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ENCICLOPEDIA DEL CINEMA IN PIEMONTE

Persone



Bartolomeo Pagano






«L'Itala-film ha voluto, con questa serie che incomincia ora a programmare, mettere in valore sullo schermo muto la forza straordinaria, la bellissima figura e le singolarissime attitudini che resero celebre il gigante buono di Cabiria, a cui gli spettatori di tutto il mondo si erano immediatamente e durevolmente affezionati. Per questo si son dovute creare delle audaci concatenazioni delle più terribili avventure, in cui l'atleta simpaticissimo si fosse trovato in continui pericoli, per mettere vittoriosamente a cimento la possanza dei suoi muscoli e la sua generosità. E Maciste (oramai non può esser che questo il suo nome!) è fatto apposta per interessare e accattivarsi la benevolenza del pubblico, traendosi ogni volta d'impaccio con la sua olimpica serenità e col suo eterno sorriso da bambino su quella facciona da gigante. Fa roteare degli uomini per poi lanciarli come dei sacchi lontano o sui carretti; manda per aria dei mobili; acciuffa a volo dei malandrini - sia pure trovandosi sui treni in corsa - e se li porta a spasso come delle valigie; si traveste in mille modi, giuoca d'astuzia e di braccia... e sorride sempre, mentre i suoi occhi vivaci scintillano di contentezza. Sorride e fa sorridere, straordinariamente comunicativo»  (Il rondone, "La Vita Cinematografica", 7-15.2.1916).

«-Oh, furono gli altri a cercarmi. Vennero da Torino in due. Volevano un uomo forte, un gigante. Furono mandati da me. Ero magazziniere, e nel mio posto stavo come in una vigna. E poi volevo bene al porto. Risposi di no. Tornarono il giorno dopo. Mi tastarono, mi misurarono, mi fotografarono. Gli amici s'intromisero e finii per partire per Torino. Là trovai Cabiria, ed il mio nome di Maciste. Più tardi ci trovai anche la moglie. Ma quella era dei paesi miei. (…) Genova, Torino, le città? Belle, ma malfide come il mare. La mia casa, viceversa, è sicura come un porto. Laggiù non si sa più di chi fidarsi. Qui viceversa, quando si levan “le arie spiccie” da Portofino, il cielo si ripulisce tutto, ed io sono felice. Qui nessuno mi inganna, ed il mondo è come lo vedo. Mi son goduto quindici giorni di riposo qui in alto, in paradiso. E qui quindici giorni valgono un anno della vita di città. Domani torno al lavoro, a Torino. Fino a quindici giorni fa ero un ricco zio di un “Nipote d'America”. Con domani divento un imperatore. Soltanto a Torino e soltanto sullo schermo, sa… ”» (Bartolomeo Pagano, "Film Pittaluga", 15.2.1924).

«Saetta, il simpatico e gioviale Saetta, al secolo Domenico Gambino, ne ha fatta una delle sue; ha messo a rumore uno dei più tranquilli e aristocratici quartieri di Borgo Po. Da più ore, strani preparativi richiamavano I'attenzione degli abitatori delle ville circonvicine e prospicienti il vasto terrazzo della “Savoia . Ed ecco Saetta pronto al cimento: inseguito da una muta di malfattori, I'eroico Saetta non ha che uno scampo: saltare da una finestra, passando come un bolide attraverso i resistenti cristalli. Il metteur-en-scène voleva fasciargli la testa con un panno, ma Saetta rise di questa gentile precauzione, commosso di tanta attenzione e persuaso che non era punto il caso… Il metteur-en-scène diresse la scena; l'operatore la girò, entrambi con l'animo in sospeso e pieno d'angoscia. Dalle finestre delle ville, si cominciava a capire e gli animi si tendevano nell'attesa…Un salto prodigioso, un tintinnio di cristalli in frantumi. Chi si coperse con le mani il volto per non vedere, chi svenne quasi in quell'attimo tremendo Il metteur-en-scène e l'operatore erano rimasti lì come intontiti. Ma Saetta, come se nulla fosse accaduto, sorridente, nonostante le numerose escoriazioni in più parti del corpo, si dava a tutt'uomo a confortare i presenti e a far servire cognac ed altri cordiali, egli che avrebbe dovuto essere confortato e forse medicato delle sue lievi ferite…La scena ha quindi già ottenuto un successo sensazionale, che non mancherà di rinnovarsi alla visione del film!» (Dicembre 1920).

«Sulle sponde di un vorticoso torrente, incassato tra orridi dirupi delle nostre Alpi e che offrivano un autentico scenario infernale, ricco di antri paurosi e selvaggi, giorni sono erasi accampata la numerosa troupe della “Fert” che eseguisce Maciste all'inferno. Così si potevano vedere parecchi attori in sembianze di diavoli irsuti e saltellanti scorazzare di qua e di là al comando di Guido Brignone. Quel remoto cantuccio dei nostri monti si era trasformato in un vero lembo del regno di Plutone. C'era Franz Sala, che solfeggiava allegramente: “Primavera, primavera, stagione di delizie”; c'era il tripputo Saio, armato di tridente; c'era tutta una coorte di demoni. Ed ecco sbucare a un tratto, dalla stradicciuola che scendeva a valle, un ragazzetto di un paese vicino e appollaiato su cime più alte. A quella infernale vista il poveretto s’arrestò spaurito e sgranò gli occhi. Poi gettò un grido e se la diede a gambe su per le balze, saltando come un capriolo. Ma il bello venne dopo. Infatti, non erano trascorsa un'ora che dal paese scendevano in frotta i montanari armati di randelli, di picche, di tridenti e di quanto era capitato a portata di mano. C'era tutto il paese e li comandava il buon parroco. Venivano a vedere donde era sbucata l'orda diabolica ed erano pronti a fugarla. Tuttavia l'equivoco fu tosto spiegato e i buoni montanari si accamparono nelle vicinanze per assistere allo svolgersi delle scene più infernali che si possano immaginare! Qualcuno, anzi, avrebbe avuto una voglia matta di fare egli pure il diavolo!» ("La Vita Cinematografica", Novembre 1924).






Film
titoloregiadatanote
CabiriaGiovanni Pastrone1914Italia, 35mm, 180', B/N
Il gigante delle DolomitiGuido Brignone1926Italia, 35mm, 0', B/N
Il vetturale del MoncenisioBaldassarre Negroni1927Italia, 35mm, 0', B/N




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