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ENCICLOPEDIA DEL CINEMA IN PIEMONTE

Lungometraggi



Mimì metallurgico ferito nell'onore
Italia, 1972, 35mm, 121', Colore

Altri titoli: “Mimì métallo blessé dans son honneur” (Francia); “Mimí metalúrgico, herido en su honor” (Spagna); “Mimi - in seiner Ehre gekränkt” (Germania); “Kvinnotjusaren” (Svezia); “Mafian uhri” (Finlandia); “The Seduction of Mimi” (US

Regia
Lina Wertmüller

Soggetto
Lina Wertmüller

Sceneggiatura
Lina Wertmüller

Fotografia
Dario Di Palma

Operatore
Blasco Giurato

Musica originale
Piero Piccioni

Musiche di repertorio
Giuseppe Verdi

Montaggio
Franco Fraticelli

Scenografia
Amedeo Fago

Arredamento
Emilio Baldelli

Costumi
Enrico Job

Trucco
Rosa Luciani

Aiuto regia
Gianni Arduini

Interpreti
Giancarlo Giannini (Carmelo Mardocheo), Mariangela Melato (Fiorella Meneghini detta Fiore), Agostina Belli (Rosalia Capuzzo), Turi Ferro (Don Calogero/Salvatore/Vito Tricarico), Luigi Diberti (Peppino), Elena Fiore (Amalia Finocchiaro), Tuccio Musumeci (Pasquale), Gian Franco Barra (Amilcare Finocchiaro), Livia Giampalmo (Violetta), Ignazio Pappalardo (massaro ‘Ntoni), Rosaria Rapisarda, Umberto Lentini, Salvatore Savasta, Ottorino Russo, Giovanni Cori



Produzione
Daniele Senatore e Romano Cardarelli per Euro International Film

Distribuzione
Euro International Film

Note
Film girato in Eastmancolor, Technochrome, Panoramica;assistente operatore: Giancarlo Martella; fotografo di scena: Antonio Benetti; montaggio del suono: Franco Bassi; assistenti al montaggio: Pier Luigi Leonardi, Luigi Zita; parrucchieri: Giancarlo De Leonardis, Michele Trimarchi; altri interpreti: Claudio Trionfi, Gianni Pulone, Antonio Micalizzi, Salvatore Centamore, Sara Micalizzi, Andrea Maugeri, Francesco Pellegrini; amministratore: Antonio Mastronardi.
 
Premi: David di Donatello 1972 a Giancarlo Giannini come Migliore Attore.




Sinossi
Il siciliano Mimì viene licenziato a causa delle sue idee politiche di sinistra, lascia la moglie Rosalia e parte alla volta di Torino in cerca di fortuna. Qui viene accolto dall'Associazione Fratelli Siciliani (pseudo-organizzazione assistenziale che è in realtà al servizio della mafia) che gli trova lavoro come edile e un alloggio. Solo in una città sconosciuta, Mimì conosce Fiore, una ragazza lombarda. I due si innamorano, iniziano una relazione e hanno un figlio. Trasferito a Catania, Mimì si barcamena tra l'amante e la moglie. Quando però Rosalia gli confessa di aspettare un figlio da un brigadiere della Finanza, Mimì vendica l'affronto seducendo Amalia, la moglie del brigadiere, poi rivela al brigadiere di essere responsabile della prossima maternità di Amalia e quando questi reagisce violentemente, un sicario mafioso, lo uccide. Mimì sceglie infine di lavorare alle dipendenze di un noto esponente mafioso e viene così abbandonato da Fiore, disgustata dal suo cambiamento.




Dichiarazioni
«Agli attori la prima lettura del copione la faccio sem­pre io. Ed è fondamentale perché è l'interpretazione di chi l'ha scritto e sa il sottotesto, il pensiero di ogni dialogo, di ogni azione. Per Mimì fu lo stesso, ma il mio siciliano era abbastan­za inventato, così chiamai l'amico Turi Ferro, il più gran­de degli attori siciliani, che faceva parte del cast. Gli feci leggere la parte di Giancarlo, incidendola, e la feci legge­re e incidere anche a Duccio Musumeci. Nel frattempo, Giannini, serio e appassionato, andò venti giorni in Sicilia. Girò tutta l'isola registrando il mo­do in cui parlava la gente e cercò di appropriarsene. Mariangela Melato veniva dal teatro di Ronconi. Era una milanese, spiritosa, di origine popolare, tutte caratte­ristiche che servivano al personaggio della mia hippy femminista e romantica. Quando lo chiamai, Turi Ferro stava girando un giallo […]. Lavorava dall'altra parte dell'isola, lo mandavo a pren­dere di notte per averlo a Catania verso le quattro del mat­tino. Lo spedivo al trucco e insieme al truccatore lo prepa­ravo: prima da capomafia, quello che durante le elezioni giocava sporco; poi da imprenditore torinese, da sindaca­lista, da monsignore, tutti diversi personaggi che Turi sco­priva al risveglio. Già, perché durante il trucco, che era sempre lungo e difficile, dormiva, e quando si svegliava, guardandosi allo specchio, domandava: “Ma io cu sono? Cu è quello?” “Tricarico”. Avevo chiamato “Tricarico tutti i vari personaggi, ognuno con una faccia diversa, ma sotto c'era sempre lui: Turi. […] Aveva capito perfettamente con quale spirito interpretare le varie facce dei poteri e delle mafie, che vanno dal prelato al capocantiere di Torino, dal capo­mafia del paese al questore. Insomma, tutte finiscono per rovinare Mimi, il quale non riesce a distinguerle, ritrovan­do ogni volta su ognuna, però, la Trinacria, simboleggiata dai tre nei a forma di triangolo. Il personaggio che interpretava Mariangela era invece ispirato a Efy Kounellis, moglie del pittore Jannis. Ai suoi pullover, ai suoi lavori a maglia, ai suoi proclami politici. Gli altri interpreti, quasi tutti del Nord, dalla veneta Agostina Belli al piemontese Di Berti, sono riusciti a rendere la sicilianità che volevo grazie a uno studio at­tento del dialetto, uno dei tanti dialetti che sono patri­monio linguistico e radice culturale del minicontinente Italia. […] Ero a Torino a girare all'esterno della FIAT e ricordo davanti a quei cancelli, seduto su un panchetto, il giovane Giuliano Ferrara che era lì a occuparsi di politiche giova­nili. […] Era inverno. Faceva freddo. E in quella stagione, la mattina presto, le strade di Torino erano ghiacciate. La prima di Mimì metallurgico si tenne a Torino in un cinema di tremila posti che mi pare si chiamasse Ideal. Avevamo una paura terribile. La sala era piena di metal­lurgici e operai, in maggioranza meridionali. Si spensero le luci e cominciò la proiezione. Boati di risate. Mimì era immediatamente diventato il loro eroe. Enrico e io, finalmente sollevati dall'ansia, sprofondam­mo nelle poltrone e ci divertimmo anche noi insieme agli spettatori» (L. Wertmüller, Arcangela Felice Assunta Job Wertmüller von Elgg Español von Brauchich cioè Lina Wertmüller, Frassinelli, Milano, 2006).





«Sta di fatto che sui quattro film della regista nel periodo che ci riguarda - Mimì metallurgico ferito nell'onore, 1972; Film d'amore e d'anarchia, 1973; Tutto a posto e niente in ordine, 1973; Travolti da un insolito destino nell'azzurro mare di agosto, 1974 - solo del primo si può dire che si inserisca in un filone collaudato, quello della satira dei costumi sessuali dei siciliani; ma bisogna contemporaneamente riconoscere che tale satira è condotta in maniera assai estrosa e originale, oltre a non costituire affatto l'unico motivo del film, nel quale la carne al fuoco è, come vedremo, copiosissima. Inoltre - altro merito non piccolo - la Wertmüller non si servì, né qui né in seguito, di nessuno dei tradizionali specialisti del genere, andando invece coraggiosamente a cercare nuovi talenti da valorizzare là dove nessuno guardava ormai più, ossia nel teatro di prosa; e nel caso di Giancarlo Giannini e Mariangela Melato, arrivando a creare due star […]. Il miglior film della Wertmüller prima, di Mimì ossia I basilischi, era tutto statico, in carattere col suo tema, un'ironica denuncia della torpida inerzia di certa gioventù meridionale. Mimì metallurgico, che invece scocca frecce in tutte le direzioni, ha un ritmo quasi frenetico, col rischio di frastornare il pubblico della solita commedia all'italiana […] La storia […] è esasperata, stravolta; analogamente, lo stile è violento e concitato piuttosto che allusivo e sornione come nelle commedie classiche del tempo della censura. Quasi volendo esortare i colleghi uomini a darsi uno sgrullone aggiornandosi ai tempi nuovi, la Wertmüller (unica autrice, come sempre nei suoi film, di soggetto e sceneggiatura) moltiplica e intensi­fica sardonicamente le scabrosità, e ricorre al più spregiudicato turpiloquio ascoltato fino allora» (M. D’Amico, La commedia all’italiana, Mondadori, Milano, 1985).
 
«L'esasperazione dei temi e dello stile è evidente nei film di Lina Wertmüller, che avranno anche dei pregi, ma non certo quello della moderazione. Più che di comme­die all'italiana, dovremmo parlare di "commedie alla Wertmüller ", anche se le affinità con certi film special­mente di Monicelli e Scola non mancano; ed anche se queste commedie potrebbero in fondo considerarsi una ripresa del filone meridionalistico, con particolare atten­zione ai contrasti, realizzati perlopiù a suon di ceffoni, fra Nord e Sud. Non c'è dubbio che i temi siano impe­gnati e civili: i problemi di un operaio siciliano sballot­tato fra il Nord industriale e il Sud mafioso (Mimì me­tallurgico ferito nell'onore, 1972); le imprese di un con­tadino anarchico che va nella Roma fascista per uccide­re il Duce (Film d'amore e d'anarchia ovvero Stamatti­na alle 10 in Via dei Fiori nella nota casa di tolleranza, 1973); le disavventure di alcuni immigrati meridionali a Milano (Tutto a posto, niente in ordine, 1974); gli ambi­gui rapporti anche carnali, ai limiti del sado-masochi­smo, fra un marinaio siciliano e una distinta signora mi­lanese su un'isola deserta (Travolti da un insolito desti­no nell'azzurro mare di agosto, 1974); gli espedienti di un guappo vigliacco e opportunista capace di restare a galla in qualunque frangente storico (Pasqualino Sette­bellezze, 1975); la Sicilia prefascista fra amori proibiti, onore e omertà (Fatto di sangue tra due uomini per cau­sa di una vedova. Si sospettano moventi politici, 1978). […] Che i temi da commedia di costume ci siano, appare evi­dente. Ma il problema è questo: ce ne sono troppi, but­tati lì alla rinfusa come nei pentoloni delle streghe, con il condimento fisso di un meridionalismo falso ed este­riore. Quasi sempre interpretati da un Giancarlo Gianni­nì stravolto e sprecato, questi film vorrebbero essere un compendio di problemi sociali, ma ogni tanto viene da pensare che siano soltanto una parodia di tali problemi, e di se stessi» (E. Giacovelli, La commedia all’italiana, Gremese, Roma, 1990).
 
«Vedendo quest'ultimo film della Wertmüller, viene da porsi una domanda: può un meridionale, un emigrato, emanciparsi dalla cultura nella quale è stato relegato dal potere borghese, può scrollarsi di dosso i luoghi comuni che lo vestono? La regista ci sembra abbia risposto ne­gativamente a questo interrogativo; in primo luogo proprio a causa del modo, condiviso in quest'opera cinematografica, con cui si è soliti parlare dei " terroni "; poi per l'impostazione fatalistica  che viene data ai processi storici e conseguen­temente la negazione di una qualsiasi possibilità di presa di coscienza da parte di chi appartiene ad una classe subal­terna. Se vi è un tentativo di spiegare le continue rinunce alla propria dignità di uomo da parte del proletario siciliano con l'impotenza di fronte alla mafia, pre­sente a tutti i livelli del potere, questo tentativo è soggetto subordinato alla " mentalità " meridionale, la quale è la vera protagonista del film. Sta a dimo­strare questo la larga parte presa nel racconto dalla narrazione della distorta forma di vendetta concepita dal meridionale oramai " civilizzato " dal contatto avuto col nord nel periodo in cui il film raggiunge il più alto livello di cattivo gusto razzista e, al contempo, di contraffazione politica. […] Gli emigrati meridionali sono stati i protagonisti, insieme alla classe ope­raia del nord, delle ultime battaglie con­trattuali, hanno rimesso in discussione tutto l'ordinamento capitalistico dello Stato, iniziando dalla lotta per la casa. Queste battaglie, pur contenendo con­traddizioni, limiti, segnano un primo passo verso l'autentica emancipazione, la quale non ha nulla a che vedere con il riscatto dell'onore di Mimí il meridio­nale. Mimí non è un uomo preso nell'ingranaggio del sistema dal quale non può uscire, è il simbolo di tutta una storia da anni mal raccontata, o meglio, raccontata come il padrone vuole sia raccontata. […] Il circolo chiuso della storia, come la vede Lina Wertmüller, è senza possibi­lità d'uscita; non è quindi l'uomo a creare le nuove condizioni di vita per se stesso, ma sono le circostanze, il de­stino che agisce per ognuno di noi e per il meridionale in un modo non modifica­bile nemmeno da chi si è " evoluto " al nord. A questo punto aspettiamo quale nuovo film ci toccherà vedere a causa del fato» (R. Alonge, “Cinema Nuovo” n. 218, luglio-agosto 1972).
 
«C'è dentro tanto, in Mimì, troppo. La Wertmüller dice che si tratta di un film politico, in quanto è una “pa­rabola del falso progresso”. È vero che si tratta di una parabola, quella tracciata dal “boomerang” che torna al punto da cui parte (quando non raggiunge il bersaglio). Per lo meno per quanto riguarda la sorte (esemplare) del protagonista. [...] lo ho qualche dubbio sull'efficacia di Mimì metallur­gico come lezione di democrazia. È ovvio che non si tratta soltanto di mafia, nel film, ma di una situazione più generale. Nel film vengono denunciate, per esem­pio, le conseguenze dell'estendersi di un “progresso” che soltanto apparentemente può definirsi tale: seguen­do i binari di certi discorsi, articoli, interventi che han­no una loro serissima ragione d'essere ma che sono diventati ormai di moda, cioè svuotati di utilità perché ovvi, la regista indica insomma i danni che derivano all'uomo da una troppo rapida presa di contatto con la civiltà dei consumi, superiori ai benefici che se ne possono ricavare. La morale di tutto il discorso è che, mentre in superficie si determina una evoluzione rivo­luzionaria che ha tutte le caratteristiche della positi­vità [...] nel profondo le cose restano quali sono, e semmai, forse, esacer­bate e rese più difficili e ostili. [...] Certo, la Wertmüller [...] ironizza su chi non sa fare le “scelte di fondo”; ma il risultato non è tanto una satira im­pietosa e terapeutica su quanti fra noi italiani sono vittime della loro incapacità a compiere il salto defi­nitivo, quanto una constatazione sfiduciata, una po­sizione abbastanza cinica di rassegnazione allo “statu quo”. [...] Ma non è per queste considerazioni, in fondo, che Mi­mì metallurgico appare scarsamente convincente come film “progressista”. [...] È evidente che si possono fare discorsi serissimi con i moduli del linguaggio comico, o paradossale, o grottesco e così via, ma qui il dramma si stempera in commedia con una certa fretta ed una certa faciloneria, facendo sci­volare subito il discorso “impegnato” nella facezia e nello sgambetto compiaciuti di sé, che diventano in­somma lo scopo primario del racconto» (E. Comuzio, “Cineforum” n. 115/116, luglio/agosto 1972).


Scheda a cura di
Franco Prono

Persone / Istituzioni
Lina Wertmüller
Blasco Giurato
Piero Piccioni
Franco Fraticelli
Enrico Job
Giancarlo Giannini
Mariangela Melato
Agostina Belli
Turi Ferro
Luigi Diberti
Amedeo Fago

Luoghi
NomeCittàIndirizzo
Castello, piazzaTorinopiazza Castello
parco del ValentinoTorino-
Quartiere MirafioriTorino-
San Carlo, piazzaTorinopiazza San Carlo
Vittorio Emanuele, corsoTorinocorso Vittorio Emanuele



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