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ENCICLOPEDIA DEL CINEMA IN PIEMONTE

Persone



Italia Almirante Manzini

Taranto, 3 giugno 1890 - São Paulo (Brasile), 15 settembre 1941
Attrice
Figlia d’arte, nata da una famiglia di teatranti, cominciò giovanissima a calcare le tavole del palcoscenico, recitando con diverse compagnie (fra le quali si ricordano quella di Ettore Berti - al fianco tra l’altro dei cugini Luigi e Mario Almirante -, quella di Alfredo De Sanctis e quella di Ruggero Ruggeri, di cui entrò a far parte dopo la celebre interpretazione di Sofonisba in Cabiria). Moglie del giornalista, attore e regista Amerigo Manzini, fece il suo esordio al cinema da protagonista in una Maria di Magdala diretta da Mario Caserini, secondo quanto lei stessa affermava in un intervento pubblicato su “Cinema Illustrazione” nel giugno 1934. Il titolo non compare però sui repertori ufficiali: il primo film cui risulta accreditata la partecipazione dell’attrice risulta essere infatti Il poverello di Assisi (Cines, 1911). Tuttavia, le rare filmografie sull’attrice sono solite far risalire il suo esordio sul grande schermo con il film Sul sentiero della vipera (Savoia Film, 1912). La celebrità giunse con Cabiria, film che segnò l’inizio di una brillante carriera cinematografica e che fece dell’attrice una fra le più importanti dive italiane del tempo. La Manzini non abbandonò tuttavia il teatro, tornando anzi piuttosto spesso sul palcoscenico. Fra il 1916 e il 1917 fu scritturata da diverse case di produzione (Gladiator, Latina Ars, Silentium, ecc.). Il 1917 fu anche l’anno del ritorno all’Itala, che nel biennio successivo la volle protagonista di due pellicole di successo: Femmina e Hedda Gabler. Nel 1920 passò alla FERT, prendendo parte a numerose pellicole dirette dal cugino Mario: Zingari (1920), Marthù che ha visto il diavolo, La statua di carne (1921), La grande passione, La maschera del male (1922), L’ombra, La piccola parrocchia (1923), L’arzigogolo (1924). Nel 1926 - dopo un breve periodo trascorso in tournée teatrali - interpretò il suo ultimo film muto: La bellezza del mondo (Alba Film, 1926). Riapparve sul grande schermo solo nel 1934. Fu l’ultima volta: L’ultimo dei Bergerac di Gennaro Righelli rimase infatti il suo unico film sonoro. In seguito si trasferì in Brasile: qui recitò ancora occasionalmente per la colonia italiana. Morì poco più che cinquantenne a causa della puntura di un insetto velenoso.
 
Filmografia essenziale
Il poverello di Assisi (1911), Sul sentiero della vipera (1912), Il bacio della zingara, Disperato abbandono, L’ombra del male (1913), Cabiria (1914), Patria! (1915), L’amazzone macabra, Il cadavere scomparso, Notte di tempesta, Il poeta, la donna, La tenebrosa mano (1916), Voluttà di morte (1917), Femmina, Il matrimonio di Olimpia (1918), La maschera e il volto (1919), I due crocifissi, Hedda Gabler, L’inferriata della morte, L’innamorata, Zingari (1920), Marthù che ha visto il diavolo, La statua di carne (1921), La grande passione, La maschera del male, Sogno d’amore (1922), L’ombra, La piccola parrocchia (1923), L’arzigogolo (1924), La bellezza del mondo (1926), L’ultimo dei Bergerac (1934) 





«Le “toilettes” sono dopo tutto una necessità. Io trovo che l’attrice deve dare un’impronta di estetica al personaggio che impersona. Non è questione di vanità femminile: è, secondo me, una cosa oggi essenziale sulla scena. [...] La “toilette” ha, secondo me, tanta parte nell’espressione che una donna deve avere nelle differenti situazioni della scena» (I. Almirante Manzini in M. Nordio, Film dal vero con Italia Almirante, “Il Piccolo della Sera”, 9 maggio 1924).
 
«L’arte [...] di Italia Almirante si manifesta poderosamente e sovrasta spesso a quella di molte altre bravissime attrici dello schermo: arte ricca di espressioni, piena di movimento e di sottile profonda penetrazione psicologica e di plastica evidenza» (C. Di Gaspare, Italia Almirante, in “Al Cinemà”, n. 3, 23.71922).
 
«Italia Almirante non ha “al naturale” niente di quell’aria fiera, sprezzante, fatale che nelle films le conferiva un fascino così speciale. Ella si presenta invece con un altro fascino: quello della dolcezza, del sorriso un po’ triste, d’una femminilità morbida e delicata. Impressione del resto che si avverte anche quand’ella recita sulla scena. Glielo dico. E allora ella scatta: - È vero, è vero. Tutta colpa d’una delle mie prime films. Dopoché ebbi interpretato in Femmina un tipo di donna fiera e funesta, non ci fu più remissione: fu decretato che io non avrei più fatto che parti simili. Ed una dopo l’altra, me le imposero tutte supergiù dello stesso stampo. Finché un bel giorno perdetti la pazienza e gridai: “Basta non voglio più fare la donna fatale; non ne posso più!” Amo tanto le parti semplici, umane, schiette...» (M. Nordio, Film dal vero con Italia Almirante, in “Il Piccolo della Sera”, 9.5.1924).
 
«Le figure che raffigurò sullo schermo [erano] creature carnali, esagerate, passionali e spesso prede di un destino inamabile. Era molto bella [...]; la voce era calda, suadente; l’incesso ricco di un’istintiva autorità. [...] Non sembra tuttavia, dalle scarse testimonianze che si son potute raccogliere, che essa fosse pienamente consapevole del suo fascino fisico» (P. Bianchi, Francesca Bertini, UTET, Torino, 1969).
 
«[Sofonisba è] Un personaggio sofferto, complesso, tutto interiore: una bella grana per un attore di questo periodo. Come resistere alla tentazione (che è poi norma e canone) di gesticolare, di strabuzzare gli occhi, di roteare le braccia come pale di un mulino a vento? [...] Pastrone la aiuta impiantando per lei un gioco scenico tanto intelligente quanto semplice, basato su un elementare sistema prossemico: figura intera al centro dell’inquadratura per amplificare gesti caratterizzanti [...]; personaggi laterali o di sfondo [...] ad aumentare, per contrasto, l’espressione facciale di solitudine e tristezza; fondali di tipo teatrale [...] a sollecitare soluzioni “drammatiche”. Ma poi il merito è in gran parte suo. Sua, principalmente, la recitazione quasi priva di gesti, consegnata ai movimenti lenti dell’intera figura (florida, solenne, statuaria, fasciata dai panneggi della veste fino ai piedi), alla testa alta, alle braccia tenute prudentemente lungo i fianchi. Ne risulta un modello di recitazione stilizzato, efficace, moderno, anche se non per questo meno enfatico: un modello verticale in opposizione a quello “classico” e orizzontale delle braccia continuamente in agitazione e degli scatti repentini del corpo [...]; un modello che tende verso l’alto utilizzando le potenzialità significanti dell’intero corpo e non delle singole parti» (C. Camerini, Recitazione muta, “Immagine” n. 1, 1981).
 
«Diretta dal cugino Mario Almirante [...], l’attrice dimostra di non essere soltanto la “Grand’Italia”, come qualche buontempone l’aveva soprannominata, ma anche di possedere altre corde al suo arco. Un film come Zingari, tetro feuilleton riscattato da una accurata e pittoresca ambientazione, Marthù che ha visto il diavolo, inconsueta vicenda a due soli personaggi, piena di risvolti onirici, e L’Arzigogolo, beffarda novella benelliana dove è una suggestiva Madonna fiorentina, Italia Almirante Manzini si esprime con una recitazione molto più moderna, abbandonando quasi del tutto l’enfasi mimica di attrice del muto» (V. Martinelli, Donne del cinema torinese, in P. Bertetto, G. Rondolino, a cura di, Cabiria e il suo tempo, Museo Nazionale del Cinema / Il Castoro, Torino-Milano, 1998). 






Film
titoloregiadatanote
CabiriaGiovanni Pastrone1914Italia, 35mm, 180', B/N
La maschera e il voltoAugusto Genina1919Italia, 35mm, 0', B/N
Sogno d'amoreGennaro Righelli1923Italia, 35mm, 0', B/N
Disperato abbandono2006Italia, 35mm, 0', B/N




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