Regia Ettore Scola
Soggetto Ettore Scola
Sceneggiatura Ettore Scola
Fotografia Claudio Ragona
Montaggio Raimondo Crociani
Produzione Unitelefilm
Note Nulla Osta n. 75398 del 6.9.1980; 1932 metri.
Il documentario fa parte della serie “Un autore una città”
I testi delle lettere citate sono tratti da Lettere al Sindaco, Edizioni SEI.
Nei titoli di testa compare la scritta: “Un film di Ettore Scola, Raimondo Crociani, Ezio Di Monte, Francesco Lazotti, Claudio Ragona, Paola Scola, Giorgio Scotton”.
Interventi di: Diego Novelli, Luciano Allais, Pasquale Avvisato, Carlo Bertocchi, Maurizio Cinti, Generoso Di Serio, Giancarlo Granatelli, Alberto Passone, Salvatore Peluso, Mauro Pinto, Beppe Ronza, Pina Triunveri, Alessandro Zanon e la Cooperativa “Educazione Progetto”.
Sinossi
Documentario su Torino dieci anni dopo Trevico-Torino, con la guida di Diego Novelli, sindaco della città.
«Nel suo film inchiesta Scola mette a fuoco il procedere dell'integrazione degli immigrati meridionali a Torino quando ormai, siamo nel 1980, il grande flusso migratorio dei decenni precedenti dal Mezzogiorno si è esaurito: da una parte ci sono gli operai che l'esperienza della fabbrica e l'impegno nelle organizzazioni del movimento operaio ha trasformato a tutti gli effetti in nuovi torinesi, partecipi e responsabili; dall'altra rimangono ampie sacche di marginalità, che producono forme di piccola criminalità o si materializzano nelle figure del drogato, del ragazzo che si prostituisce, della ragazza madre abbandonata a se stessa, del drop out che dorme all'aperto. È sui marginali che Scola soprattutto si sofferma, a partire dai pregiudizi dei vecchi torinesi, che sembrano invariati rispetto agli anni Sessanta, mettendo a confronto le loro esigenze più o meno disperate e le politiche di risanamento che l'amministrazione della città, incarnata nel film dal sindaco Novelli, ha varato o sta varando. L'espediente delle lettere al sindaco dei torinesi consente al regista di legare fra loro ritratti efficacissimi degli immigrati più sfortunati e le dichiarazioni di Novelli, che si assume il compito di creare condizioni perché tutti possano diventare cittadini a pieno titolo della città in cui ormai si svolge e si svolgerà la loro vita. È un ritratto di Torino inusuale quello che emerge dal film di Scola: non è più la città carica di esplosive contraddizioni degli anni Settanta, non è ancora la città in cui si affacceranno, fra l'altro, nuovi immigrati di diversa provenienza. I luoghi e i risvolti della marginalità e anche i problemi materiali che ostacolano l'assunzione di una effettiva cittadinanza sono tuttavia quelli che anche oggi conosciamo e anche, in qualche modo, gli interrogativi che ne derivano; quel che sembra appartenere a un altro tempo è la certezza degli amministratori che la marginalità si può e si deve debellare e l'integrazione di tutti si può perseguire sviluppando forme crescenti di partecipazione e adeguati servizi» (Scheda dell’Archivio Nazionale Cinematografico della Resistenza, 2008).
«In evidente connessione con Trevico-Torino, col quale forma un dittico omogeneo, questo film si presenta come una forma ibrida, a metà strada tra il documentario e il film a soggetto, una sorta di docufilm, che possiamo inserire nella grande e geniale tradizione inaugurata da Rossellini e Pasolini, dove la struttura documentaristica veniva temperata e felicemente alterata con l'apporto poetico-narrativo del regista, che vi introduceva elementi a soggetto, dando luogo ad una forma espressiva originale. [...] Il titolo deriva dal giovane Massimino, un ragazzo immigrato a Torino, che guardando un aereo in cielo, non riesce a contenere il suo grande desiderio e, nel suo italiano approssimativo, esclama con rabbia e speranza insieme: “Vorrei che volo”. Diego Novelli, che in Trevico-Torino aveva partecipato alla stesura della sceneggiatura, con un suo apporto personale e ben documentato, amava ripetere che Torino era “la terza città meridionale d'Italia, dopo Napoli e Palermo”. Vorrei che volo è un mediolungometraggio della durata di 75 minuti e ha una struttura di documentario più evidente rispetto al precedente Trevico-Torino, che era più sbilanciato verso un apologo con dichiarati scopi di militanza e presentava una vera e propria storia, sia pure all'interno di una chiara ricerca documentaristica, quasi da cinema verità. Rispetto al precedente film, questo Vorrei che volo ha una lunghezza inferiore di circa mezz'ora e presenta una dimensione documentaristica più accentuata, anche se il punto di vista di Scola tende a privilegiare un'umanità più fragile, trovata in storie minimalistiche di giovani e giovanissimi immigrati, come appunto il piccolo Massimino che sogna di volare o come Salvatore, anche lui venuto da una Napoli degradata e lontana, che vive a Torino da vent'anni senza essere ancora riuscito a trovare un lavoro stabile quale che sia e che confessa apertamente di provare istintivamente paura quando incontra un poliziotto. Il suo desiderio pertanto non è quello di volare (espresso in modo esplicito nel titolo) quanto quello di liberarsi di questa atavica e pulcinellesca paura, di vivere una vita dignitosa, di farsi una famiglia e di poter andare incontro a un poliziotto sulla strada magari per abbracciarlo» (E. Bispuri, Ettore Scola, un umanista nel cinema italiano, Bulzoni, Roma, 2006).
Scheda a cura di Franco Prono
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