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ENCICLOPEDIA DEL CINEMA IN PIEMONTE

Lungometraggi



Sangue – La morte non esiste
Italia, 2006, 35mm, 104', Colore

Altri titoli: Death Is Not the End

Regia
Libero De Rienzo

Soggetto
Libero De Rienzo

Sceneggiatura
Libero De Rienzo

Fotografia
Francesco Di Giacomo

Musica originale
Giardini di Mirò

Suono
Fabio Felici

Montaggio
Libero De Rienzo

Effetti speciali
Giuseppe Improta, Camillo Leopardi, Ricci SFX

Scenografia
Luisa Iemma

Costumi
Luisa Iemma

Aiuto regia
Saverio Di Biagio

Interpreti
Elio Germano (Iuri), Emanuela Barilozzi (Stella), Luca Lionello (Bruno), Libero De Rienzo (Adrian)



Produzione
Roberto Buttafarro, Valentina Pozzi, Libero De Rienzo per Illegalfilm77, Nitrofilm, Mikado Film, Rai Cinema

Distribuzione
Mikado

Note

Anno di produzione: 2005.

Suono in presa diretta Dolby Digital; sound design: Marco Giacomelli, Guido Zen; canzoni: Flower of Stand, Dancemania, Shadow of Happiness, Angeline, Little Cesar, Malmoe (di C. Nuccini-J. Reverberi) eseguite da Giardini di Mirò, Moya e Yr Inside the Smolet Rave on Earth (di M. Depedro) eseguite da Godsped, Lo stetoscopio del dott. Locasciulli (di F. Camici-D. Assuntino), Sui tuoi passi, Charas, Yuri spera (di F. Camici-A. Cota), Mindamao (di M. Giacomelli), Rave Reflection (di G. Zen- M. Giacomelli) Leisure Manipulation (di G. Zen), A Finish Cup Is About To Implode (di V. Faggioni-G. Zen), Too Lazy To Reach The Interface, Meet the Ancestor (di V. Faggioni-G. Zen) eseguite dai Torpedo; organizzatore generale: Ladislao Zanini.

Film realizzato con il sostegno di Film Commission Torino Piemonte.

Premio Speciale della Giuria (Grand Chameleon Award) come Miglior Film al Brooklyn International Film Festival 2006.  

 

 





Sinossi
Stella è una giovane donna che nelle sue tasche nasconde un segreto, il biglietto aereo che la porterà lontano dal padre e dal dolore per la morte della madre. Suo fratello maggiore, Iuri, ha passato metà della vita sui libri; l’altra metà a pensare a come rendere la vita degna di un libro. È infelicemente innamorato di Stella: solo quando stanno insieme, sente di avere un motivo valido per vivere. È sempre stato un passivo protagonista della sua vita, attaccato al respiro di sua sorella, fino a quando incontra per caso in un rave party Bruno, un ragazzo violento, onesto e puro che sarà l’involontario responsabile dell’esplosione della situazione, già di per sé critica, tra i due fratelli. Iuri scopre la partenza della sorella, l'abbandono. Ne nasce una rocambolesca quanto assurda fuga nelle campagne, che porta i tre personaggi, inseguiti dalla polizia, in un vortice di eventi ineluttabilmente votati alla tragedia.   



Dichiarazioni

«Sangue è il film della vita, è il primo grande amore, quello eterno, quello che sconvolge e rimane. Questo è ciò che è e ciò che racconta. È la carne del mio pensiero. Tutte le sue ingenuità sono le mie, e i suoi difetti i miei. Dalla macchina da presa al montaggio è tutta colpa mia, e dei libri che ho letto, dei quadri che amo, degli uomini che hanno lavorato affianco a me, coautori tutti del film. È un film in tre atti, che si svolgono nella progressiva scomparsa del narratore esterno, onnipresente, immanente, nella prima tranche. Dodici ore di vita vissuta raccontate in mezz’ora dalla protagonista - Stella – che commenta, giudica, sceglie cosa raccontare, e lo fa dolcemente, con “stile”, il suo. Il secondo atto è invece in tempo reale. La macchina da presa diventa carnale, fisiologica, crudele come vuole Artaud, ridicolizzante nel mostrare senza veli il terrore della vita del protagonista Iuri. La pellicola da negativo diventa un positivo (ir)reversibile, estremissimo nell’esagerazione della realtà che cattura, la musica di commento svanisce e lascia il posto a rapsodie elettriche di sonorizzazioni nervose-cerebrali, il suono della Paura, che Iuri subisce e adora. Il terzo atto: quello politico. Quello grottesco, quello italiano, quello finto o di fiction, è in realtà il più “vero” di tutti. La macchina da presa smette di vorticare in cielo, o di infiammarsi dei colori della passione o del terrore, e diventa un bianco e nero colorato, triste e determinato, fuori da un tempo solo, uguale per tutti, dentro il tempo che scorre nei nervi di Iuri. Entriamo nel mondo con le scarpe nuove della politica e un cinemascope “cinese”, che lentamente e inesorabilmente trasforma il nostro protagonista, e noi con lui, in qualcosa di eterno, come l’attimo, come gli dei, come i film. Forse. [...] In Sangue il lato artistico, quello tecnico e quello finanziario sono fusi in un unico nucleo. Questa è stata una delle idee chiave del disegno produttivo del film, all'interno di un sistema di lavoro che prevede l'adesione al progetto da parte di chi ci lavora, superando il rapporto di mera prestazione d'opera, in una forma di collaborazione stretta tra artisti e artigiani del film che, condividendone le finalità, possono agire con maggior precisione e convinzione. Sangue è sicuramente un film ambizioso, forse presuntuoso, con una linea del desiderio altissimo e una disponibilità economica molto bassa. Una scarsità di mezzi che abbiamo cercato di volgere a nostro favore, considerando che un film “povero” è un film libero. Una libertà che ci ha permesso di toccare alcuni temi sociali spesso ritenuti tabù (la famiglia, la chiesa cattolica, l'autorità dello stato), raccontati in una continua sperimentazione e ricerca stilistica» (L. De Rienzo, dalla Cartella Stampa della Produzione).






«Se Sangue fosse uscito solo qualche anno fa nessuno si sarebbe stupito: un'altra opera prima confusa e sofferta, violenta e sfrontata, priva di alcun timore se non quello di lasciare inespresso qualcosa. Oggi l'esordio di un giovane-autore-con­tante-cose-da-dire ci trova impreparati: il luogo comune di una volta è diventato un'eccentricità dal sapore vintage. [...] In Sangue esplode la carica espressiva accumulata da molti adolescenti degli anni '90, anni di vuota disperazione in confronto ai quali, sarà il caso di ammet­terlo una buona volta, il decennio precedente è stato un carnevale di Rio; ci sono le droghe sintetiche, che non da oggi svezzano gli adulti di domani anche più della televisione, checché se ne dica nei salotti di sinistra; c'è un grido emocore sintetizzato da pulsioni elettroniche e non da pedaliere e distorsori post-punk: c'è l'emozionalità irriducibile con la quale tanti ragazzi rifiutano di scendere a pat­ti, finendo chi a piangere su un palco, chi a sorridere sulle colonne della cronaca nera. Ci sono le perle di assoluta saggez­za stillate da reietti con unghie rotte e cervello in pappa (circostanza inverosi­mile soltanto per chi pensa che la Cono­scenza sia un'esclusività di ambienti più rispettabili). C'è l'incesto; ma non se ne parla, vissuto dai fratelli Stella e Iuri con l'innocenza alla Laguna blu degli scampati al naufragio. [...] Eppure l'insieme non è affatto folle, al contrario, è estremamente razionale e soppesato, come lo sguardo del bravo Elio Germano. Scarsa coesione narrativa? Sen­za dubbio. Presunzione e intellettualismo? Sicuro: Sangue sgorga direttamente dalle vene del suo autore, come in un esordio degli anni '60. Goffaggini, ridondanze, in­genuità? A bizzeffe, ma sono sbandierate con una mancanza di ritegno e una strafottenza che ricordano il Cyril Collard di Notti selvagge. II loro peso è relativo, cade tutto sulle spalle dello spettatore: sta a lui decidere se aggrapparsi ai requisiti del "benfatto" o spostare per una volta le proprie coordinate» (C. Altinier, “Cineforum” n. 455/5, giugno 2006).

«Provocatorio nello spunto narrativo, basato sull’attrazione incestuosa che lega il ribollente Elio Germano alla bella sorella Emanuela Barilozzi, provocatorio nello stile sperimentale, il film (a cominciare al titolo poco invogliante) sembra non ambire al riscontro del mercato. Oppure sì: magari con giovanile baldanza, De Rienzo è convinto che il suo film, andando a comporre il quadro di n’adolescenza inquieta quando l’amore ti pare eterno e la paura o l’esaltazione della morte è sempre in agguato, possa incontrare il gusto di un pubblico di ragazzi. Pronti a identificarsi nella miscela caotica di umori viscerali, contraddizioni, stupidaggine, disperazione e lucidità che agita l‘animo del protagonista, un sensibile Germano. Il modello è l’immarcescibile Les enfants terribles di Cocteau, che però De Rienzo dichiara di non aver letto; mentre svariati sono i suoi riferimenti espliciti, da Artaud alla cultura della droga, dai cartoni animati giapponesi a Stanislavskij, dal cinema verità al grottesco politico all’italiana. Girato in velocità e costato neppure un milione di euro, [...] irriverente contro stato, chiesa e qualsiasi autorità, Sangue è un amalgama a volte pretenzioso e non ben controllato, ma sincero nel rivendicare il ribellismo giovanile come categoria dello spirito» (A. Levantesi, “La Stampa”, 5.5.2006).

«L'esordio nella regia dell'attore Libero De Rienzo è un concentrato di presunzione e incompetenza come di rado se n'erano visti nel pur variopinto paesaggio del cinema nazionale. L'idea narrativa ricorda vagamente Il giovane Holden, la sceneggiatura si riduce a un accumulo di trovate stravaganti, la costruzione formale si basa su artifici di ripresa e montaggio già obsoleti verso la metà degli anni '20. La poetica del cazzeggio parassitario è la medesima delle pellicole di Marco Ponti, alla cui confezione accattivante si sostituisce però un'esiziale tendenza a prendersi sul serio. Alla fine ci si ritrova a fare i conti con i soliti vizi del cinema italiano (narcisismo, vanità, orpelli formali, culturali e sociali), amplificati a dismisura e traslati dal tinello al rave
party» (e.t., “Segnocinema” m. 141, settembre-ottobre 2006).

«Immagini stranianti di macachi in uno zoo. Scorcio ravvicinatissimo di un volto femminile che si intuisce appena. Di nuovo i macachi. Labbra che parlano in fuori sync di violenze familiari, amori morbosi, microcosmi alterati. C'è tutto nel folgorante incipit di Sangue. Sperimentazione, visionarietà, ambizione. Tutto tranne la misura e tutto troppo spinto agli eccessi, perché l'esordiente De Rienzo riesca a padroneggiarlo come dovrebbe. La materia è incandescente e lui dimostra non solo coraggio ma anche buone intuizioni. La forma prende però presto il sopravvento, la storia sembra sfuggirgli di mano. II marchio autoriale che pareva scorgersi nei primi minuti si perde in una storia a due claustrofobica, che pare abbandonata alla deriva di una sceneggiatura invisibile» (D. Giuliani, “Rivista del Cinematografo” n. 5, maggio 2006).

«Film estremo nei linguaggio e nei contenuti, distribuito in solo otto copie in tutta Italia dalla Mikado, l'opera prima di De Rienzo è stata girata a Torino con un budget bassissimo. A metà strada tra cinema sperimentale e avanguardia Sangue - La morte non esiste è di certo una pellicola ambiziosa e fuori dalle righe, in cui sembra che il regista abbia voluto esprimere e mettere in atto il proprio background. II film si apre con un bianco accecante e fastidioso e si chiude con un nero pesto che non lascia adito ad alcuna speranza. Complesso il lavoro registico che alterna stili e tecniche diverse. [...] Diverse e profonde le tematiche affrontate. Dal rapporto amoroso e incestuoso tra fratelli, al difficile passaggio dalla giovinezza all'età adulta, all'incomunicabilità, all'uso e abuso di droghe, tutto gira intorno al sentimento di paura e di inadeguatezza che terrorizza le nuove generazioni, espresso attraverso quel timore religioso usato dalla Chiesa per ricattare ì fedeli, quella violenza che fa abbattere duri colpi di manganello sui corpi di giovani innocenti. Pur risultando un'opera difficile da classificare, di sicuro si deve ammettere che il film di De Rienzo sia coraggioso; la composizione e lo studio delle inquadrature, omaggio al cinema dei grandi (vedi Antonioni) e alla pittura, risultano accurate e ben strutturate» (V. Barteri, “Film” n. 82, luglio-agosto 2006).

«A firmare lo script qui è lo stesso De Rienzo e a suo dire c’ha messo dentro tutto se stesso, vissuto, letture, visioni eccetera. Il che va bene, anzi è ottimo, come diceva Moretti citando Godard, "io non parlo di cose che non conosco". Ora però bisognerebbe chiedersi quanto sia necessario in fase di scrittura e di regia poi l’eccesso di materiale. Il primo problema è manageriale, di gestione. Come organizzarlo in maniera non caotica? se è vero che il film eccede, bisogna anche riconoscergli il merito di non cadere nello stereotipo generazionale [...] però la confusione, il caos organizzativo dei materiali, che sembra la caratteristica generale del film, impedisce anche di amalgamare le parte tra loro. Perché, se è vero che in fondo alcuni personaggi e alcuni momenti funzionano e risultano credibili e autonomi rispetto a una presunta generazione d’appartenenza [...], è anche vero che alla lunga essi perdono i pezzi essenziali del proprio carattere e cominciano a girare su se stessi, come dervishi senza estasi, ma solo col mal di testa. E non migliora la situazione l’utilizzo di diversi registri narrativi e visivi, che a dire il vero fanno un po’ difficoltà a convivere (nonostante la separazione in capitoli). Si passa infatti dalla commedia al dramma o viceversa, spesso mischiando i due registri, o quantomeno tentando di farlo, passando per un po’ di sperimentale, fotografia spinta, qualche macaco in campo, per finire poi con un presunto finale comico (come annuncia la didascalia sul nero) in cui il grottesco che si vorrebbe è appena sfiorato, cadendo nel ridicolo [...] È possibile a questo punto chiedersi se ci sia uno stile visibile in questo Sangue? Tutta questa confusione è l’espressione di un modo di essere regista? Forse, o quantomeno ne è un tentativo. Non è improbabile che De Rienzo, possa arrivare, se mai ne avrà possibilità, a una coscienza del mezzo e del racconto più matura, che non sia accumulo di cose da dire ma capacità di discernere e calibrare. Insomma staremo a vedere se, come dice lo spagnolo da lui stesso interpretato, anche De Rienzo ucciderà il niño che si porta dentro per superare la paura del silenzio, o se almeno una prossima volta diluirà la summa del De Rienzo-pensiero in piccole dosi» (E. Barzaghi, 22.8.2005, www.cinemavvenire.it).
 
 «È un esordio inconsueto, spiazzante quello di Libero De Rienzo dietro la macchina da presa. Emerso come attore con Catherine Breillat (A mia sorella!) e affermatosi con Marco Ponti (Santa Maradona soprattutto ma anche A/R - Andata + ritorno), con Sangue - La morte non esiste ha realizzato un film rabbioso, con la macchina da presa che si sposta nervosamente o sta attaccata sui corpi, quelli di Iuri (Elio Germano, uno dei migliori giovani attori italiani del momento) e Stella (Emanuela Barillozzi), due fratelli legatissimi e diversissimi. [...] De Rienzo entra con forza all’interno dell’intimità dei due protagonisti, attraverso due atti e un epilogo, si mette totalmente in gioco e si sporca le mani. La sceneggiatura, ad opera dello stesso cineasta, è solo una traccia che viene progressivamente decomposta. Così Sangue - La morte non esiste procede per flash, per accecanti allucinazioni (la forte presenza cromatica del rosso), per apparizioni improvvise come quella di Adrian - interpretato dallo stesso regista - che si presenta a Iuri, per sconfinamenti dentro territori quasi dark evidenti soprattutto nel rave party. [...] Nel finale, durante la finta predica del protagonista durante il funerale di un carabiniere e della figlia che si è suicidata – fatto di cronaca che ricorre, come elemento di rottura ma anche come ossessione – Sangue - La morte non esiste sembra sbandare nel tentativo di avvicinarsi alle forme del grottesco e quell’impeto, quella repulsione al sistema, appare soltanto urlata ma non raggiunge come nel resto del film. Per il resto lo sperimentalismo visivo di De Rienzo non è il risultato di un’operazione teorica ma soprattutto fisica, fatta con gli occhi e con tutto il corpo. Un film sporco Sangue - La morte non esiste, decisamente rischioso ma sicuramente coraggioso» (S. Emiliani, www.sentieriselvaggi.it, 7.5.2006). 
 


Scheda a cura di
Franco Prono

Persone / Istituzioni
Libero De Rienzo
Elio Germano
Emanuela Barilozzi
Luca Lionello


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