Regia Daniele Cini
Soggetto Daniele Cini
Sceneggiatura Sergio Bazzini, Daniele Cini
Fotografia Stefano Pancaldi
Musica originale Alessandro Molinari
Suono Andrea Fiorentini
Montaggio Paola Freddi, Stefano Tria
Scenografia Fabrizio Moschini
Costumi Silvia Polidori
Interpreti Gigio Alberti (Grumand), Hal Yamanouchi (Takano), Fanny La Monica (Arianna), Silvana Bosi (Berta), Marianne Cotton (Dott.ssa Salomelli), Bruno Gambarotta (Dott. Panzeri), Ludovica Andò (Elisa), Giuseppe Gandini (Natalino), Franco Pistoni (Vicino Muto)
Produttore esecutivo Bruno Tribbioli
Produzione Tommaso Dazzi e Bruno Tribbioli per Nauta Film
Distribuzione Stazione Marittima
Note Anno di produzione: 2003.
Fonico di presa diretta: Andrea Fiorentini.
Il film è stato realizzato con il contributo del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e la collaborazione della Film Commission Torino Piemonte.
Locations: Torino (via Chieri, Ristorante “La Smarrita”), Reaglie, Ceresole Reale, Val di Susa e zone limitrofe (TO), Terme di Vinadio, Prato Nevoso (CN) .
Sinossi
Grumand, titolare di una ditta di catering, e Takano, chef cordon bleu, sono gli unici due sopravvissuti di un disastro aereo avvenuto per un’improvvisa turbolenza. Si trovano in una sperduta distesa nevosa e i soccorsi tardano ad arrivare. Si mettono in marcia per trovare aiuto e finite le scorte si manifesta in loro il più terribile degli appetiti: l’antropofagia. Infatti Grumand, per sopravvivere, divora il cadavere di Takano. Tornato a casa, però, una voce che arriva direttamente dallo stomaco lo perseguita: è proprio quella del suo compagno di sventure. Non riesce più a mangiare e si fa ricoverare in una clinica per disturbi alimentari, dove incontra Arianna che fa rinascere in lui emozioni ormai sopite da tempo.
Dichiarazioni
«L’idea di partenza è nata osservando l’ossessione con cui la gente oggi (soprattutto dopo i quaranta, verso la mia età) parla di cibo e contemporaneamente mangia malissimo. Occupandomi per varie ragioni di anoressia, ho notato come il comportamento anoressico è spesso legato al parlare di cibo, di calorie, allo scambiarsi ricette, persino cucinare per gli altri. Le due cose, messe vicine, hanno fatto risonanza. In realtà nel film ho cercato di usare il cibo come metafora di qualcosa mancante – il sentimento – e la cucina come metafora della relazione: nella prima parte fra due uomini disperatamente soli e resi distanti dalla loro diversità, nella seconda parte fra un uomo in colpa e un universo femminile che trasforma i sentimenti in pietanze (anche per rifiutarli, come nel caso della ragazza anoressica). Il cibo dunque per me è uno straordinario strumento di rappresentazione: ma è anche bisogno primario che uno dei personaggi trasforma in arte, in illusione. Nella mia vita il cibo è una passione irraggiungibile per pigrizia. Adoro la buona tavola, ma purtroppo vivo mangiando veloce, da single distratto e lavativo» (D. Cini, www.slowfood.com).
«Tira una strana aria di palcoscenico sugli altopiani del Gran Sasso d’Italia, scelti a figurare un panorama asiatico in Last Food. La prima parte del film, senz’altro la migliore, vede il confronto fra i due sopravvissuti di un disastro aereo, il raffinato “cordon bleu” Hal Yamanouchi e Gigio Alberti scettico produttore di cibo in scatola. Quando si discute se è meglio marciare o accamparsi, prevale la filosofia del giapponese: “Cerca se vuoi essere cercato”; ma in breve la fame sovrasta ogni altro problema e quello dei due rimasti in vita si mangia il cadavere dell’altro. Perseguitato dalla voce del defunto (“Guarda che mi devi ancora digerire”), il cannibale cerca di smaltire il rimorso in una clinica che ospita divoratori compulsivi e anoressici. Da questo spunto alla Marco Ferreri, rischiarato da un finale sdrammatizzante, Daniele Cini sviluppa un film che da un certo momento in poi va un po’ alla ricerca di un modo per concludere. A parte la professionalità di Alberti e un gustoso cammeo di Bruno Gambarotta, sul fronte attori c’è ben poco da segnalare» (T. Kezich, “Corriere della Sera”, 13.3.2004).
«Si capisce che Cini, finora regista di corti e documentari e da tempo all'inseguimento delle opportunità narrative offerte dai cinque sensi, ha voluto orchestrare intorno al tema del cibo e del mangiare un apologo surreale, portatore di un sorridere pensoso, combinazione di leggerezza nel modo di porgere e di "pesantezza" di spunti di riflessione […] l’effetto, sia pur tutt’altro che sgradevole, è però che tutti i possibili significati restano nelle intenzioni dell’autore, che il film non abbia bussola né identità. Che in definitiva, se è consentito il gioco, non sia né carne né pesce» (P. D’Agostini, “la Repubblica”, 14.3.2004).
«La prima parte di Last Food, lungometraggio d’esordio di Daniele Cini, scorre via a metà strada fra un buddy-movie (il modello classico di storia imperniata su due caratteri opposti costretti a convivere) a sfondo gastronomico e un remake low budget di Alive, i sopravvissuti virato in chiave commedia grottesca. […] Singolare esempio di film gastronomico in cui il cibo è sovra-tematizzato, l’interesse per Last Food – presentato al Food in Film festival e a Bellaria – risiede non tanto nel risultato quanto nelle premesse: più che per come sappia raccontarle, stupisce per quante ossessioni alimentari esso collezioni, impaginandole in bella mostra una accanto all’altra, come nell’album di un filatelico votato all’eccentricità» (S. Sardo, www.slowfood.com).
«Spaccato in due, il film (scritto dall’esordiente regista, con la supervisione di Sergio Bazzini) non convince mai: incapace di reggere il grottesco, banale quando vorrebbe affrontare i massimi sistemi con la metafora del cibo» (P. Mereghetti, Il Mereghetti. Dizionario dei film 2006, Baldini Castoldi Dalai, Milano 2005).
Scheda a cura di Giusy Cutrì
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