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ENCICLOPEDIA DEL CINEMA IN PIEMONTE

Cinema muto



Gli ultimi giorni di Pompei
Italia, 1908, 35mm, B/N

Altri titoli: Jone; Die Letzen Tage von Pompeji; Pompeis sidste page; Les derniers jours de Pompéi; The Last Days of Pompeii; De laatste dagen van Pompeï; La destruccion de Pompeya; The Last Days of Pompei

Regia
Luigi Maggi

Soggetto
dal romanzo omonimo di Edward George Earl Bulwer-Lytton

Sceneggiatura
Roberto Omegna

Fotografia
Giovanni Vitrotti, Roberto Omegna

Scenografia
Ettore Ridoni, Decoroso Bonifanti

Interpreti
Lydia De Roberti (Nidia), Umberto Mozzato (Glauco), Mirra Principi (Jone), Luigi Maggi (Arbace), Ernesto Vaser (il padrone di Nidia), Cesare Gani-Carini (Apoecide)



Produzione
Società Anonima Ambrosio, Torino

Note
366 metri. La pellicola è precedente all’istituzione della censura e non è dotata di visto di censura.
 
L’attore Cesare Gani-Carini interpretò Apoecide in due edizioni de Gli ultimi giorni di Pompei: quella del 1908 diretta da Luigi Maggi e quella del 1913 diretta da Eleuterio Rodolfi, entrambe prodotte dalla Società Anonima Ambrosio.
Un modello scenografico tridimensionale rappresentante l’ingresso di una casa pompeiana e alcune colonne sono conservate presso il Museo Nazionale del Cinema di Torino.
Il film fu distribuito in Austria, Danimarca, Francia, Germania, Gran Bretagna, Olanda, Spagna e negli Stati Uniti, con enorme successo di pubblico; la versione austriaca, francese e tedesca era lunga 380 metri; la versione inglese era lunga 1250 feet.
Proiettato in Olanda nella sala Parisien di Rotterdam, ottenne un notevole successo e venne sfruttato a lungo.
 
Reperibilità: Filmoteca Española (Madrid); Museo Nazionale del Cinema (Torino); Nederlands Filmmuseum (Amsterdam).
Una copia del film della durata di 14 minuti (35mm) è stata proiettata nel 1988 alle Giornate del Cinema Muto di Pordenone. Provenienza: Nederlands Filmmuseum (Amsterdam).




Sinossi
Pompei, 79 d.C. Affascinato dalla bella greca Jone, il sacerdote Arbace tenta di conquistarla ma la donna lo respinge perché innamorata, corrisposta, del nobile Glauco. La collera spinge Arbace a uccidere il fratello di Jone, Apoecide, e a sfruttare l’inconsapevole Nidia, una serva cieca che ama segretamente Glauco, per far ricadere la colpa sul rivale: in buona fede, Nidia somministra a Glauco quello che crede essere un filtro d’amore ed è in realtà un veleno, rendendolo pazzo. Accusato di omicidio e condannato a combattere con i leoni, il nobile romano riesce a salvarsi perché il Vesuvio erutta all’improvviso, seminando panico, morte e distruzione tra le vie della città. Grazie all’aiuto di Nidia, Glauco sale su un’imbarcazione insieme a Jone, scampando al pericolo, mentre Arbace muore tra le macerie.





«Io conosco eccellenti spettacoli – come Gli ultimi giorni di Pompei della casa Ambrosio – che dimostrano una abilità così evoluta da meritare la definizione di opere d’arte. Peraltro esse hanno minori pretese e non sono accompagnate da un bluff così vistoso» (“Ciné-Journal, n.14, 19.11.1908).
 
«Per quel che riguarda il film a soggetto, si tratta di Gli ultimi giorni di Pompei, prototipo di una lunga serie di riduzioni cinematografiche ispirate a un noto romanzo che a sua volta rievoca un famoso episodio storico. Il film della Ambrosio, secondo il già citato Elenco pubblicato dalla Prolo, era di 366 m., cioé circa 20 minuti di proiezione, il che per allora costituiva una durata da lungo metraggio. Del film, purtroppo, sembra che non rimanga altro che una fotografia di scena e un modellino per una scenografia (entrambi conservati al Museo Nazionale del Cinema di Torino). Ma sul film (direttore artistico Luigi Maggi, interpreti Lydia de Roberti, Mirra Principi), si scrissero cose davvero di rilievo. Nel “Bollettino ufficiale del Club d\'Arte di Torino” (XII-1908) si poteva leggere: “una pellicola la quale attirò l\'attenzione non solo d\'Italia, ma anche dall\'estero, basti dire che la rappresentavano contemporaneamente 14 cinematografi di Roma e meritava davvero tale unanime successo. La ditta fabbricante dovette affrontare e spese e difficoltà non comuni, e seppe degnamente superarle. Interessantissimo il tema del dramma; ma ciò che fu interpretato in modo splendido fu la scena del circo, allorquando incominciò la grande e storica scena dell\'eruzione del Vesuvio, e lo spavento e la fuga degli spettatori bersagliati, soffocati dalla terribile azione della lava infuocata. Non solo, ma tutta la film fu studiata in ogni minimo dettaglio; e tutte le scene principali costituiscono veri quadri artistici" (cit. da MA Prolo, op. cit.). Ancora più significativo il giudizio espresso da Victorin Jasset, a quell\'epoca importante regista della Pathé, della Gaumont e della Eclair: "[...] presque à ses débuts, l’ltalie produisit un chef d\'oeuvre qui, à trois ans après, malgré la rapide évolution faite en ce laps de temps, apparait ancore une des meilleures oeuvres de la mise en scène au ciné. Je veux parler des Derniers jours de Pompei, qui, dès sa représentation, révolutionna le marché par son sens artistique, sa mise en scène soignée, l\'habilité de ses trucs, sa largeur de conception et d\'exécution, en meme temps que par son exceptionelle qualité photographique. Le film était hors de pair e classa la maison Ambrosio parmi les meilleures marques" (cit. da M.A. Prolo, in "Anthologie du cinéma" a cura di M. Lapierre, Paris, 1946). Dopo un simile successo, che aprì alla ditta torinese i mercati stranieri, si disse che la Pathé aveva deciso di acquistare copie di tutte le produzioni importanti della Ambrosio per farle studiare ai suoi tecnici» (V. Tosi, “Bianco e Nero”, n. 3, maggio-giugno 1979).
 
«Se si osservano i film del primo decennio del secolo, gli elementi che colpiscono naturalmente l’osservatore sono la quasi totale assenza di sfondi, un insieme ridotto alle proporzioni di un modesto gabinetto fotografico, una simmetria uniforme di teloni pitturati, avanti ai quali e a pochi passi di distanza, gli attori recitano la loro parte. Nelle scenografie non si distinguono gli oggetti reali da quelli dipinti sui fondali, al punto che le comparse sono costrette ad agitarsi perpetuamente per evitare che le loro sagome appaiano assorbite dalle tele di fondo. Questo vale per il cinema francese come per quello tedesco, per l’inglese come il danese. Molto meno per quello italiano, quando si osservino con attenzione antichi reperti come Gli ultimi giorni di Pompei (1908), Nerone (1909)» (R. Paolella, Storia del cinema, citato in V. Martinelli, a cura, Cinema italiano in Europa 1907-1929, Associazione italiana per le ricerche di storia del cinema, Roma, 1992).
 
«Comunque, ancora nella sua fase iniziale, l’Italia produsse un capolavoro, che tre anni dopo, malgrado la rapida evoluzione registrata nel tempo intercorso, risultava ancora una delle migliori opere cinematografiche. Mi riferisco a Gli ultimi giorni di Pompei, che, fin dal momento della sua presentazione, rivoluzionò il mercato per il suo senso artistico, la sua messinscenza [sic] accurata, l’efficacia dei suoi trucchi, la ampiezza della concezione e della esecuzione, nonché per la eccezionale qualità della fotografia. Il film era senza pari, e classificò la casa Ambrosio tra le migliori ditte. I film realizzati posteriormente furono senz’altro inferiori, benché bene spesso ancora di prim’ordine» (V. Jasset, “Ciné-Journal” n. 166, 28.10.1911 e n. 167, 4.11.1911, citato in V. Martinelli, a cura, Cinema italiano in Europa 1907-1929, Associazione italiana per le ricerche di storia del cinema, Roma, 1992).




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