«L’utopia di Ponte a Egola è durata appena un anno, fino alla primavera del ’72. I vari compagni se ne sono andati ciascuno per la sua strada, le vite hanno preso direzioni diverse. Tutti si sono ritrovati a fare i conti con se stessi e con la realtà. Da allora nessuno è mai più tornato a Ponte a Egola, i rapporti si sono interrotti, di alcuni si sono perse le tracce… Negli ultimi trent’anni ho pensato spesso di salire in macchina e andare a scoprire che ne era stato di quel casale. E che ne era stato di loro. Un giorno ho deciso di farlo. Il film nasce da questa esigenza personale di rompere l’isolamento, di interrompere una rimozione, di recuperare una memoria collettiva. Per gettare uno sguardo sul passato, sulle scelte radicali di allora. Per capire. E ritrovare anche la forza, la vitalità, se vogliamo la follia che animava quegli anni, a cavallo tra i Sessanta e i Settanta, gli anni della giovinezza. E riannodare i fili di un percorso…» (M. Moretti, Dichiarazione originale, 2009).