Torino città del cinema
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ENCICLOPEDIA DEL CINEMA IN PIEMONTE

Cortometraggi e Documentari



Terra madre
Italia, 2009, HD-TV, 78', Colore


Regia
Ermanno Olmi

Soggetto
Ermanno Olmi

Sceneggiatura
Ermanno Olmi

Fotografia
Fabio Olmi, Mario Davoli

Operatore
Giulio Ciarambino, Giacomo Gatti, Gaia Russo Frattasi, Alessandra Gori, Stefano Slocovich, Renato Giuliano, Giampaolo Bigoli, Paolo Giacomini, Massimiliano Pantucci, Luca Cerri, Fabio Rocchi

Musica originale
Francesco Liotard, Gilles Barberis

Montaggio
Paolo Cottignola, Mario Piavoli

Aiuto regia
Franco Piavoli, Maurizio Zaccaro, Mario Brenta



Produzione
Gian Luca Farinelli, Beppe Caschetto per Cineteca di Bologna, ITC Movie, Rai Cinema

Distribuzione
BIM Distribuzione

Note
Collaborazione alla regia: Franco Piavoli  (L'orto di Flora), Maurizio Zaccaro  (L'India di Vandana Shiva), Ignazio Roiter e Fulvio Roiter  (testi e immagini  de L’uomo senza desideri); voce narrante: Omero Antonutti; con la partecipazione di: Ampello Bucci, Maurizio Gelati, Carlo Petrini, Pier Paolo Poggio, Marco Rizzone, Aldo Schiavone, Vandana Shiva, Angelo Vescovi; assistente al montaggio: Federica Ravera.
 
La canzone Un albero di trenta piani è stata concessa amichevolmente da Adriano Cementano.
Film realizzato con il contributo di Ministero per i Beni Artistici e Culturali, Slow Food, e il sostegno della Film Commission Torino Piemonte.




Sinossi
Nel luglio del 2006 Carlin Petrini ha invitato Ermanno Olmi a far conoscere alcuni esempi positivi di difesa della produzione alimentare tradizionale realizzati da comunità agricole in varie parti del mondo e dai presidi Slow Food. Olmi ha iniziato le riprese in occasione della manifestazione Terra Madre svoltasi a Torino nel 2006. Ha poi organizzato il lavoro di alcuni operatori e registi che hanno documentato diverse esperienze agricole. Obiettivo di questa iniziativa è quello di mostrare non un mondo contadino in via di estinzione, ma le suggestioni che emergono dal lavoro quotidiano e dall’esistenza di coloro che oggi rispettano la terra in cui vivono. Il ruolo di Slow Food è proprio quello di proporre una possibile soluzione ai problemi climatici e di fame nel mondo, restituendo ai prodotti alimentari e ai loro produttori il loro ruolo centrale che meritano all'interno del mondo contemporaneo. 




Dichiarazioni
«Il primo appunto che Carlo Petrini mi ha inviato è del 1° luglio 2006. E dice: "questo sarà un film politico e preveggente per far conoscere a tutti coloro che ancora non sanno, quegli esempi positivi che le Comunità dei contadini di tutto il mondo e i Presidi Slow Food mostreranno nel corso del grande raduno Terra Madre 2006 a Torino". E io, naturalmente, ero fra coloro del nostro tempo che non conoscevano la solidale unione di intenti testimoniati in questo raduno mondiale fra tutte le Genti contadine. Uomini e donne che nelle loro terra ancora resistono all’incalzare di una delittuosa politica di sfruttamento esasperato e devastante dei suoli fertili, unica risorsa per il cibo di tutti i popoli. Una testimonianza eroica di eterna e leale alleanza con la natura e i suoi frutti. Un’alleanza che non ha barriere di lingue, divisioni di ideologie e religioni, né confini di Stati. Al Forum di Terra Madre ho riconosciuto i contadini come li ricordavo nelle nostre campagne, al tempo della mia infanzia. I volti dei contadini si somigliano in ogni angolo del mondo. Sono volti su cui si riconoscono le medesime tracce di vita, così come le fisionomie dei paesaggi con i campi arati, le colture, i pascoli. Oggi quel mondo dei contadini è assediato dalle grandi imprese il cui scopo è nel profitto. Anche il contadino vuole guadagnare, ma il suo attaccamento alla terra è anche un atto d’amore ed è in questo sentimento solidale che si genera il rispetto della Natura. Sono sicuro che questi onesti cittadini non tradiranno mai la loro Terra. E noi cittadini metropolitani, che viviamo inscatolati nelle nostre città, senza più i colori e i profumi delle stagioni forse, in un giorno molto prossimo, se ci capiterà di passare accanto a un orto dove un nonno e una piccola bimba colgono i frutti maturi, allora potremo ancora riconoscere la vera casa dell’uomo» (E. Olmi, www.fctp.it).
 
«In effetti mi piace pensare a Terra madre come a un film corale. Ho coinvolto gli amici, e abbiamo com­piuto questo cammino insieme. Mario Brenta mi ha fatto da aiuto regista, Maurizio Zaccaro ha curato la parte sull'India di Vandana Shiva, mentre a Franco Piavoli ho chiesto di realizzare la parte che racconta la costruzione di un orto. Mi sembra che fra noi ci sia una comune sensibilità. E un'identica disponibi­lità a confrontarsi con quei ritmi cosmici che - come diceva Zanzotto - sono quelli che governano la vita» (E. Olmi, “Duel” n. 52, maggio 2009).
 
«C’è un interrogativo retorico, spesso frequentato ma senza risposta: Chi siamo? Dove andiamo? In una testimonianza che il filosofo Hans Jonas ci ha lasciato nel suo ultimo scritto del 1993 è possibile trovare una traccia. Secondo lui le tensioni razziali che hanno dominato in modo drammatico il ‘900, mostrandosi impenetrabili al progresso della razionalità, sono destinate a divenire irrilevanti di fronte a un nuovo problema che è venuto alla luce a partire dalla seconda metà del secolo appena trascorso: la sfida che un intero ambiente in pericolo getta in faccia all’ umanità. Stretto da questa sfida il genere umano per la prima volta diventa un tutt’uno; tutt’uno nello spogliare la propria casa terrena, tutt’uno nel condividere il destino della propria rovina, tutt’uno nell’essere il possibile salvatore di entrambi: la Terra e se stesso. Una volta era la religione che ci minacciava con il Giudizio alla fine dei nostri giorni, ora – sempre secondo Jonas – è l’alterata condizione del nostro pianeta che predice l’arrivo di tale giorno senza nessun intervento divino. Ebbene, credo che un film che documenti Terra Madre possa essere l’occasione per riflettere su questo punto» (E. Olmi, “La Stampa”, 20.10.2006).

«Quali sono state le ragioni per cui il nostro tempo ha fallito il suo proposito di porre le condizioni permanenti per una autentica e solidale convivenza civile? Dove sono finiti tanti entusiasmi per le moderne economie delle società del benessere e tutte le baldanzose euforie per le ricchezze dei capitali che potevano fruttare come le monete d'oro seminate da Pinocchio nel campo dei miracoli? I gatti e le volpi di questi ultimi anni stanno mutando rapidamente pelo per nascondersi sotto altri camuffamenti. […] Da parte mia, sono fiducioso. E stavolta lo sono davvero, come non lo sono mai stato prima d'ora. Non sarà facile e ci vorrà tempo, volontà e sacrifici, così come ogni importante trasformazione richiede. Ma oramai non si torna più indietro. Il superamento di ogni condizione di difficoltà è sempre e solo nel coraggio del cambiamento: e quindi nel futuro» (E. Olmi, “Il Sole 24 Ore”, 8.2.2008).
 
«Solo la sensibilità di Ermanno Olmi poteva interpretare l’alto valore etico e morale di questa straordinaria assise che è Terra Madre. Una rete planetaria fatta di uomini, pensieri, lavoro e culture presente in 153 Paesi del mondo, che va seminando e coltivando le giuste idee di difesa della biodiversità, rispetto dell’ambiente e dignità del cibo, per un futuro di pace e di armonia con la Natura» (C. Petrini, www.terramadre2008.org).





Con Terra madre Ermanno Olmi si occupa di contadini e si affida per la musica a Celentano. Entrambe sono non notizie, che danno però il senso di una continuità e di una coerenza piuttosto rare nel panorama del cinema non solo italiano. […] La scelta più facile sarebbe stata quella di far vedere un mondo che va scomparendo, usanze vecchie di millenni che rischiano di perdersi di fronte alla globalizzazione condite con un po' di quel compiacimento folkloristico (e voyeuristico) con cui il Primo Mondo guarda quanto sta avvenendo nel resto del pianeta. Invece Olmi compie un'operazione completamente opposta, raccontandoci come l'aggettivo intensivo coniugato con il sostantivo agricoltura generi errori e orrori. Tutto questo però non è da vedere come una specie di trattatello militante. Olmi fa poesia con te immagini e le immagini ci restituiscono poesia e suggestioni […] È come se la via Gluck non fosse più il ricordo di un cantautore, ma il progetto di una nuova città. È come se il Viaggio lungo la valle del Po, l'inchiesta che Mario Soldati compì già negli anni Cinquanta per raccontare un'Italia che stava scomparendo, non fosse la testimonianza di un passato ma il progetto di un futuro» (S. Della Casa, “Rivista del Cinematografo” n. 5, maggio 2009).

«Ricongiungersi con la terra. Ermanno Olmi nella sua ultima opera ci indica la strada. La prima parte del film è consacrata al grande raduno Terra Madre (7.142 partecipanti costituiti da 6.325 delegati da 153 Paesi), il cui oriz­zonte è segnato da Vandana Shiva (Presidente della Commissione Internazionale sul futuro dell'ali­mentazione e dell'agricoltura): “Vivere con meno sarà il nuovo Rinascimento». […] Poi tocca a Olmi gestire con acume e tempismo la tenue trama di un racconto dove gli umori della natura, la pioggia, la neve, il freddo, una notte stellata, il lavoro nei campi, la potatura sembrano proporsi come specchio di un "nuovo" pensiero. Povero, puro, fatto di niente, in perfetta sintonia con un universo raccol­to che ci restituisce una saldezza morale ormai per­duta (la palingenesi che avvolge gli stralci da L'uomo senza desideri di Ignazio e Fulvio Roiter stordisce ed emoziona). Un mondo chiuso, anche, e geloso delle sue chiusure; vero, ma fermo, immobile in una sicu­rezza che gli viene dal conforto di consuetudini ata­viche, da gesti ripetuti da millenni dove l'emozione poetica nasce dagli scorci di vita campestre. Dove la lentezza riappare come valore. Un'esistenza intatta e tuttavia non imbalsamata nella sua saldezza (mora­le, fisica) che ci suggerisce di ricominciare da capo, umilmente, senza strepiti» (M. Rota, “Duel” n. 52, maggio 2009).
 
«L'opera di Olmi procede dalla terra perché è ontolo­gicamente un cinema di stagioni, processioni ine­sauste (Cammina cammina), cicli vitali che marcano il tempo e la storia, gleba da servire con una dedi­zione che ha una sua arcaica nobiltà, prescindendo da funzioni e ruoli sociali, bensì rispondendo a un ordine che è intimo e necessario per ognuno, a una funzione etica dello stare sulla Terra nella prospet­tiva di una complessità che ci comprende sovrastan­doci (Genesi - La creazione e il diluvio), piantati come alberi, frazioni di un insieme che rappresenta la vera incognita e le potenzialità di un essere davve­ro libero... Da una parte il mondo, dall'altra l'individuo: Olmi non ha mai cessato di fare cinema lungo quest'asse, cercando di risolvere il nodo della modernità nel rapporto tra la natura e l’uomo, nella consecutio di un processo di trasformazione che sovrappone strati di esistenze e di esistenti. […] Sia pure con la propria natura "embedded", col suo essere inserito in un progetto di Carlo Petrini e Slow Food, questo documentario di Ermanno Olmi si rivela coerente con quel percorso di identificazione della specificità umana nella relazione tra Storia e Mondo che in fin dei conti rappresenta da sempre il nucleo stesso del cinema olmiano. Lunga vita alla Terra madre, verrebbe dunque da dire: l'assise tori­nese voluta da Slow Food è il banchetto di una vene­randa signora che Olmi osserva attento all'accadere marginale, cercando il punto di svolta per ribaltare la prospettiva» (M. Causo, “Duel” n. 52, maggio 2009).
 
«Tra gli aspetti linguistici che marcano visiva­mente Terra madre ricollegandolo imme­diatamente alla poetica di Olmi, si impone l'utilizzo di uno stile di ripresa che avvicina gradual­mente alla comprensione dell'opera. Un primo o un primissimo piano, un dettaglio, un particolare e poi, seguendo il fluido scivolare e il lento accostamento, l'affiorare di una meditazione penetrante. Si scopre che dietro un volto o accanto al tronco di un albero, o ancora tra le zolle di un campo sopravvive una storia, il passato, la traccia. Se la preponderanza della parola nella prima parte del documentario riveste un ruolo esplicativo/informativo (testimoniale appunto), nella seconda è l'immagine a colmare il mutismo e a riem­pirsi di suoni, rumori, voci dall'ambiente. […] Questo modo di osservare fondato sulla centrali­tà del simbolico piuttosto che sulla definizione - indi­rizzato alla prevalenza del sistema segnico su quello discorsivo - riveste la Natura e le immagini (il cinema in ultima istanza) di una valenza profondamente sacra: esiste un ordine da non violare, un'intelaiatura perfetta nella quale ogni cosa possiede una funzione e un posto. Plasmarlo o regolarlo con leggi aliene altera il cosmo inserendovi un'interferenza culturale che lo rende caotico» (I. Moliterni, “Duel” n. 52, maggio 2009).
 
«Molteplici e differen­ti per estrazione e linguaggio sono […] i materiali che Olmi assembla per portare avanti un discorso al contra­rio coerente e finanche ridondante nella propria eviden­za: così al formato amatoriale dell'inizio si giustappon­gono i filmati d'archivio concessi dalla Global Group Diversity Trust, le riprese "istituzionali" delle varie convention sono inframmezzate da inquadrature di stampo "trascendentale", spezzoni di origine televisiva (Superquark) si amalgamano con le immagini realizza­te in India da Maurizio Zaccaro. A un certo punto però Olmi sembra fermare tutto, e cambiare direzione in maniera tanto netta quanto rivelatrice. Alla confusione delle assemblee si sostituisce la compostezza di un giar­dino, al vociare delle interviste la solitudine del lavoro, al disordine dell'uomo l'ordine dei cicli naturali. Inizia così un vero e proprio film nel film, non più documenta­rio in senso stretto ma neppure fiction: un poema visivo muto designato nei titoli come L'orto di Flora e diretto da Franco Piavoli, che riproducendo il corso delle sta­gioni (come in Voci nel tempo) occupa i 30 minuti fina­li, vale a dire poco meno della metà dell'intera opera. […] Forse il contadino di Piavoli è l'uomo descritto da Virgilio nell'incipit, forse è quello che sarebbe diventato l'agricoltore uscito dal mondo se il suo amore fosse stato corrisposto, e avesse generato una famiglia. L'elegia del lavoro nei campi non ha rispar­miato la fatica e gli affanni, ma qui non vi è folle radicalità né solitudine, i bambini si rincorrono riempiendo di voci gli spazi. Ed è nuovamente autunno: il vecchio si nutre del caco al pari del passero, giacché la natura si rigene­ra, mangia se stessa per ricrearsi. Il poco si volge nel molto, il piccolo nel grande, il vuoto nel pieno. Se i suoi frutti rilucevano come pietre preziose, ora il contadino­banchiere (che non può non richiamare la straniante sequenza alle Svalbard, involontariamente tombale nel suggerire un Giardino dell'Eden congelato in eterno ai confini del mondo) ordina il proprio forziere, i barattoli come salvadanai catalogati, mentre rigira tra le dita un pugno di fagioli come una manciata di monete d'oro» (M. Toscano, “Duel” n. 52, maggio 2009).
 
«Più che girato direttamente, il film è concepito e composto da Olmi, che ha sguinzagliato per l'occasione sodali vecchi e nuovi, fra i quali Maurizio Zaccaro in India e l'eremita Franco Piavoli a registrare foglia per foglia come crescono le culture sotto i Monti Lessini. […]  Intervengono storici, sociologi, contadini, gente comune. E intanto la macchina da presa spazia in varie parti del mondo fornendo immagini a supporto, a volte struggenti a volte incantevoli. A differenza che nei prodotti Disney, qui non c'è patina, niente animaletti antropologici che danzano: c'è la realtà nuda e cruda ed è già abbastanza per fare spettacolo nel rapido trascorrere dall'informazione, dalla polemica e dalla denuncia alla poesia più rarefatta. Bellissima la frase fiduciosa di uno studente del Massachusetts che ha creato un orto modello: “Le piccole cose diventano grandi cose». Potrebbe essere il motto di tutta la sorprendente carriera, non solo cinematografica, di Ermanno Olmi, che da autore minimalista è pervenuto ai massimi problemi» (Tullio Kezich, “Corriere della Sera”, 8.5.2009).
 
«La democrazia, per Olmi, nasce e cresce nell'orto del mondo e in questo utilissimo documentario girato per Slow Food va in giro nel mondo a documentare le opere e i giorni della vita quotidiana nei campi, a intervistare i nuovi e vecchi guru della Natura Tradita, finendo col contadino trentino. Un viaggio nel rispetto della Terra, cui hanno collaborato i complici del grande autore da Zaccaro a Piavoli, la sfida dell'alimentazione globale contro il rispetto dell'uomo» (M. Porro, “Corriere della Sera”, 11.5.2009).
 
«Piavoli, che ha 76 anni, è andato in una valle dell’Adige dove “il paesaggio è primitivo, un posto dall’atmosfera primordiale, dove gli orti e i vigneti crescono tra una roccia e l’altra”. Lì, tra gole, rupi e vette, il lavoro della terra acquista un senso quasi mistico: “Gli innaffiamenti, i trapianti, diventano riti, atti religiosi, e lo sbocciare dei primi frutti è come un miracolo che si rinnova”. Miracolo della vita, naturalmente, visto che, in mezzo a quei germogli, spunta il volto di una bambina, nipote di un contadino, frutto della terra filmato nella progressiva scoperta di ineguagliabili meraviglie: il sapore di una ciliegia, il rosso acceso dei peperoni. Le grida di gioia diventano colonna sonora del film: “Sono cresciuto proprio accanto a quella valle, conosco quel panorama, disteso tra il lago di Garda e il dilatarsi della pianura Padana, ho frequentato la zona fin da piccolo e provo nei suoi confronti un vero innamoramento. Non nego l’importanza degli Ogm, ma sono convinto che sia necessario riscoprire percorsi nuovi e nuove ricchezze, in questo senso la valorizzazione dell’agricoltura acquista una valenza etica e politica» (F. Caprara, www.lastampa.it).
 
«Nel documentario di Olmi non manca l'exemplum, anzi le iniziative controcorrente si moltiplicano, ma abituati come siamo all'ipercementificazione del nostro ambiente circostante, che arricchisce soltanto pavidi imprenditori e amministratori locali, Terra Madre sembra risultare esteticamente, quindi eticamente, un film fatto di fuori campo, in cui la macchina da presa stringe dove vuole per lasciare fuori dall'inquadratura il Suv di qualche contadino dirimpettaio. Bucolico e leggiadro, Terra Madre è selezione di buoni intenti, senza fornire, volontariamente e nonostante le barricadere parole di Petrini, iniziative politiche collettive sul territorio locale per uscire dal seminato […]. Basteranno Celentano che canta in chiusura di film Un albero di trenta piani Olmi e Piavoli a rimirare le api con una focale lunga come in Microcosmos e Petrini con gli ottimi prodotti slow food a costi proibitivi, per invertire il trend internazionale del totale disinteresse per la difesa dell'agricoltura tradizionale?» (D. Turrrini, “Liberazione”, 7.2.2009).

«C'è tutta la visione del mondo di Ermanno Olmi nel film documentario Terra madre: la nostalgia della cultura contadina, l'amore per la terra e per i suoi frutti, l'infinita riproposizione del patto che lega l'uomo alla natura. Ma c'è anche la denuncia di tutto ciò che scardina l'armonia tra l'essere umano e il creato, ovvero lo sfruttamento insensato delle risorse che sta letteralmente consumando la Terra. E per questo, oltre a essere un'opera di poesia, l'ultimo lavoro del grande regista è soprattutto un documento politico nel senso più alto del termine. […] Terra madre sembra davvero racchiudere il pensiero di un uomo ottimista per disperazione. Un uomo capace di non arrendersi al peggio della vita perché in grado di vedere anche nelle brutture uno spiraglio di speranza per l'umanità. Una speranza che in questo caso sta tutta nei volti e nel lavoro di quei contadini che in ogni angolo del pianeta ancora resistono a quella che Olmi chiama "la delittuosa politica di sfruttamento esasperato e devastante dei suoli fertili, unica risorsa per il cibo di tutti i popoli”» (G. Vallini, “Osservatore Romano”, 6.5.2009).
 
«Fra le immagini dei multietnici “guardiani dell’agro diversità” colti con freschezza di sguardo dagli allievi della scuola IpotesiCinema e i materiali che testimoniano il drammatico livello di inquinamento, il film assembla scene, momenti, visi, frasi che svariano dall’allarme alla suggestione alla speranza. […]  Il prologo è un brano delle Georgiche letto da Omero Antonutti, sui titoli di coda Cementano canta Un albero di trenta piani. Più olmiano di così!» (A. Levantesi, “La Stampa”, 8.5.2009).
 
«Due anni fa aveva dichiarato di volere dedicarsi al cinema documentaristico abbando­nando la strada della fiction, e con coerenza ha girato un film d'inchiesta. Sullo stato di salute del pianeta, su chi investe nella terra per ren­derla più produttiva: non im­poverendola, però, occupan­dosene pensando sia riserva indispensabile del futuro. Per poter guardare al futuro. […] C'è molta poesia nel mondo delineato dal regista de L'al­bero degli zoccoli, osservato non come patrimonio e realtà che non esistono più. Ci mette il futuro attraverso la scelta di tanti dei 153 volti che rappresentano i 153 Paesi - il girato sono centinaia di ore, il monta­to solo una minima parte dei racconti - e lo arricchisce, ad un certo punto, con la storia di un contadino […] che comincia a spiegare le sue tecniche di col­tivazione del suo appezzamen­to di terra, la scelta di utilizzo dei concimi naturali, le rispo­ste che cerca per essere un esempio diverso, evoluto ri­spetto alle coltivazioni indu­striali. Sullo sfondo la scelta dei paesaggi straordinari, che è arte di Olm» (T.Platzer, “La Stampa”, 4.2.2009).
 
«[…] l’adesione del cineasta a un’iniziativa collettiva e impersonale già all'origine, in quanto basata sul contributo internazionale di decine e decine, per non dire di centinaia di persone ed enti, sembra dav­vero discendere, senza ovviamente nulla toglierle nel merito, da un sopravvenuto disinteresse, o addirittura fastidio, per qualsiasi gabbia di natura autoriale. In que­sto senso, l'annunciato e discusso proposito di rinunciare a ulteriori film di finzione a favore dei documentari, non è più solamente un dato tecnico o volontaristico, ma si riempie di sostanza: potrebbe indicare davvero il matu­rato compimento di un percorso individuale in fondo non dissimile da quello della figura centrale di Centochiodi. […] Non […] una sfida facile, oggi, parlare delle questioni ambientali sfuggendo alla genericità convenzionale e accomodante di un già detto tanto sesquipedale quanto inconcludente. […] In definitiva, risulta, comunque si voglia giudicare e classificare l'operazione in sé, assai interessante 1a strada indicata da un esperimento che si sottrae in radi­ce ai luoghi comuni della risorgente produzione natura­listica, anche "impegnata", per fornire seri materiali di riflessione a spettatori "adulti" che sappiano che farsene, o siano almeno disposti a lasciarsi infondere qualche dubbio o interrogativo» (N. Lodato, “Cineforum” n. 485,  giugno 2009).      
 
«[…] il film-inchiesta si propone agli spettatori partendo dal raduno "Terra Madre", svoltosi a Torino nel 2006, un progetto di lunga data promosso dall’Associazione Slow Food, che ogni volta raccoglie genti e personalità di spicco sul tema dell’alimentazione con lo scopo di preservare i percorsi genuini dell’agricoltura e della produzione alimentare in generale, partendo dal presupposto che “mangiare è un atto agricolo e produrre è un atto gastronomico”. Olmi, dunque, filma questa grande convention per evidenziare l’aspetto aggregante del cibo: egli riprende colori, ingredienti, modi di cucinare diversi, popolazioni lontanissime, etnie che non sanno dell’esistenza l’una dell’altra e che sono semisconosciute al mondo occidentale e capitalista, ma tutte quante riunite a parlare di ciò che per eccellenza li accomuna: della madre Terra, oggi tradita, sfruttata e violentata, e dei suoi figli, i mezzi di sostentamento che naturalmente ci offre. […] Con questa sua ultima opera cinematografica, Olmi si riconferma un grande autore, con una poetica apprezzata e riconoscibile, ma sempre nuova. Il regista bergamasco è riuscito a conferire alle immagini una potenza silenziosa capace di farci vedere i rumori e sentire i colori. Con Terra Madre, egli infatti non cambia affatto la sua visione del mondo e della vita, semmai la radicalizza nella creazione di immagini dotate in nuce di una militanza e di una rivoluzionarietà stupefacenti, che riflettono la sua capacità di ritrarre il grido disperato di questo pianeta morente nel silenzio delle immagini e della contemplazione della natura. Si può essere rivoluzionari anche nel silenzio e con la potenza delle sole immagini e Olmi ne è, appunto, la riprova. È dunque il caso di ringraziare il maestro per questa sua preziosa, silenziosa, militanza» (F. Attanasio, www.effettonotteonline.com).
 
«Un film “politico e preveggente”, secondo le indicazioni di Carlo Petrini, presidente di Slow Food e mandatario di Terra Madre. E Olmi sembra aver preso alla lettera soprattutto il secondo termine del suggerimento. Questo documentario sulla convention torinese del 2006 in effetti “politico” lo è, nel senso che si dà le coordinate didascaliche di un reportage finalizzato a informare e formare il suo pubblico. Quanto al “preveggente” va preso nella lettera olmiana, quella di una veggenza ab origine, sospesa sulla trasparenza poetica di una genesi dell’esistere come traccia visibile della realtà: la natura come estasi, come stato di sospensione che non conosce tempo, che non lascia scorrere la materia del vivere, ma la sospende. Terra Madre del resto è un lavoro a doppio corpo, due film in uno, con una prima parte che concede all’evento di Slow Food tutta l’enfasi ideologica della denuncia dei torti globali e della proposta di un mondo migliore possibile: agricoltura ecosostenibile, compressione della filiera alimentare, preservazione della diversità nutrizionale, preservazione delle colture locali, soppressione dei metodi di sfruttamento intensivo imposti dall’industria del cibo globale... Gli exempla si impongono nelle parole dei relatori della convention torinese (oltre 6000 coltivatori provenienti da oltre 130 paesi), ma ben presto Olmi vira l’enfasi del documentario nell’estasi della veggenza, dando sfogo alla portante di un cinema visionario secondo natura, edenico nel rapporto con la terra, con le mani sporche e callose dei contadini, con il lavorio degli insetti, col brillare del controluce tra fronde e fiori... Lirico e illuminato da una malinconia nella quale Olmi non manca di credere con l’ingenuità della sua età» (www.sentieriselvaggi.it).




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