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ENCICLOPEDIA DEL CINEMA IN PIEMONTE

Lungometraggi



Scacco pazzo
Italia, 2003, 35mm, 93', Colore

Altri titoli: Crazy Mate

Regia
Alessandro Haber

Soggetto
da un testo teatrale di Vittorio Franceschi

Sceneggiatura
Vittorio Franceschi, Alessandro Haber

Fotografia
Italo Petriccione

Musica originale
Giuseppe Fulcheri

Montaggio
Osvaldo Bargero

Scenografia
Renato Iori

Costumi
Agata Cannizzaro

Aiuto regia
Federico Badiali, Duccio Fabbri

Interpreti
Alessandro Haber (Antonio), Monica Scattini (Marianna), Vittorio Franceschi (Valerio), Vittoria Benvenuto, Enrico Bonada, Federica Cassini, Giovanna Cavallo, Gabriella Ferrero, Lorenza Gilli

Ispettore di produzione
Francesco Beltrame

Produzione
Giorgio e Marco Leopardi per Key Films

Note
2650 metri.
Il film, realizzato con il contributo del MiBAC e di Film Commission Torino Piemonte, è stato quasi interamente girato a San Giorgio Canavese negli studi di Telecittà.
 
Locations: Torino (via delle Rosine, via degli Artisti).
Teatri di posa di Telecittà a San Giusto Canavese (TO).
 
Premi: Miglior Film al Levante FilmFest 2004.




Sinossi
È la storia del rapporto tra due fratelli di mezza età: Antonio, da anni in preda a una crescente regressione infantile, e Valerio che lo accudisce e ne asseconda le manie anche travestendosi ora da padre, ora da madre. All'origine un fatto luttuoso: la donna che doveva sposare Antonio muore in un incidente stradale provocato da Valerio il giorno delle nozze. Il rapporto fraterno è scompigliato dall'arrivo in casa di Marianna che Valerio vorrebbe sposare.




Dichiarazioni
«Abbiamo realizzato un film poetico, che ti prende la testa e il cuore, ti arricchisce, fa riflettere e fa guardare alla vita. Noi siamo distratti dalla quotidianità e non sappiamo quante storie, dolci o strazianti, si nascondono dentro le case; e quando lo veniamo a sapere rimaniamo stupefatti. Scacco pazzo è una di quelle storie che  possono accadere ovunque» (A. Haber, www.fctp.it).





Non è teatro filmato. Nel suo esordio registico Haber traspone l'azione teatrale nello spazio aperto e complesso di un grande appartamento, arredato all'antica e percorso dalla mobile cinepresa di Italo Petriccione. Regia funzionale al servizio degli attori, dell'inquietante corpo attoriale di Alessandro Haber, ma anche di Vittorio Franceschi, sottile nell'indossare la maschera dell'uomo comune con interiori sensi di colpa, e del brio controllato di Monica Scattini. Anche a causa di guai distributivi, il film non ha avuto il successo che meritava. La malattia mentale fa sempre paura.
 
«Per esordire come regista questo attore che è tra i più rappresentativi della ricostruzione di un cinema italiano degno di attenzione e di affetto da parte del pubblico lungo la risalita degli anni 90, porta sullo schermo una commedia che aveva interpretato a teatro accanto all’autore Vittorio Franceschi e a Monica Scattini per la regia di Nanni Loy, cui il film è dedicato (come alla memoria di Piero Natoli). Una scommessa con la convenzione, la ritualità, la staticità teatrali. Si tratta di due fratelli attempati che nella cupezza di un enorme appartamento trascinano un gioco di ruoli. Molti anni prima, il giorno del matrimonio di Antonio (Haber), la promessa sposa è morta a causa di un incidente e alla guida dell’auto era Valerio. Da allora Valerio asseconda la regressione psichica di Antonio - vera o venata di ricatto vendicativo? - arrivando, a richiesta, a travestirsi da mamma, babbo e fidanzata bionda. Rompe il delirante equilibrio Marianna, la ragazza con la quale Valerio spera di rifarsi una vita sottovalutandone l’impatto con l’attraente follia del fratello. infatti tra i due si stabilisce una complicità fino a che Marianna se ne va, ma non per orrore del “pazzo” (che ha tentato di violentarla imponendole il ruolo dell’altra) bensì disprezzando Valerio e la sua piccolezza, la sua ignoranza» (P. D’Agostini, “la Repubblica”, 18.10.2003).
 
««Alessandro Haber, ai suoi esordi registici, ha ragione della difficoltà del testo e del suo impianto teatrale, dando vita a un film (giustamente) cupo e concentrazionario, per lunghi tratti grottesco, con iniezioni surreali e superbe accensioni poetiche. Potenzialità del mezzo e figure del linguaggio cinematografico sono utilizzate con padronanza e misura, sempre a rafforzare il registro significante e espressivo, e mai (come spesso accade per i film di esordio) come vezzo o come saggio stilistico. In scena, oltre ai tre interpreti (lo stesso Haber, Franceschi e Scattini) che, senza sbavature, conducono il gioco con grandi prove attoriali, il regista chiama anche l’ambiente a diventar personaggio. Grazie alle luci sapienti – sempre a tono con gli accadimenti - di Italo Petriccione, la casa-galera sa suscitare sentimenti al pari degli uomini che la abitano. La macchina da presa di Haber si sofferma con grande cura e rispetto fin sui dettagli più piccoli, racconta con le tappezzerie, i soprammobili, le strisce di luce sul pavimento. Con estrema replica orologi acutezza rinuncia a univoche prese di posizione, in una vicenda in cui carnefici e vittime si fondono e si confondono di continuo. Non solo cinema, dunque, ma grande cinema, che mette a nudo, per analogia o per metafora, ferite, rivalse, piccole lotte dissimulate e sepolte nel nostro passato o nel nostro presente, con delicatezza e umiltà, senza necessariamente pretendere eclatanti catarsi, ma accontentandosi di condurci in un viaggio nelle profondità interiori dell'essere umano. Che, in un periodo di squallide evasioni in esotismi vacanzieri, non può far altro che bene, e non soltanto al nostro cinema» (R. Farina, “Cinemasessanta” n. 6/274, novembre-dicembre 2003).
 
«Che Alessandro Haber sia uno dei migliori attori italiani in circolazione non è una novità. Ma non ci saremmo aspettati che riuscisse a cimentarsi così bene anche dietro la machina da presa. Scacco pazzo nasce come opera teatrale. La scrisse Vittorio Franceschi e la portò sulle scene il compianto Nannì Loy. La trasposizione cinematografica, che doveva essere diretta proprio dal regista di Mi manda Picone, è invece frutto della collaborazione di Haber e Franceschi, i quali, rimettendo mano al testo teatrale e adattandolo per il grande schermo, firmano un film stralunato e grottesco, poetico e malinconico, amaro e bellissimo. Interamente girato negli scuri meandri di un appartamento labirintico (gli esterni sono quelli di un condominio abitato da inquilini meschini e abietti, volgari ed eccessivi), il film non risente dell'unità di luogo anzi ne fa una delle sue migliori cifre stilistiche. È in questo microcosmo che prende vita la follia. Una follia che deve molto all'Enrico IV di pirandelliana memoria, dove i fantasmi di ieri si sposano a quelli dell'oggi, dove le maschere cambiano vorticosamente di posto, dove la simulazione e il ricatto, il rimorso e la voglia di evasione, le lacrime e il dolore si congiungono alle effimere certezze del vissuto. Insolito e agli antipodi da qualunque cosa si produca nelle italiche case di distribuzione (onore al produttore Giorgio Leopardi che ha creduto in un progetto così "pericoloso"), Scacco pazzo è una sorpresa nell'asfittico panorama del nostro cinema. [...] Nessuna concessione alle mode del momento (non a caso il film non ha una precisa datazione storica), o alle situazioni più accomodanti, nessuna voglia di essere politicamente corretto, o di rincuorare il pubblico pagante: Scacco pazzo mette in scacco la vita (dei protagonisti insieme alla nostra), ricordandoci ancora che non è mai stata meravigliosa» (C. Paris, “Film” n. 66, novembre-dicembre 2003).
 
Il film ha il merito di farci entrare in questo microcosmo agorafobico, e lo fa intrappolando la macchina da presa tra le mura domestiche e limitando le riprese esterne ai soli balconi o cortili (luoghi anch’essi chiusi, comunque limitati da ringhiere e cancelli). A destabilizzare questo precario equilibrio domestico sarà l’arrivo in casa di Marianna (Monica Scattini), la fidanzata di Valerio: Antonio, all’inizio, farà di tutto per allontanarla, temendo di poter perdere l’influenza dominatrice che ha sul fratello, successivamente capisce, invece, che Marianna lo asseconda e lo capisce e allora la trasporta nel suo mondo infantile, così surreale e fantastico. Logica conseguenza di tutto ciò è che, in questo ménage à trois, l’unico a non riuscire ad entrare nel mondo fanciullesco di Antonio è Valerio, il quale vive la sua vita in modo ordinario, cerebrale, di testa non di cuore: è così che verrà estraniato dagli altri due, per questa sua incapacità di "straniarsi", appunto, dalla realtà oggettiva della vita di tutti i giorni. All’inizio del film, un lungo dolly indugia sulle finestre di un palazzo per poi entrare definitivamente in una di esse: dei tanti mondi che si nascondono dietro una finestra, il regista ne sceglie uno, ma la scelta poteva anche ricadere su un’altra storia. Il suo desiderio è quello di mostrare una piccola realtà quotidiana, nascosta, come tutte le altre, dietro un muro od una finestra. E poco importa se durante il film, da una televisione, vediamo le immagini della caduta del muro di Berlino (collocando dunque il racconto nel 1989): in un mondo dove sono in corso dei cambiamenti epocali, ci sono tante persone che, nella penombra di mille serrande abbassate, vivono la loro esistenza fatta di pazza normalità lontano dai riflettori e dalla telecamere. Insomma, un piccolo film indipendente che riesce a far sorridere e far pensare: ed è con opere come questa che sogniamo una piccola rinascita del cinema italiano, con la capacità e la voglia di rischiare per un progetto lontano anni luce dagli incassi sicuri» (L. Leone, www.cinemavvenire.it, 17.10.2003). 


Scheda a cura di
Vittorio Sclaverani

Persone / Istituzioni
Alessandro Haber
Monica Scattini
Vittorio Franceschi


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