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ENCICLOPEDIA DEL CINEMA IN PIEMONTE

Lungometraggi



La cosa
Italia, 1990, 16mm, 59', Colore

Altri titoli: La chose

Regia
Nanni Moretti

Fotografia
Alessandro Pesci, Giuseppe Baresi, Roberto Cimatti, Riccardo Gambaccani, Gherardo Gossi, Angelo Strano

Suono
Ugo Celani, Carlos Alberto Bonaudo, Ruggero Manzoni, Roberto Serra

Montaggio
Nanni Moretti



Produzione
Angelo Barbagallo, Nanni Moretti

Note
Assistenti operatori: Valerio Albarello, Mario Bertellini, Luciano Federici, Andrea Legnani, Davide Michelin; assistenti al montaggio: Lucia Deidda, Emanuela Pellarin; missaggio: Adriano Taloni; organizzazione: Gianfranco Barbagallo, Bruno Bigoni, Christian Bisceglie, Luca Bitterlin, Mimmo Calopresti, Matilde Ippolito.
 
Il film è stato autoprodotto da Moretti e Barbagalo e poi venduto a RaiTre che lo ha trasmesso il 6 marzo 1990 alla vigilia dell’ultimo Congresso del P.C.I.
La cosa è stato girato nel 1989 a: Francavilla di Sicilia, Ca’ Nuova di Genova, Bolognina di Bologna, Napoli, Carrozzerie della Fiat Mirafiori a Torino, Milano Lambrate, San Casciano Val di Pesa, Roma Testaccio.




Sinossi
Girato nel 1989-90 durante la fase di transizione dal P.C.I. (Partito Comunista Italiano) al P.D.S. (Partito dei Democratici di Sinistra), questo documentario (il cui titolo cita un’espressione di Achille Occhetto relativa all’incerta identità del partito che sarebbe uscito da questa svolta politica) mostra i dibattiti interni ad otto sezioni del P.C.I. in diversi città e paesi italiani, i dubbi e i contrasti in un momento delicato, in cui l'esistenza stessa del comunismo venne messa in discussione, dopo la caduta del Muro di Berlino. Nanni Moretti filma gli interventi degli iscritti alle sezioni senza aggiungere commenti o prendere posizione, accontentandosi di mostrare la confusione generale e le opinioni divergenti.




Dichiarazioni
«Mi pareva interessante seguire quel momento unico di autocoscienza collettiva: centinaia di migliaia di persone che, negli stessi giorni, discutevano delle stesse cose, con euforia o con smarrimento o con rabbia, ripensando al proprio passato politico e quindi alla propria vita, alla propria visione del mondo. M’hanno sorpreso una realtà più varia, meno schematica di quanto m’aspettassi; e un coinvolgimento profondo nella crisi dei Paesi dell’Est, credevo che quel rapporto fosse finito da tempo. M’ha colpito un modo di discutere sempre molto appassionato, più umano e meno velenoso rispetto ai dibattiti tra leaders. […] Ho girato in modo semplice, con piani fissi sulle persone. Tra molto materiale, ho deciso io al montaggio, arbitrariamente, cosa utilizzare. Non ho pensato a equilibrare gli interventi, tanti di consenso e tanti di dissenso alla proposta di Occhetto: ho scelto quelli che mi parevano più forti, più belli» (N. Moretti, “La Stampa”, 3.3.1990).




«Il pedinamento del militante: così, con un affettuoso omaggio allo slogan neorealista di Zavattini, si poteva forse sottotitolare La Cosa […] “Pedinamento” è però un termine (o una “poetica”) che presuppone comunque una certa mobilità, tanto dello sguardo quanto del soggetto filmato. E La Cosa colpisce invece proprio per il motivo opposto: la macchina da presa di Moretti sta sì addosso ai volti e ne registra i discorsi, ma all’insegna di un’assoluta staticità […] Molti primi piani, rari i campi lunghi e i totali, rarissimi i movimenti di macchina, una sintassi tutta affidata alle cesure del montaggio: Moretti adotta un linguaggio sobrio ed essenziale, in apparenza neutro, che lasci fluire liberamente le parole e il dibattito dei militanti di base del Pci. […] Con La Cosa, in apparenza, Moretti […] si nasconde, si mimetizza, fa di tutto per non far sentire la sua presenza. Non dice più “io”, lascia che a parlare siano “loro”. […] Le cesure, le dissolvenze e gli stacchi di montaggio, così vistosamente evidenti da scandire – come un metronomo visivo – il ritmo e il respiro del film, sono il più palese intervento d’autore sul parlato dei personaggi. Moretti taglia e ricuce, stacca e riprende, insinua attimi di silenzio nel continuum del parlato: ed opera così sul linguaggio come potrebbe fare un poeta con l’uso dell’enjambement. Il massimo di neutralità apparente coincide così con il massimo di intervento autoriale sul vero oggetto di interesse e di attrazione del film. […] Le parole, le cose, la Cosa. Chiuso in sezioni che sembrano piscine, Moretti si transustanzia con la macchina da presa, dissolve il fantasma di Michele Apicella nella trasparenza dello sguardo, gli fa raggiungere un mutismo di cosa che, come per il pirandelliano Serafino Gubbio, operatore, è più eloquente di mille discorsi» (G. Canova, “Segnocinema”, n.  43, maggio 1990).
 
«Lo sguardo metodologico di Moretti per la o prima volta "finge" di autoescludere se stesso.  Ma la sua assenza dall’interno dello schermo è in realtà un esterno riflesso sulla superficie: egli appare, nel corso dei 50 minuti, come un’ombra, in secondo piano, sfocato o solo lasciandosi citare da un oratore. […] ulla a che vedere con cinerma-verité […] Moretti predilige, piuttosto, un’operazione di teatralizzazione che ricorda – forse solo emotivamente – la messa in scena e i palcoscenici itineranti di quel teatro di piazza assai "pubblico" (ed espanso) che nei settanta taluni praticavano predicavano. […] La fenomenologia del film di Moretti così preoccupata di fondere soggettività e oggettività, soggetti "storici" e "oggetti" della disputa, presenza e assenza della mdp produce finzione, quindi anti-documentarismo. Le parole e i ragionamenti degli oratori perdono senso o ne elaborano uno del tutto indipendente dalla volontà, acquistano valore autonomo in quanto testimonianza. La cosa non è un documentario in nessuna delle accezioni più ortodosse contenute nel "termine". Piuttosto esso modula, afferra il presente e i "fatti" con le movenze, la sensibilità e i modi del cinema» (F. Bo, “Filmcritica”, n. 404, aprile 1990).
 
«En une succession de plans fixes parfois interrompus par un écran noir, Moretti ne filme pas des discussions – ce sera le dernier plan de ce film d’une heure: la foule agité et comme libérée – mais des prises de parole successives, les orateurs étant plus ou moins à l’aise, certains déclamant d’un ton exagérément théâtral, d’autres ne décollant pas du texte qu’ils ont rédigé au préalable. Il n’y a pas des contrechamp sur les réactions du public : le plan est un, même si les voisins de l’orateur attirent parfois le regard. Le contrechamp, ce seraient plutôt les événements qui ont motivé ces prises de parole, les discours des dirigeants du parti, mais aussi les images (télévisées) de la chute du mur de Berlin et des manifestations dans les pays de l’Est, à l’automne 1989. […] Moretti opère une inversion du rapport entre "acteur" et spectateur qu’instaure la télévision, en montrant ce qu’elle ne montre pas. Une seule fois, le dispositif est contourné. Dans la salle, un vieil homme révolté, debout au milieu du public, interpelle l’orateur qui, installé sur son estrade, se croyait à l’abri. Et c’est au tour de ce dernier d’être scandalisé : la règle n’a pas été respectée, son intervention n’a pas été protégée. Il y a toujours un contrechamp, une image qui manque. En comblant ce manque avec ce film qui s’inscrit chronologiquement (mais pas seulement) après Palombella rossa, Moretti fait simplement son travail de cinéaste, celui que la télévision ne fera jamais» (E. Higuinen, "Cahiers du Cinéma", n. 539, 1999).  
 
«Quant’è antipatico Moretti. Però quanto bisogna viaggiare all’indietro, sulla macchina del tempo, per trovare una cosa altrettanto bella di questa sua La cosa […] Bisogna andare all’indietro per trentasei anni. […] Fino al giugno del 1954. Bisogna inoltrarsi nel cuore dell’Italia disperata (la conservazione aveva vinto) e degasperiana. Quando apparve sul Mondo un articolo-inchiesta di Giovanni Russo […] che descriveva il settimo Congresso della Sezione comunista del quartiere Trionfale, in Roma. […] Oggi Nanni Moretti è entrato in otto Sezioni del Partito Comunista Italiano […]. Vi ha trovato le stesse persone dignitose, e offese, che Giovanni Russo trovò e descrisse a suo tempo nella Sezione Trionfale. E i loro figli, naturalmente. E i loro nipoti. Offese, ma soprattutto sorprese dalla proposta di convertire questo Pci in un’altra cosa. Quale cosa? Di che cosa si tratterà? Le ha descritte con lo stesso affettuoso rispetto di Giovanni Russo, trentasei anni fa. Nanni Moretti è sommamente antipatico. Ma uno scrittore (quale egli è, forse l’unico scrittore giovanile italiano) non è tenuto ad essere simpatico. Tutt’altro. Lasciamo che simpatico – ininterrottamente – sia Berlusconi. Da lui ci aspettiamo che sia non già simpatico ma “simpatetico” (“sympathetic” si dice, in altra lingua)» (B. Placido, “la Repubblica”, 1990).
 

«Mi pareva interessante seguire quel momento unico di autocoscienza collettiva: centinaia di migliaia di persone che, negli stessi giorni, discutevano delle stesse cose, con euforia o con smarrimento o con rabbia, ripensando al proprio passato politico e quindi alla propria vita, alla propria visione del mondo. M'hanno sorpreso una realtà più varia, meno schematica di quanto m’aspettassi; e un coinvolgimento profondo nella crisi dei Paesi dell'Est, credevo che quel rapporto fosse finito da tempo. M'ha colpito un modo di discutere sempre molto appassionato, più umano e meno velenoso rispetto ai dibattiti tra leaders. […] Ho girato in modo semplice, con piani fissi sulle persone. Tra molto materiale, ho deciso io al montaggio, arbitrariamente, cosa utilizzare. Non ho pensato a equilibrare gli interventi, tanti di consenso e altrettanti di dissenso […]. Nell'aria chiara della sezioni (alle riunioni comuniste è proibito fumare) echeggiano a novembre soprattutto domande, incertezze, turbamento: “Fortunati quei compagni che hanno le idee chiare. lo sono in crisi, la proposta di Occhetto m'è arrivata come un cazzotto in faccia”, dice un anziano. “Che cosa cambia? Non ci dicono se cambia il simbolo, se cambia il nome... Non dimentichiamo che tanti compagni sono morti, per questa falce e martello”, dice un altro anziano. “Non capisco l’attaccamento a questi simboli, che poi sono una questione d’immagine”, dice un quarantenne coi baffi. Prendendo la parola, ciascuno risale al momento in cui entrò nel pci, ciascuno esprime la propria cultura generazionale […]. A Torino uno ricorda: “I comunisti, in fabbrica, quando passava il capofficina non chinavano mai la testa, per questo mi piacevano”. […] Nanni Moretti è Nanni Moretti, il suo sguardo di regista oscilla tra commozione ed ironia, ma da quel “momento unico” sono passati quasi tre mesi, passioni e discussioni si sono placate, gli animi si sono convinti, rassegnati o scoraggiati, ai pre-congressi del pci soltanto il trenta per cento degli iscritti ha votato: alla Tv, alla vigilia del Congresso comunista, La Cosa può rischiare d'apparire già un documento storico» (L. Tornabuoni, “La Stampa”, 3.3.1990).



Scheda a cura di
Matteo Pollone

Persone / Istituzioni
Alessandro Pesci
Giuseppe Baresi
Gherardo Gossi
Nanni Moretti


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