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ENCICLOPEDIA DEL CINEMA IN PIEMONTE

Cortometraggi e Documentari



Noi non abbiamo vinto?
Italia, 2006, Betacam, 62', B/N e colore


Regia
Gianni Sartorio



Produzione
Associazione Internazionale Help Onlus di Torino.

Note
Testimonianze di: Adriano Sofri, Giorgio Pietro­stefani, Tonino Carta, Giampiero Leo, Angelo Pezzana, Bruno Gamba­rotta, Steve Della Casa, Walter Altea, Gianni Oliva, Marco Fagiano.
 
Documentario realizzato con il sostegno dell’Assessorato alla Cultura della Regione Piemonte e della Film Commission Torino Piemonte.




Sinossi
Il documentario rivela, attraverso numerose testimonianze, il clima degli anni (il decennio ’67-’77) in cui le scuole e le fabbriche sembravano caserme e in cui le tensioni sociali replica watches uk cominciavano a sfociare in contestazioni dell’ordine costituito.





«Sono trascorsi trent’anni […] da quando (novembre 1977) […] gli studenti si riunirono per meditare sul ferimento mortale di Carlo Casalegno, il vicedirettore de “La Stampa” colpito dalle Br. Il film-intervista di Gianni Sartorio, medico con un passato in Lotta Continua e poi nei Verdi, si ferma prima delle morti del brigadiere Francesco Ciotta, del presidente degli avvocati Fulvio Croce, di Roberto Crescenzio, lo studente che perse la vita in seguito alla bomba incendiaria lanciata nel bar di via Po. A ripercorrere la scia di sangue seminata da giovani usciti dai movimenti studenteschi e arruolati da Bierre e Prima Linea la domanda “Noi non abbiamo vinto?” sembra scontata. È invece legittima se ci si immerge nel decennio precedente. Sartorio lo fa con serietà cronistica, pur scrivendo dalla parte in cui l’autore-regista ha militato» (L. Borghesan, “La Stampa”, 3.2.2007).
 
«Quanta nostalgia tracima dalle immagini del film Noi non abbia­mo vinto? L'ha realizzato il medi­co torinese Gianni Sartorio intervi­stando un manipolo di ex di tutto - del Movimento, di Lotta continua, di Cl e del Fronte della Gioventù [...] Arrivati in quella età balorda che batte tra i 50 e i 60, hanno deciso di usare tante parole, qual­che simbolica immagine e un bel po' di musica per dire una cosa elementare, ma sulla quale si scan­nano da anni, spesso con intenti becerotti di polemica politica odierna, i meglio cervelli del pae­se: basta schiacciare il Sessantotto e gli Anni Settanta sugli anni di piombo. E quel titolo un po' bislac­co - che va letto con una parola per riga, e al fondo un isolato punto interrogativo - dice questo: voleva­mo cambiare il mondo, non è andata così, ma da quelle battaglie è venuto fuori, anche se acciacca­to e stremato, un paese diverso, più libero. [...] E alla fine la conclusione è che sì, malgrado tutto, si è vinto; la violenza del terrorismo successivo non cancella una stagione in cui l'Italia è davvero cambiata. Questo vuol dire il film attraverso una cascata di ricordi, una specie di collettiva terapia di gruppo. E dai ricordi emerge una città fantastica. Un set perfetto per i sogni di una generazione di ragazzi che parte contestando la riforma dell'Univer­sità e finisce nei gruppi extraparla­mentari, come Lotta continua, per cambiare tutto, rivoltare il mondo. A Torino non manca nulla: c'è la grande fabbrica, la Fiat quella “feroce” nell'immaginario della genera­zione precedente, ci sono frotte di immigrati dal Sud che - come rac­conta l'operaio oggi ristoratore En­zino Di Calogero - arrivano a Porta Nuova, annusano le diffidenze anti­che della città e si dicono “'sti stronzi sentiranno parlare di noi”. C'è la tradizione dei Consigli, del biennio rosso, c'è Gramsci, un gran­de partito comunista da amare, contestare, detestare. Favolosa Torino con le sue neb­bie mattutine intorno Mirafiori, i barucci dove farsi il grappino delle sei e il panino di mortadella. Favolo­sa città dove Pietrostefani dice accigliato a Fabrizio Salmoni: “E piantala di fare l'hippy: diventa un militante rivoluzionario» [...] Su tutto si allunga implacabile la stagione delle stragi fasciste o di Stato con lo stillicidio di lacrime e rabbia, disperazione e lotta. Poi il Movimento si squaglia, Lotta Conti­nua si scioglie nel '75 e lascia - come raccontano i testimoni del film - un seguito di orfani. [...] Il regista, Gianni Sartorio, è netto: “Come spiega nel film Tonino Car­ta, in politica mezzi e fini sono inscindibili. Non c'è altro da dire”» (M. Cassi, “La Stampa”, 2.2.2006).


Scheda a cura di
Gabriele Rigola


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