Torino città del cinema
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ENCICLOPEDIA DEL CINEMA IN PIEMONTE

Lungometraggi



Così ridevano
Italia, 1998, 35mm, 124', Colore

Altri titoli: The Way We Laughed

Regia
Gianni Amelio

Soggetto
Gianni Amelio

Sceneggiatura
Gianni Amelio

Fotografia
Luca Bigazzi

Operatore
Alessandro Abate

Musica originale
Franco Piersanti

Suono
Alessandro Zanon

Montaggio
Simona Paggi

Effetti speciali
Paolo Ricci, Luca Ricci

Scenografia
Giancarlo Basili

Arredamento
Nello Giorgetti

Costumi
Gianna Gissi

Trucco
Alberto Blasi

Interpreti
Enrico Lo Verso (Giovanni), Francesco Giuffrida (Pietro), Fabrizio Gifuni (Pelaia, l'educatore), Nanni Tormen, Aldo Rendina (maestro di ballo), Giuliano Spadaro (capo della famiglia foggiana), Renato Liprandi, Maria Terranova (zia di Giovanni), Edoardo Ciciriello (bidello), Rosaria Danzè (Lucia), Iolanda Donnini (signora Verusio), Domenico Ragusa (carabiniere), Paolo Sena (professor Rosini), Simonetta Benozzo (Ada), Claudio Contartese (Rosario), Barbara Braga (ragazza del bar)

Casting
Nicola Conticello, Lorella Chiapatti

Produttore esecutivo
stripslashes(Mario Cotone)

Produzione
Vittorio e Rita Cecchi Gori per C.G.G. Tiger Cinematografica

Note
Assistenti alla regia: Daniele Gaglianone, Lillo Iacolino, Alberto Taraglio; assistente operatore: Stefano Falivene, Salvatore Bognanni; assistente al video: Luan Ujkaj; fotografo di scena: Claudio Iannone; microfonista: Angelo Amatulli; montatore del suono: Benni Atria; assistente scenografo: Valentina Ferroni; assistente arredatore: Diego Giorgetti, Francesca Bocca; capo costruttore: Giovanni Broglio; assistente truccatore: Giulio Pezza; segretaria di edizione: Melissa Strizzi; attrezzista di scena: Stefano “Zazu” Olivieri; capo squadra macchinisti: Eraldo Barbona; capo squadra elettricisti: Sandro Saulini, direttori di produzione: Fulvio Rossi, Ladis Zanini, Olivia Sleiter; supervisione alla produzione: Lierka Rusic.
Il film è stato girato in Super 35; la pellicola è poi stata sviluppata in modo da rendere i colori molto contrastati.
Il film ha vinto il Leone d’Oro come miglior film e Osella d’Oro per la migliore sceneggiatura alla 55^ Mostra Internazionale del Cinema di Venezia.




Sinossi
Storia di due fratelli siciliani emigrati a Torino raccontata attraverso sei giornate, dal 1958 al 1964, corrispondenti ai sei “capitoli” del film: Arrivi, Inganni, Soldi, Lettere, Sangue, Famiglie. Il fratello maggiore, Giovanni, che è analfabeta, fa di tutto per permettere a Pietro, il minore, di ottenere un diploma da maestro. Ma quest’ultimo si sacrifica per salvare dal carcere l’altro, che sembra infine integrato nella società piemontese.



Dichiarazioni
«All’inizio doveva essere Milano, l’unica altra alternativa per una storia ambientata in quegli anni, con gente del Sud che migra al Nord, il lavoro, la fabbrica, eccetera. Forse pesava il ricordo di Rocco e i suoi fratelli o forse, a sfavore di Torino, giocavano vicende mie personali, come il non essere riuscito a girarvi Colpire al cuore, e soprattutto il fatto che in un ospedale di Torino è morta mia madre e io ho cercato per tanto tempo di non metterci più piede. Così sulla prima pagina della sceneggiatura ho scritto: “Scena 1 – Stazione di Milano” […]. Ma già alla fine del primo episodio era comparsa la Mole Antonelliana (scambiata per il Duomo di Milano…) e non ho avuto esitazioni: una sfida anche con me stesso. […] La fotogenia di una città è come quella di un viso: importante è come lo si inquadra, la luce con cui lo si riprende. Torino ha questo di particolare, secondo me: respinge l’effetto “cartolina”. Mi spiego meglio. Ci sono città un po’ troppo consumate dal cinema, come Roma Napoli, o la stessa Milano. Tutte e tre hanno, nei loro punti chiave, riconoscibili, un che di eccessivo, di ingombrante, un eccesso di cristallizzazione in cui l‘immagine può apparire statica, da cartolina appunto. Torino invece no. E non perché vi abbiano girato meno film. Credo che le mura, i palazzi, le strade di Torino esprimano tutta la loro storia senza però ostentarla: i monumenti, anche i più “eccessivi”, sono come velati da una patina di discrezione. La stessa che c’è nei torinesi» (G. Amelio, Così ridevano, Lidau, Torino, 1999).




Il film si struttura in sei capitoli apparentemente slegati tra di loro, privi di rapporti di interconnessione temporale e di causa-effetto: perciò lo spettatore è costretto a “ricostruire” con la propria intelligenza e immaginazione tutto ciò che non gli viene mostrato, assumendo un ruolo non passivo. Il fascino di questo procedimento drammaturgico ed espressivo conduce il film in una dimensione astratta e al tempo stesso completamente immersa nell\'oceano delle sensazioni, dei sentimenti, della sofferenza.

Il dramma che viene messo in scena nel film è quello dell’emigrazione, della miseria, della difficile integrazione sociale, ma è anche un dramma d’amore: un amore che consuma, divora, distrugge chi lo vive fino in fondo. Pietro e Giovanni sono uniti da un legame ossessivo, folle, totalizzante, indicibile e indescrivibile, caratterizzato da possessività perversa, omosessualità latente, dedizione incondizionata e ricattatoria. L’impossibilità di realizzare nella prassi un simile sentimento conduce la struttura drammaturgica del film non soltanto verso i canoni del melodramma, ma verso un vero e proprio ribaltamento degli schemi narrativi tradizionali.

«Due fratelli/amanti. Giovanni e Pietro, Eurialo e Niso, corpi celibi che s’inseguono e si smarriscono, si camuffano e si svelano, si rispecchiano e si abbagliano, si amano e si tradiscono […] fin dalla indimenticabile, rarefatta sequenza iniziale della stazione ferroviaria […]. Un amore che non consuma ma si consuma e comunica attraverso le forme informi, inarticolate e “viscerali” dell’ansimare: nel soffio affannoso, in quel sospiro di piacere-dolore che dà fiato – fino all’ultimo respiro… - all’esaltazione amorosa con la quale Giovanni tallona, guarda, cerca, circuisce, insidia, abbraccia, “tocca” i silenzi complici e la “passività partecipe di Pietro, già memore del suo destino» (F. Bo, in E. Martini, Gianni Amelio: le regole e il gioco, Lindau, Torino, 1999).

Gli inconfessabili e irrappresentabili sentimenti rimossi, infatti, sono espressi in virtù della loro stessa irrappresentabilità; pertanto gli eventi che costituiscono gli snodi drammatici fondamentali della vicenda avvengono fuori scena, negati alla vista dello spettatore. L’autenticità più profonda risiede nel non detto, nelle numerose sospensioni del racconto, nelle consistenti ellissi temporali che nascondono ciò che accade “fuori dal film” tra un “episodio” e l’altro. «Ecco allora che il meccanismo dell’impossibilità amorosa, che è una delle basi narrative e psicologiche fondanti il melodramma, diventa anche una delle chiavi per interpretare “socialmente” il nostro mondo: lo sapeva Michael Powell, nel romanticismo vorticoso e stilizzato dei ritrosi anni ‘40 inglesi, lo sapeva Douglas Sirk, nel rilucente egoismo consumistico degli anni ’50 americani, lo sapeva Fassbinder nella disperazione lancinante degli anni ‘70 europei. E sembra saperlo Amelio, nello squallore colorato e danzante del qui e ora, dove non c’è più nessuno che sembri disposto ad assumersi la responsabilità del dolore, individuale e collettivo» (E. Martini, Op.cit.).

«È facile verificare che il metodo di lavoro, la poetica, lo stile espressivo di Amelio subiscono modificazioni dal suo primo film all’ultimo, ma resta sostanzialmente inalterata la coerenza a un certo tipo di sensibilità creativa. Da La fine del gioco a Il piccolo Archimede, da Colpire al cuore a I ragazzi di via Panisperna, da Porte aperte a Il ladro di bambini, da Lamerica a Così ridevano, il nodo drammatico della messinscena è sempre situato nel confronto/scontro tra vecchi e giovani, padri e figli, maestri e discepoli veri o metaforici. Tale confronto costituisce sostanzialmente lo strumento che l’autore utilizza per esprimere una propria realtà profonda: i ruoli dei personaggi contrapposti sono più apparenti che sostanziali, perché ognuno è intercambiabile con l’altro, gli corrisponde in modo perfetto o speculare, lo completa proprio opponendosi a lui. Così, anche i personaggi di Pietro e Giovanni non costituiscono propriamente due individualità distinte e contrapposte, ma rappresentano due diversi e intercambiabili modi di agire e di sentire: sono in realtà la stessa persona» (F. Prono, in G. Amelio, Così ridevano, Lidau, Torino, 1999).

Secondo questa logica “antropomorfica” e soggettiva, anche i luoghi che i protagonisti del film di Amelio attraversano, gli ambienti in cui si muovono, paiono in qualche modo più metaforici che dotati di concretezza vera e propria. Lo spazio scenico è a sua volta un personaggio, non una pura e semplice scenografia, in quanto esprime visivamente l’interiorità degli esseri che vi sono inseriti, l’angoscia provocata dal “labirinto” esistenziale in cui si trovano rinchiusi. I meridionali che alla fine degli anni Cinquanta vediamo emigrati a Torino soffrono una situazione di emarginazione, estraneità, abbandono. La città in cui giungono è mostrata dal film così come essi la vedono con i loro occhi, “scoperta” a poco a poco attraverso la loro attonita e timida curiosità. Con naturalezza essi attraversano Torino con percorsi faticosi nell’ambito del centro storico, e vengono inquadrati per lo più con campi lunghi e medi che mettono in evidenza il rapporto tra realtà urbana e singoli esseri spaesati.

Porta Nuova, piazza Carlina, via Milano, Porta Palazzo, via della Consolata, Palazzo Paesana, piazza Madama Cristina, piazza Palazzo di Città, via della Basilica, via Santa Chiara, la Galleria Umberto I, i portici di Corso Vinzaglio, non costituiscono perciò un semplice sfondo delle vicende che vi si svolgono, ma hanno un ruolo “attivo”, da veri e propri personaggi, che interagiscono con quelli in carne ed ossa. Gli esterni e gli interni torinesi paiono spesso sorprendenti per intensità e autonomia espressiva, e pur nella sostanziale “verità” della loro presenza sullo schermo essi possiedono qualcosa che va oltre la loro effettiva realtà e al tempo stesso perdono alcune delle loro caratteristiche più importanti, tanto da apparire irreali e fantastici. La città riempie di sé le inquadrature con la propria presenza fisica, ma è allo stesso tempo assente, invisibile. Come il sentimento e la realtà intima dell’uomo sono irrappresentabili, così anche il luogo in cui l’uomo vive è ugualmente irrappresentabile. Lo spazio urbano che appartiene a Così ridevano è dunque quello di una Torino metaforica, ideale, astratta, non-luogo, luogo della mente, luogo dell’interiorità, e proprio per questo motivo, alla fine, si rivela essere più autentica di quella che riconosciamo vivendovi quotidianamente.



Scheda a cura di
Franco Prono

Persone / Istituzioni
Gianni Amelio
Luca Bigazzi
Franco Piersanti
Alessandro Zanon
Simona Paggi
Lorella Chiapatti
Mario Cotone
Enrico Lo Verso
Francesco Giuffrida
Fabrizio Gifuni
Nanni Tormen
Renato Liprandi
Giancarlo Basili

Luoghi
NomeCittàIndirizzo
Accademia delle Scienze, viaTorinovia Accademia delle Scienze
Bar di GigiTorinogalleria Umberto I
Carlo Emanuele II (Carlina), piazzaTorinopiazza Carlo Emanuele II (Carlina)
fabbricaTorinovia Cuneo
galleria Umberto ITorino-
lungo PoTorino-
Madama Cristina, piazzaTorinopiazza Madama Cristina
Mercato di Porta PalazzoTorino-
Milano, viaTorinovia Milano
Mole AntonellianaTorino-
Palazzo PaesanaTorinovia della Consolata
Ristorante del CambioTorinoPiazza Carignano
San Carlo, piazzaTorinopiazza San Carlo
San Pietro in Vincoli, viaTorinovia San Pietro in Vincoli
Santa Chiara, viaTorinovia Santa Chiara
stazione Porta NuovaTorino-



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