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ENCICLOPEDIA DEL CINEMA IN PIEMONTE

Cortometraggi e Documentari



K-Z
Italia, 1972, 35mm, 12', Colore


Regia
Giorgio Treves

Soggetto
Giorgio Treves

Sceneggiatura
Giorgio Treves

Fotografia
Sergio D'Offizi

Musica originale
Egisto Macchi

Montaggio
Carla Simoncelli



Produzione
Nexus Film

Note

Questo cortometraggio ebbe la nomination all’Oscar 1973.

Premi: Nastro d’Argento, Gran Premio al Festival Internazionale di Taormina, CEE Labelle (Francia).





Sinossi
Il vecchio mattatoio di Torino “raccontato” senza commento parlato, ma solo con immagini, musica, suoni e un montaggio alternato con immagini documentarie dei lager nazisti.



Dichiarazioni
«Davanti al carcere delle Nuove, in pieno centro città, dove ora c'è un giardino alberato con il capolinea delle corriere e il tribunale, sino a qualche anno fa c'era il mattatoio di Torino. Un perimetro costruito ancora nell'Ottocento, delimitato da alte mura di mattoni, impenetra­bile alla vista dei passanti […] guardando oltre i portoni aperti vedevo strade ac­ciotolate e umide, fiancheggiate da bassi fabbricati cadenti, e capan­noni sormontati da alte ciminiere spesso fumanti. Un'immagine che mi riportava a quelle sgranate e terribili dei campi di concentramento nazisti. Così come la quotidianità e l'abitudine con la morte che vede­vo negli occhi dei macellatori che guidavano le bestie a colpi di basto­ne mi riportava all'indifferenza delle SS e degli aguzzini davanti alle loro vittime, che tante testimonianze avevano descritto. Quando nel 1969 cominciai a pensare concretamente a un primo film da realizzare, mi venne automatico e urgente di raccontare questa esperienza. Di voler cercare di scuotere lo spettatore dalla crescente apatia verso il passato recente e di coinvolgerlo in questo confronto, in questa riflessione. Infatti erano troppo forti la presenza della morte nel cuore della vita quotidiana della città e l'indifferenza e la rimozione compiuta dalla gente per quanto avveniva dietro i muri del mattatoio da cui spesso si sentivano provenire lugubri muggiti. Per dare ancor più peso al mio progetto e al mio bisogno di risvegliare la coscienza degli spettatori, contattai Primo Levi, chiedendogli di realizzare il commento al film. Fu quello un incontro molto importan­te per me sia dal punto di vista umano che spirituale, che durò e creb­be nel tempo. Nonostante l'adesione di un grande scrittore e di un grande uomo come Primo Levi, fare quel documentario, quel corto, non mi fu per niente facile. Ogni volta che proponevo a un produttore di finanziarmi K-Z incontravo sguardi sospettosi, indifferenza, per­plessità sul progetto. […] Quando finalmente il film fu montato, lo proiettai a Pri­mo Levi perché potesse incidere con la sua voce, in diretta, le rifles­sioni e il commento che le immagini gli suggerivano. Ero molto emo­zionato e teso di conoscere la sua reazione e cosa avrebbe inciso. Du­rante la proiezione, nel buio della saletta di doppiaggio, cercavo di co­gliere e indovinare cosa mi avrebbe detto, ma non mi aspettavo che al­la fine mi dicesse che l'emozione era troppo forte perché potesse ag­giungere delle parole alle immagini. Per lui qualunque cosa avesse detto sarebbe stata didascalica e avrebbe appesantito il film. […] Quello che si imponeva nel suo modo di scrivere lo applicava ora anche al mio lavoro, invitandomi ad una vigi­le e continua attenzione alla misura, alla essenzialità, alla discrezione. Mi dispiaceva di non avere il suo commento, ma dovevo interpretare il suo rifiuto come un apprezzamento alla forza delle immagini, al ritmo del montaggio, alla pregnanza della musica. Anche se il suo nome non compare nei titoli di testa, la sua presenza e il suo ruolo furono altret­tanto importanti di quelli degli altri collaboratori con cui ancora oggi sento di aver vissuto un momento di grande identità e fusione e ai quali da allora mi lega una profonda amicizia e riconoscenza» (G. Treves, “Mondo Niovo 18-24 ft/s” n. 0, 2003).
 
«L’idea originaria di K-Z era quella di far accompagnare le immagini e la musica da un commento Fuori Campo di Primo Levi, che avrebbe dovuto sulla base dello scorrere del film ripercorrere il flusso dei suoi ricordi. Dopo esserci incontrati varie volte per parlare del progetto, venne il giorno in cui gli proiettai  la copia di lavorazione perché prendesse un po’ di confidenza col film. Ma alla fine della visione mi disse che le immagini e la musica erano troppo forti ed evocative per dovervi aggiungere anche un commento parlato. E comunque non se la sentiva di intervenire perché ne sarebbe stato troppo emozionato e turbato. Rispettai i suoi sentimenti e anche se mi dispiace che il film non abbia la sua testimonianza, mi resta il ricordo di un incontro e di una conoscenza molto formativi. Oltre alla lezione che potei trarre dal suo modo di essere pudico e disponibile, discreto e profondo» (G. Treves, Dichiarazione originale, 2008).





Il vecchio mattatoio torinese – poi demolito nel 1974 – alzava le sue lunghe mura di mattoni non intonacati nell’area compresa tra corso Vittorio Emanuele II, corso Inghilterra, via Cavalli e via Principi d’Acaja, nel luogo in cui ora sorge un giardino; una strada di discreto traffico (via Principi d’Acaja) lo separava dal Foro Boario (dove attualmente è sita la Cittadella Giudiziaria), dove il bestiame era accolto in attesa della macellazione. Più volte durante la giornata, per far passare mandrie di buoi e mucche che, scaricati dai carri bestiame, venivano portati al macello, veniva interrotto il traffico nella strada; così gli automobilisti e i passanti potevano vedere, al di là dei grandi portoni aperti, strade acciottolate e umide, cortili contornati da bassi fabbricati un po’ lugubri e inquietanti, sormontati da alte ciminiere spesso fumanti.

Al giovane Treves questo luogo evocò, sia per l’aspetto architettonico, sia soprattutto per il clima mortuario che vi si respirava, le memorie terribili dei lager nazisti. Così nel breve film la realtà del mattatoio diventa visione fantasmatica della memoria: attraverso gli occhi di un vecchio che si muove lento nel cortile, lo spettatore vede alternarsi e sovrapporsi alle immagini dei vitelli abbattuti quelle dei cadaveri ammassati nei campi di sterminio, dei forni crematori, dei reticolati.

KZ – cioè Konzentration Zenter – non è dunque propriamente un “documentario”, ma una testimonianza lirica e drammatica assieme, capace di stimolare intellettualmente lo spettatore, provocando in lui emozione e fascino visivo.



Scheda a cura di
Franco Prono

Persone / Istituzioni
Giorgio Treves
Egisto Macchi

Luoghi
NomeCittàIndirizzo
Palazzo di giustizia (ex-mattatoio)Torinovia Cavalli angolo corso Vittorio Emanuele



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