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ENCICLOPEDIA DEL CINEMA IN PIEMONTE

Lungometraggi



Lezioni di volo
Italia/India/Francia/UK, 2006, 35mm, 100', Colore

Altri titoli: Flying Lessons

Regia
Francesca Archibugi

Soggetto
Francesca Archibugi

Sceneggiatura
Francesca Archibugi, Doriana Leondeff

Fotografia
Pasquale Mari

Operatore
Sebastiano De Pascalis, Guido Cimatti

Musica originale
Battista Lena

Suono
Giancarlo Dellapina

Montaggio
Esmeralda Calabria, Jacopo Quadri

Effetti speciali
Paolo Zeccara, Andrea Baracca, Marco Ruggieri, Michele Benigna, Fabio Luongo, Giuseppe Squillaci, Dionisio Greco, Gian Luca Rizzo, Andrea Cavallini

Scenografia
Davide Bassan

Arredamento
Mario Fontana Arnaldi, Salvatore Saito, Alessandro Vannucci

Costumi
Sonoo Deenanath Mishra, Alessandro Lai

Trucco
Lesley Lamont-Fisher

Aiuto regia
Elisabetta Boni

Interpreti
Giovanna Mezzogiorno (Chiara, la dottoressa), Anna Galiena (Lilly, madre di Pollo), Flavio Bucci (Leone, padre di Pollo), Roberto Citran (Stefano, padre adottivo di Curry), Angela Finocchiaro (Annalisa, madre adottiva di Curry), Andrea Miglio Risi (Pollo, Apollonio Sermoneta), Tom Angel Karumathy (Curry), Manuela Spartà (Monica), Mariano Rigillo (rabbino di Roma), Riccardo Zinna (grassoccio), Maria Paiato (grassoccia), Sabina Vannucchi (giovane mamma)

Casting
Elisabetta Boni

Direttore di produzione
Gianfranco Coduti, Salvatore Grimaudo

Ispettore di produzione
Marta Rassano, Stefania Antonini, Cinzia Taffani, Andrew Litvin

Produttore esecutivo
Matteo De Laurentiis

Produzione
Ennio Tozzi, Guido De Laurentis, Giovanni Stabilini, Marco Chimenz per Cattleya

Distribuzione
01 Distribution

Note
Fotografo di scena: Claudio Iannone; Supervisione al suono: Benni Atria, Francesco Cucinelli; collaboratori al suono: Clair Davis, Colin Codner, Steve Fish, Vinod Subramanian; assistenti al montaggio: Eleonora Cao, Giuseppe Trepiccione, Eleonora Quaglia, Francesco Sabes; parrucchiere: Sherman Hawthorne, Teresa Di Serio, Mariano Sabatelli; regista seconda unità: Elisabetta Boni; assistenti alla regia: Gilles Cannatella, Sameer Sadhwani, Aubin Sebastian; altri interpreti: Rosanna Mason (Anja), Raffaella Lebboroni (cliente antiquario), Massimo Rosa (cliente antiquario), Alina John (sorella di Curry), Maqsood (autista di Chiara), Mary Egnas (sorella Evelyin), Jaishree Kumari (donna anziana in fabbrica), Suresh Jain (poliziotto alla stazione), Riyas Khan (giocatore di cricket); casting in India: Gillian Hawser; segretaria di edizione: Fiorella Giovanelli; collaborazione alla produzione: Rai Cinema; coproduzione: Feroze Alameer, Fabio Conversi, Terence S. Potter, Jacqueline Quella per Flying Lessons Films, Khussro Films, Babe Films, Cinemello.
Film realizzato con il contributo del Ministero dei Beni e le Attività Culturali , Direzione Generale per il Cinema e la collaborazione di Film Commission Torino Piemonte.




Sinossi
Pollo e Curry sono due compagni di scuola, li chiamano così perché stanno sempre insieme. Dopo una bocciatura all’esame di maturità, per evitare le rappresaglie delle rispettive famiglie inventano che Curry (un ragazzo indiano adottato) è in crisi di identità e che ha bisogno di andare in India (insieme al suo amico inseparabile) per scoprire le sue origini. Il piano riesce. I due partono per l’India, ma il viaggio non assomiglierà in nulla all’idea che avevano in partenza. Pollo conoscerà l’amore prendendosi una cotta per una dottoressa di “Medici senza frontiere” molto più grande di lui. E Curry scoprirà l’India, prima con una reazione di rifiuto e poi restandone affascinato.




Dichiarazioni
«In India ero stata moltissimi anni fa, poi non ci sono tornata per venti anni. È difficile risalire all'ispirazione iniziale, sono i personaggi a determinare la storia. Mi piaceva l'idea che dei due amici uno provenisse da un altro mondo, che lui stesso non conosceva. Poi ho immaginato le possibili avventure: è vero che Pollo e Curry incontrano Chiara in India, ma è anche vero il contrario. Tutti imparano a fare una cosa nuova, come spesso accade quando c'è una grande frattura, ad esempio nel caso di viaggi lunghi e appassionanti. Il film è proprio la storia di un viaggio. […] Io non lavoro con dei bambini, lavoro con personaggi diversi, non esiste un “cinema dell'infanzia”. Forse sono gli altri a togliere i bambini dalle storie, non sono io a metterceli. I personaggi hanno una psiche, qualsiasi età abbiano. Io non gli faccio fare i bambini o i giovani. Ho scelto di raccontare due analfabeti di ritorno, due ragazzini bocciati che non sfruttano niente di quello che hanno» (F. Archibugi, www.fctp.it).





«Italo Calvino: “...l'agile salto improvviso del poeta-filosofo che si solleva sulla pesantezza del mondo, dimostra che la sua gravità contiene il segreto della leggerezza, mentre quella che molti credono essere la vitalità dei tempi, rumorosa, aggressiva, scalpitante e rombante, appartiene al regno della morte...” Francesca Archibugi descrive una serie di personaggi che sperimentano, metaforicamente, il senso del volo e, quando scoprono questa loro possibilità, si emozionano e provano paura, sulla soglia del distacco. La regista conferma di essere una vera narratrice e la sceneggiatura racchiude le profondità anche contraddittorie della rappresentazione che scorre naturalistica senza che lo spettatore avverta la presenza della macchina da presa. Nel film prevalgono le tematiche esistenziali, le miserie della società contemporanea vengono rappresentate per far pensare. Due studenti liceali, bocciati alla "maturità", scappano dalla loro vita quotidiana, dalla scuola, dai genitori, vogliono abbandonare i ruoli che recitano e la noia che provano, decidono di fare un viaggio in India per riappropriarsi di sé stessi anche se si portano dietro, inevitabilmente, la mentalità occidentale del benessere che li ha pervasi senza che ne fossero consapevoli. [...] La struttura della sceneggiatura e i dialoghi sostengono il visibile a tratti documentaristico che mostra un luogo altro con valori e costumi diversi da quelli ai quali siamo abituati, relativizzando le nostre certezze» (F. Govoni, “Cinemasessanta” nn. 292/293, aprile-settembre 2007).

«Non è la solita India, quella inquadrata da Francesca Archibugi nel suo Lezioni di volo. Non è la solita India perché se rimane l'approdo esistenziale di due diciottenni alto-borghesi alla deriva, è fortunatamente scevra degli afflati spirituali che corredano necessariamente il luogo comune del "ritrovarsi" in Oriente. [...] Forse troppo lungo (106'), Lezioni di volo è un romanzo di formazione a tutti gli effetti, pur senza seguire la lettera di un genere saccheggiato con esiti spesso insulsi dal cinema italiano attuale. A levarlo dalla mischia una partitura che non teme l'assenza di azione, ovvero la stasi narrativa, senza per questo incaponirsi in un'introspezione posticcia. Inspiegabilmente rifiutato dai festival nostrani (Venezia e Roma), il film dimostra inoltre di possedere un sottotesto sentimentalrelazionale, legato all'etica senza essere vincolato alla banalità. Sono Lezioni da prendere al volo» (F. Pontiggia, “Rivista del Cinematografo” n. 3, marzo 2007).
 
«In un vecchio apologo indiano, un maestro osserva i discepoli che tentano invano di raggiungere un aquilone, inveendogli contro. “La colpa non è sua – osserva – ma vostra, perché non sapete spiccare il volo”. Il nuovo film di Francesca Archibugi è un po' lo sviluppo di questo apologo. Parte da vicino e arriva lontano. [...] Con la sceneggiatura di Lezioni di volo, Francesca Archibugi e Doriana Leondeff sono riuscite e realizzare quello che, per il nostro cinema, è un piccolo prodigio: non rappresentare le generazioni (soltanto) come polarità opposte, ma mostrare personaggi di ogni età impegnati, ciascuno a suo modo, in una difficile ricerca identitaria. Se Archibugi continua a mettere in scena protagonisti alle prese con l'adolescenza, dimostra di avere riflettuto con finezza sui mutamenti psicologici e sociali intervenuti, negli anni, in quella fondamentale età di transito. Qui giunge, però, a rappresentare una "formazione" permanente che non riguarda più soltanto i ragazzi, ma anche i loro padri e le loro madri, nonché la trentenne Chiara, sorta di apolide esistenziale in cui l'esperienza innesca un processo destinato a cambiarle la vita. [...] Ben scritto, Lezioni di volo installa subito i personaggi e ne segue l'evoluzione con La volontà, di per sé coraggiosa, di coniugare realismo delle immagini e respiro epico del romanzo di formazione è consolidata dalla scelta della regista di "sparire" dietro la macchina da presa, quasi che la storia si narri da sé»  (R. Nepoti, “la Repubblica”, 16.3.2007).
 
«Sì: Lezioni di volo è un romanzo di formazione, e anche i rampolli della Roma alto-borghese e nevrotica hanno diritto (e bisogno!) di averne uno. Ma il vero interesse del film non sta nella lettura sociologica, bensì nel mix di generi che Francesca Archibugi padroneggia con mano fermissima: toni da commedia all'italiana (Tom Karumathy, ragazzo indiano nato a Roma, è un piccolo Alberto Sordi con la pelle scura, e la sua simpatia si mangia il film) si inseriscono in una struttura aperta, quasi documentaristica. Sembra che il film si stia girando da solo davanti ai nostri occhi, e viene in mente la lezione di Ettore Scola (e di Sordi, e Manfredi) nel mitico Riusciranno i nostri eroi.... Lezioni di volo è un bell'apologo sugli italiani all'estero (che possono essere anche eroici, come Chiara) e una lettera d'amore a un continente misterioso»  (A. Crespi, “l'Unità, 16.3.2007). 
 
«Pollo e Curry, due liceali bocciati, partono da Roma per l'India perché Curry laggiù è nato, prima di essere adottato. Ora vuole scoprire le sue radici e l'amico del cuore lo accompagna. Mentre vanno incontro a una avventurosa educazione sentimentale, il più seducente Step torna a Roma dall'America, dove è fuggito per dimenticare un amore fallito e un amico perduto. Sto confondendo due trame, ma il viaggio indiano narrato con molte pretese dalla Archibugi e il disinvolto Ho voglia di te, nuovo capitolo della vita del trionfante Step inventato da Moccia (Scamarcio), mi sembrano lo stesso film: variazioni, più o meno sincere e piuttosto banali, sulla fatica di vivere e la paura di crescere»  (C. Carabba, “Corriere della Sera Magazine”, 29.3.2007).
 
«[…] innegabile ci sembra, per quest’opera, l’importanza di The River, sceneggiato a quattro mani da Jean Renoir e Rumer Godden e ambientato in un'India coloniale, abitata da bianchi prima che da indigeni. Come le Lezioni, la pellicola del '51 registra il racconto della sua protagonista, intenta a ripercorrere le fila intricate del suo amore giovane per una figura adulta dall'eroico passato, tormentata però da un presente d'incertezza; come nel caso di Pollo e Curry, la protagonista di Renoir, Harriet, di origine europea, ha un'amica del cuore, Melanie, figlia di padre inglese e di madre indiana, sospesa nel mistero di un'identità bifronte; come nel film italiano, la vicenda passa attraverso una nascita e una morte, e si risolve nell'arrivo d'una lettera. L'Archibugi, assieme a Daniela Leondeff, intarsia il suo script di scaltre variazioni: le protagoniste di The River, evocate da un réalisateur, si convertono in due ragazzi, per l'occhio di un'autrice; nel rispetto di una stessa intenzione la nascita di una bambina, evento lieto nel racconto indiano immaginato da Harriet, diviene snodo drammatico per la vicenda di Lezioni di volo. E tuttavia, questi e altri slittamenti non tradiscono la chiara ispirazione della sceneggiatura, trasfigurata anzi in un omaggio: e il prototipo funziona, similmente alle frequenti citazioni letterarie di cui sono costellate i copioni della regista - Dickens, la Morante per citare solo le più ovvie - allo stesso tempo come ammiccamento allo spettatore, come indice di un immaginario coeso e integrato, e come “grado di separazione” rispetto alla vicenda, che, per essere letta nella sua pienezza, esige il rimando continuo al suo precedente» (T. Mozzati, “Segnocinema” n. 145, maggio-giugno 2007).
 
«Il cinema italiano prova a uscire dal tanto vituperato tinello o dall'altrettanto schifato ombelico – insomma dalla casetta piccolo borghese e dal solipsismo crepuscolare - e prende Lezioni di volo! Ormai sembra inevitabile confrontarsi con i grandi temi, con un mondo che scricchiola quasi dappertutto, dentro e fuori di noi, e così questa volta Francesca Archibugi affronta l'India, la miseria, la confusione di luoghi lontani, senza perdere di vista quelli che sono i suoi temi abituali, la famiglia, gli adolescenti, lo smarrimento delle generazioni che si confrontano e non si capiscono. L'ambizione è potente, tant'è che sono serviti cinque anni per stringere accordi, trovare soldi, scrivere una storia capace di abbracciare il qui e il là, il noto e l'ignoto [...]. Il soggetto è ottimo, l'ambientazione perfetta, Roma e l'India sono due facce di un disonore che promette di diventare coscienza e verità. Tuttavia qualcosa non funziona come dovrebbe [...]. L'incertezza sta proprio nei due giovani amici, i quali si portano appresso un tono da commedia che produce un effetto di scivolamento e che, messa di fronte agli aspetti più duri e reali, fatica a sporcarsi, a spezzarsi. Forse ci sono troppi dialoghi spiritosi, troppa leggerezza: forse un film del genere pretendeva più dolore, più fitte al cuore. Addosso ai ragazzi doveva crollare il mondo, e invece si ha l'impressione che venga giù solo qualche muro»  (M. Lodoli, “Diario”, 22.3.2007). 
 
«Francesca Archibugi fa un cinema serio e intelligente, con la capacità di rappresentare la nostra realtà sociale e umana “hic et nunc”. Non è da pochi ed è poi da pochissimi evitare di rimbambire i giovani e gli adolescenti immergendoli a testa in giù nel mare magno di sentimentalismi e ruffiane carinerie, così alla moda e in sintonia con le esigenze del botteghino. È per questo che Lezioni di volo, l'ultimo film di Francesca Archibugi è bello, utile, benvenuto, al di là dell'arido computo di pregi e difetti formali, su cui si può più che mai sorvolare. È il racconto di un viaggio in India, il più tipico dei viaggi di formazione, e nello stesso tempo la storia di un ritorno alla casella di partenza, con un giro di vita e di esperienza in più, con la conoscenza del dolore e dell'amore finalmente acquisite, ma come denaturate, prive di ogni valore risolutivo e potere taumaturgico. Nel futuro dei protagonisti c'è sempre la terrazza romana dall'alto della quale compiere il loro piccolo, liberatorio, atto gratuito, a metà strada fra i colpi di fucile del Fantasma della libertà di Buñuel e gli schiaffi ai viaggiatori del treno di Amici miei»  (F. Bona, “Brescia Oggi”, 25.3.2007).




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