguna veneta. Splendidi gli interni ertamente per la perfetta interpretazione di Lyda Borelli, che una volta di più ci ha mostrato la sua arte grande.arzo. sa mante» (Monsieur Aldo, “Il Maggese Cinematografico”, n. 13, 10.7.1914).
 
«L’autore di questo film C. Derege ha inteso darci una scena di possente amore oppure una integrazione dell’amore stesso portandolo oltre i suoi confini naturali, oltre la morte? Saremo propensi per il primo, benché il titolo indica diversamente e questo perché l’estensione concessa alla prima parte coinvolge il vero dramma di queste anime e solo la parte conclusiva è affidata alla seconda. Così l’amore di Mario e Maria [sic] ha la padronanza del dramma e la sua robusta sanità e fervorosa ricchezza, il respiro poetico e umano, il calore ed il colore della sua intimità hanno il prestigio e la grandezza delle cose travolgenti. [...] Soggetto romantico o meglio poetico [...] ma trattato con senso vivissimo della verità psicologica, con soavità e robustezza di accenti umani, con sincera visione del processo evolutivo del dramma. L’autore è stato sapiente nell’ordire le fila, sapiente nell’intesserle, sì che l’interesse procede man mano che l’azione procede e i personaggi diventano famigliari. Perciò, analizzazione e penetrazione degli stati d’animo singolari, creazione di un’atmosfera speciale in cui il racconto deve muoversi e completarsi, sfondo di ambiente in un rilievo efficace. Ma non sempre l’azione corrisponde a queste intenzioni, non sappiamo se per conto degli artisti stessi o del direttore Alberto degli Abbati, giacché molte lentezze, disquisizioni, enfasi, allitterazioni intersecano frastagliandone il contenuto e la linea. Citiamo come esemplificazione la toeletta aviatoria di Lyda che si compie fra lunghi minuti particolari che noi giudichiamo superflui. A parte queste osservazioni di indole particolare, il lavoro rimane sempre di potente suggestività, e l’arte di Lyda Borelli e del Bonnard valgono a penetrarlo ed esprimerlo con acutezza e nobiltà di eloquio mimico, con sensibilità e vivacità fantasiose ertamente per la perfetta interpretazione di Lyda Borelli, che una volta di più ci ha mostrato la sua arte grande.arzo. sa mante» (Gulliver, “La Rivista Cinematografica”, n. 13, 11.7.1925).
 
«[...] del 1913 è La memoria dell’altro, prodotto dalla Gloria Film, in cui Lyda Borelli (qui alla sua seconda prova cinematografica), interpreta la parte di un’aviatrice che rinuncia alle sue esibizioni aeree per amore del suo amante, che a sua volta ha lasciato per lei la fidanzata. Alla voce “soggetto”, la scheda anagrafica del film riporta un nome femminile, quello altisonante della baronessa De Rege: e vera o falsa che sia l’indicazione è certo significativo che questo personaggio di donna emancipata venisse indicato come il prodotto di un’immaginazione femminile. Ma il tema del film è proprio la trasformazione di questa donna indipendente e professionalmente realizzata in una martire dell’amore. [...] La memoria dell’altro è veramente una sorta di parabola in cui la concezione tradizionale dell’amore come premio si trova a essere completamente ribaltata: qui la donna che ha rinunciato a volare, a inseguire la sua sete di esperienza e di successo sacrificando la sua indipendenza all’amore finisce per spegnersi lentamente, per consumarsi come una candela fino all’epilogo più tragico. In ogni caso, la strana impressione provocata nel pubblico dei primi anni del secolo dalla visione di una donna impegnata in un’attività tipicamente maschile non fu probabilmente il minore fra i motivi del successo del film. Il recensore del “Il Maggese Cinematografico”, ad esempio, esprimeva tutta la sua ammirazione per le “doti speciali di aviatrice e di automobilista” di Lyda Borelli, che esordisce “spiccando un magnifico volo su un aeroplano” e dimostra in seguito la “massima disinvoltura” nel portare l’automobile. In effetti, Lyda Borelli aveva esibito pubblicamente il suo carattere sportivo e la sua curiosità per la tecnica già due anni prima, nel 1911, quando alla gara d’aviazione di Rimini aveva voluto salire su un aereo monoposto con il pilota Manissero. [...] Tratti di femminilità eroica non sono dunque del tutto assenti nemmeno nel campo del divismo di ascendenza dannunziana. [...] Ma [...] la superfemmina dannunziana non è che una variante estrema della donna fatale, un corpo pulsionale, interamente governato dal principio sessuale, come diventa in fondo Lyda una volta compiuta la sua rinuncia a volare» (M. Dall’Asta, Donne avventurose del cinema torinese, Museo Nazionale del Cinema/Il Castoro, Torino/Milano, 1998).


Scheda a cura di
Marco Grifo

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