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ENCICLOPEDIA DEL CINEMA IN PIEMONTE

Lungometraggi



Il vento fa il suo giro
Italia, 2005, 35mm, 110', Colore

Altri titoli: E l'aura fai son vir; The Wind Blows Round

Regia
Giorgio Diritti

Soggetto
Fredo Valla

Sceneggiatura
Giorgio Diritti, Fredo Valla

Fotografia
Roberto Cimatti

Operatore
Andrea Vaccari

Musica originale
Marco Biscarini, Daniele Furlati

Suono
Carlo Missidenti

Montaggio
Edu Crespo, Giorgio Diritti

Scenografia
Paolo Ludice, Vincenzo Berardi, Saverio Mallieni

Costumi
Raffaella Ciavarelli, Manuela Marzano

Trucco
Pierangela Biasi, Francesca Ioppolo

Aiuto regia
Manuel Moruzzi

Interpreti
Thierry Toscan (Philippe Héraud), Alessandra Agosti (Chris Héraud), Dario Anghilante (Costanzo, il Sindaco), Giovanni Foresti (Fausto), Caterina Damiano, Giacomino Allais, Daniele Mattalia, Ines Cavalcanti, Kevin Chiampo, Frederique Chiampo, Emma Giusiano, Bruno Demaria, Angelo Martelli, Nadia Belliardo, Bruno Manzo



Produzione
Simone Bachini, Mario Chemello, Giorgio Diritti per Aranciafilm, Imago Orbis Audiovisivi

Note
Anno di produzione: 2005.
Assistente operatore: Alberto Marchiori; assistenti alla regia: Massimo Tonti, Davide Raganati; suono Dolby Digital; altri interpreti: Piero Tomassino, Giuseppe Rinaudo, Lidia Ellena, Vittorio Luciano, Sergio Piasco, Bernardo Giaime, Fabrizio Arese, Sergio Arese, Adriano Belliardo, Liliano Belliardo, Margherita Belliardo, Giorgio Bertolotti, Carlo Bordone, Gabriele Chiampo, Franco Chiapello, Attilio Cottura, Fedrica Emanuel, Riccardo Ferrara, Pierangelo Fiorentini, Maria Fresia, Debora Gambino, Franco Garbarini, Mario Garnero, Andrea Gertosio, Silvio Gertosio, Michelangelo Ghio, Aldo Giaime, Chiara Mainero, Anna Mazza, Graziella Menardo, Manuel Moruzzi, Clara Mottura, Giorgio Mottura, Giacomo Odoberto, Giuseppe Parise, Oreste Salomone, Enrico  Simondi, Luigi Viale, Demetrio Zema; segretarie di edizione: Silvia Bertolazzo, Daniela Gabellotto; produttori associati: la troupe, gli attori principali, Limina Srl, Roberto Passati, l’Ecomuseo e gli abitanti dell’Alta Valle Maira.
 
Il film ha ottenuto il Patrocinio del Ministero dell’Interno – Area Minoranze Linguistiche, della Regione Piemonte, della Provincia di Cuneo, della Città di Torino, della Città di Cuneo, della Comunità Montana Valle Maira.
Le sequenze parlate in occitano ed in francese hanno i sottotitoli in italiano.
 
Locations: Chersogno, Val Maira (CN).
 
Premi:
Primo Premio alla Sceneggiatura al festival del Cinema i Montagna di Trento 2002; Primo Premio Rosa Camuna d’oro al Bergamo Film Meeting 2006;
Migliore Film a Soggetto al Lisbon Village Film Festival;
Grand Prix e Premio CICAE al 24° Annecy Cinéma Italien;
Premio Siae alla 1^ Festa del Cinema di Roma 2006;
Premio a G. Diritti come Miglior Regista Esordiente alla 7^ edizione degli Incontri Fice; Primo Premio al 9° Napoli Film festival;
Primo Premio al 20° Neue Heimatfilm, Friestadt;
Premio della Critica agli Incontri del Cinema Italiano di Tolosa 2007;
Premio Speciale all’11° Roseto Opera Prima;
Premio del Pubblico al 3° Food in Film Festival; Primo Premio coe miglior Film, Miglior Attore e Premio Speciale al 10° Gallio Film Festival;
Menzione Speciale al Levante Film Festival di Bari;
Premio alla Miglior Sceneggiatura a “Storie di Cinema”, Grosseto.




Sinossi
Nel contesto montano delle Alpi occitane italiane, Chersogno è un piccolo villaggio la cui sopravvivenza è legata ad alcune persone anziane ed a un fugace turismo estivo. In questa piccola comunità arriva un pastore francese, accompagnato dalla sua giovane famiglia, le sue capre e la sua piccola attività da imprenditore formaggiaio. Viene accolto non senza resistenze, e il suo arrivo diventa la dimostrazione di una possibile rinascita del paese. Ma, un po’ alla volta, le condizioni di vita divengono sempre più difficili, tra incomprensioni, rigidezze e un pizzico di invidia. Alcuni tra gli abitanti iniziano a sentire troppo ingombrante questa nuova presenza, ed una serie di vicissitudini portano il paese a dividersi in due.




Dichiarazioni
«Uomo e natura: un equilibrio difficile in relazione in particolare allo sviluppo, ma anche un richiamo forte che accomuna molte persone scontente della loro vita ed alla ricerca delle sensazioni primordiali dell'esistere. La storia si sviluppa in una dimensione corale dove si distinguono due entità; il "paese" e la famiglia del pastore francese. Tra i temi posti in sottotraccia vi è certamente il rapporto di soddisfazione ed insoddisfazione che hanno i vari personaggi nei confronti della vita. Le loro scelte e i loro umori sono lo specchio di queste sensazioni. Non si cerca quindi di proporre riflessioni sull'ecologismo o su una fascinazione per filosofie New Age. C’è al contrario l'osservazione di uomini che nella briciola di tempo della loro esistenza cercano un'identità che gli corrisponda, credono di poterla gestire, costruire, la inseguono, la ricercano disperatamente; o di altri che non la identificano più, avendo fatto proprio il ruolo che gli schemi della società o le amarezze della vita gli hanno costruito attorno. In questa dimensione tutto appare sospeso, possibile ma allo stesso tempo definito. Affiora la sensazione del destino, come ricorda una piccola filosofia  popolare citata da uno dei personaggi del film: "Le cose sono come il vento, prima o poi ritornano.” Gli eventi propongono una riflessione sulle scelte personali, su quelle che potranno caratterizzare il futuro, che potranno forse modificarlo per renderci intimamente più felici, in pace con noi stessi. [...] Il rapporto con la "diversità" diviene man mano il punto cardine dell'evoluzione narrativa, come un ostacolo o comunque un passaggio inevitabile nel rapporto dell'uomo con la propria identità e con la realizzazione di sé. La "diversità" come disagio o arricchimento a seconda delle posizioni dei diversi protagonisti. La "diversità" è l'elemento scatenante del conflitto, che mette in discussione le certezze, le convinzioni, condiziona gli eventi, le scelte, trasforma le persone, ne ribalta il ruolo e va a proporre un sicuro spunto di riflessione sulla capacità delle società di evolversi nella valorizzazione delle diverse identità. [...] Il vento fa il suo giro è un progetto sperimentale girato con tecnologia digitale. Senza aver goduto di finanziamenti statali infatti è in lavorazione grazie ad una particolare formula produttiva: le persone della troupe e gli attori principali entrano in coproduzione garantendosi con il lavoro una quota del film. Questo è stato possibile grazie all'adesione ad un progetto che esce dagli schemi tradizionali del cinema italiano, facendo propria una scelta che crede ancora all'importanza di raccontare storie autentiche. Gli abitanti delle valli, oltre a ricoprire pressoché tutti i ruoli comprimari, hanno sostenuto e reso possibile il film mettendo a disposizione mezzi, animali, oggetti di scena ed ambienti dove effettuare le riprese. Sperimentale e innovativo è poi l'uso delle lingue dei personaggi: il francese per la famiglia Héraud, l'occitano per i valligiani e l'italiano per gli abitanti del fondo valle. L'intenzione di utilizzare i sottotitoli, mantenendo inalterato l'uso delle lingue senza ricorrere al doppiaggio, non falsa la narrazione e non appiattisce il film su standard preconfezionati. Allo stesso tempo condivide e supporta recenti studi sull'intercomprensione linguistica nell'ambito delle lingue romanze» (G. Diritti, Cartella Stampa della Produzione). 





«A dispetto di Tarantino, che non sa, ecco un nostro debutto da non dimenticare. Quello di Giorgio Diritti che racconta in tre lingue (italiano, occitano, francese e sottotitoli) il difficile trasloco, morale e materiale, di un pastore francese nel villaggio montano in una valle occitana piemontese. [...] Lo dice il titolo, le cose prima o poi ritornano; e in questo film, che usa un cast quasi tutto non professionista, c'è la sensazione di auscultare un mutamento biologico della gente che poi la tv si preoccuperà di ripresentare con piena falsità retorica. Autori di riferimento sono Olmi e Piavoli, una fiduciosa ripresa di quell'invisibile senso del Tempo che pervade sia il paesaggio sia tutti i nostri instabili affetti» (M. Porro, “Corriere della Sera”, 1.6.2007).
 
«Ecco un film che si prende tutto il tempo necessario per dire due-tre cose importanti con la forza, l'onestà, il gusto per la verità del buon cinema. È girato nelle valli occitane del Piemonte, uno dei tanti angoli dimenticati del nostro paese che non si vuole bene, ed è parlato in italiano, francese e lingua d'oc. Racconta l'arrivo di uno strano pastore francese, ex-insegnante di buone letture e solido coraggio, che si stabilisce con moglie, figli e capre in quel paesino abitato quasi solo da vecchi, per fare ottimi formaggi. Una piccola rivoluzione: ma le rivoluzioni raramente riescono e anche stavolta, esauriti gli entusiasmi iniziali, scattano diffidenze, invidie, rancori. A senso unico: perché saranno i valligiani a prendere l'opportunità per una minaccia, fino a costringerlo a ripartire. Il tutto scritto, recitato, ambientato con stile piano ma sapientissimo, sulla linea Olmi - Brenta - Piavoli, da un gruppo di non professionisti che lavorano in partecipazione (ognuno possiede una piccola quota del film). Il risultato è stupefacente per durezza (ed esattezza), ambientale e psicologica. Infatti è stato nei festival di mezzo mondo, ma in Italia esce dopo due anni. E non vincerà mai un premio ufficiale. Che dire?» (F. Ferzetti, “Il Messaggero”, 15.6.2007).
 
«Fotografato meravigliosamente da Roberto Cimatti, sostenuto dalla sceneggiatura sapiente e ben ritmata di Diritti e Fredo Valla, interpretato dall'amichevole partecipazione dei locali e da quella più consapevole di alcuni attori (Alessandra Agosti e Thierry Toscan), l'esordio di Maritti commuove e incanta. Il vento fa il suo giro ha fatto diversi giri di vento, di festival e di mondo per potersi finalmente posare sullo schermo di qualche sparuta sala italiana. Ed è con la forza del suo dettato e della sua magia che questo “vento” si sta affermando, lentamente tramite quel fondamentale esercizio di critica e democrazia che è il passa parola» (D. Zonta, “l'Unità”, 8.6.2007).

 «La cosa speciale di questo racconto è che non propone mai in modo semplicistico la dinamica tra conformismo e diversità. Non sventola facili slogan ecologici o di ritorno alla natura. Della relazione dialettica tra il pastore francese e i suoi interlocutori/antagonisti indaga ogni piega: entrambi sono portatori di una ideologia critica verso il modello di vita delle società ricche e contemporanee. Ma il punto è che mentre gli uni hanno congelato quei valori in una difesa chiusa e conservatrice, l'altro li misura concretamente e faticosamente in una scelta di vita» (P. D'Agostini, “la Repubblica”, 15.6.2007).

«Una storia concreta per temi generali ineludibili. Cosa deve fare una comunità per non scomparire? A cosa deve rinunciare? Sul concetto un po' anti-egualitario di "tolleranza" c'è da discutere (e la sceneggiatura lo fa in maniera chiara e profonda). Siamo di fronte a un film di notevole lucidità ideativa e realizzativa. Senza indecisioni o digressioni superflue, Giorgio Diritti (viene dai corti e dai documentari) con l'aiuto appassionato e sorvegliato della comunità occitana ci parla di individui e collettività senza didascalismi o giudizi calati dall'alto. Una impeccabile professione di etica cinematografica e di narrativa» (M. Lastrucci, “Ciak”, luglio 2007).

«Quella del bolognese Giorgio Diritti è una regia di notevole respiro che sa valorizzare bene gli spazi, a volte inquietanti e claustrofobici benché ampi e solari. E l'acerba recitazione dei protagonisti, alcuni dei quali, come si suol dire, presi dalla strada (nel nostro caso dai sentieri), ha un pathos inedito per operazioni del genere. Si perdonano quindi un certo schematismo nella progressione del racconto e l'eccessiva simbolicità della figura del matto, perché il film è autentico e coinvolgente» (F. Pedroni, “Film Tv”, 29.5.2007).
 
«Girato in Piemonte, in Val Maira, il film di Diritti rivela la volontà di conciliare un approccio realista nei confronti del contesto montano in cui è ambientato, senza al contempo rinunciare ad instaurare una relazione di natura espressiva tra scenografie naturali ed interpretazioni attoriali. Diritti sottolinea questo tipo di relazione: "Volevo che ciò che si andava a raccontare non fosse determinato solamente dalle azioni, ma anche da una dimensione psicologica, data dagli ambienti, dai loro colori, da una serie di elementi che condizionano il paesaggio. Tutto questo comunque rispettando una dimensione di realismo, di realtà rispetto a ciò che si è andati a raccontare" […]. Ultimato nel 2005, Il vento fa il suo giro diviene nel 2007 un caso nazionale, vincendo più di trenta festival internazionali e rimanendo in programmazione per più di 18 mesi» (D. Brotto, “Quaderni del CSCI” n. 6, 2010).
 
«While pic feels a little drawn out once it becomes obvious which way the wind is blowing, script takes admirable pains to give all sides a fair hearing. Helmer Diritti, who has worked with Ermanno Olmi and Pupi Avti, elicits flinty, spontaneous perfs from the non-pro cast and has a natural feel for the rhythms of farming life» (L. Felperin, “Variety”, citato nella Cartella Stampa della Produzione).
 
«By turns funny, touching and infuriating, Diritti’s film carefully builds up the simmering tensions between people in this tight knit micro environment, whilst making the most of the astonishing mountain landscape for breathtaking images through the seasons» (A. Wootton, British Film Institute, Ivi)
 
«A film like The Wind Blows Round makes one thankful that festivals like Open Roads exist. It’s a debut feature from an unknown director that features a cast of non-actors [...] it’s a movie of tremendous, subtle power that is difficult to forget, and Giorgio Diritti is a director of impressive grace and patience whose future work holds tremendous promise» (M. Fischer, “Oper Roads Review”, Ivi).




Persone / Istituzioni
Giorgio Diritti
Fredo Valla
Thierry Toscan
Alessandra Agosti


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