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ENCICLOPEDIA DEL CINEMA IN PIEMONTE

Lungometraggi



Cavalleria
Italia, 1936, 35mm, 89', B/N


Regia
Goffredo Alessandrini

Soggetto
Oreste Biancoli, Salvator Gotta

Sceneggiatura
Oreste Biancoli, Fulvio Palmieri, Aldo Vergano

Fotografia
Vaclav Vich

Operatore
Francesco Izzarelli

Musica originale
Enzo Masetti

Suono
Giovanni Bianchi

Montaggio
Giorgio C. Simonelli

Scenografia
Gastone Medin

Costumi
Gino C. Sensani

Interpreti
Amedeo Nazzari (Umberto Solaro), Elisa Cegani (Speranza di Frasseneto), Enrico Viarisio (sottotenente Rolla), Mario Ferrari (capitano Alberto Ponza), Silvana Jachino (Carlotta di Frasseneto, sorella di Speranza), Luigi Carini (conte Emanuele di Frasseneto, padre di Speranza), Clara Padoa (contessa Clotilde, sua moglie), Adolfo Geri (Adolfo di Frasseneto), Ernst von Nadherny (barone von Osterreich, marito di Speranza), Anna Magnani (Fanny), Nora D'Alba (contessa Sandi), Oreste Fares (medico), Michele Malaspina (ufficiale di cavalleria), Silvio Bagolini (attendente Bagolini), Fausto Guerzoni (attendente)

Direttore di produzione
stripslashes(Angelo Besozzi)

Produzione
ICI

Distribuzione
ICI

Note
Metri 2428.
 
Direttore d’orchestra: Ferdinando Previtali; assistente alla regia: Umberto Scarpelli; altri interpreti: Cecyl Tryan (dama dell’aristocrazia torinese), Walter Grant (ufficiale superiore), Albino Principe (marito di Carlotta), Felice Minotti, Romolo Costa, Rita Rivesi, Fedele Gentile, Flavio Diaz, Mario Severa, Antimo Reyneri, Vittorio Capanni, Umberto Casilini.
 
Locations esterni: Scuola di Cavalleria di Pinerolo (TO) e Maneggio del Castro Pretorio (Roma).
 
Premi: Coppa del Ministero per la Stampa e Propaganda al Festival di Venezia del 1936.




Sinossi
L’impossibile amore di un ufficiale di cavalleria (Umberto Solaro) per una ragazza nobile (Speranza di Frasseneto) che lo ama ma finisce sposa ad un diplomatico per sanare le dissestate finanze familiari. Solaro diventa un celebre cavallerizzo istruttore di equitazione, ma quando il suo cavallo muore accidentalmente, si arruola nell’aviazione militare e muore eroicamente durante la prima Guerra mondiale.




Dichiarazioni
«È un film abbastanza riuscito, l'ho rivisto ancora poco tempo fa. Ci trovo naturalmente dei difetti, qualche modesta virtù, ma comunque come film romantico forse è uno dei più riusciti di quanti se ne siano fatti in Italia in quell'epoca lì. Devo questo all'ambiente in cui si svolgeva, alla storia che stava dietro, alla vicenda inventata da noi e agli sceneggiatori che hanno saputo rendere così bene l'atmosfera dell'epoca. Vuol sapere com'e nato Cavalleria? lo amo i cavalli, amo andare a cavallo, da ragazzo ci andavo, non ho mai mancato l'occasione per sfogarmi appena potevo e quindi ero un frequentatore del Concorso ippico di Roma ogni anno. Una volta tanto non pioveva, era una giornata magnifica, e mi ha fatto impressione vedere una signora anziana, alta, imponente, magra però e molto slanciata, con un viso bellissimo, coi capelli candidi e tutta vestita di bianco, proprio come si doveva vestire sua madre una trentina d'anni prima, una quarantina di anni prima. Un bellissimo vestito a merletti, una camicetta con vari volants, e una cintura bianca anche lei che le stringeva la vita, la gonna lunga e un cornetto in testa, un cornetto di pizzi che le stava molto bene. Soprattutto poi l'espressione fiera che dominava in questo parterre di gente, e sembrava un po' la padrona senza che parlasse e senza che facesse nient'altro che passare in mezzo alla folla, andando a prendere il suo posto. Solo come guardava la gente si capiva che era stata tante volte ai concorsi ippici, faceva parte proprio dell'ambiente e non poteva esserci una figura più adatta all'avvenimento. Mi sono chiesto allora a che cosa poteva pensare questa signora assistendo a un concorso ippico nel 1933 o 34, ricordando quello che aveva vissuto, se mai (e qui entrava l'invenzione) aveva vissuto romanticamente l'epoca d'oro della cavalleria, cioè il primo decennio del secolo. E su quest'idea ho cominciato a lavorare, a cercare una trama. La sera stessa io ritornavo in alta Italia e sul vagone letto incontro nel corridoio Salvator Gotta. Ci scambiamo impressioni, era stato anche lui, da buon romantico dei primi del '900, al concorso ippico e da quello che gli raccontavo io di questo personaggio che mi aveva fatto tanta impressione, è nata l'idea di fare Cavalleria. E Gotta ha pensato subito a Biancoli, che era stato anche lui non proprio in cavalleria, ma nell'artiglieria a cavallo. Tante volte avevamo parlato insieme di cavalli, quindi era lo sceneggiatore adatto, insieme con Gotta, a una storia di questo genere. E da quella idea mia e dal loro lavoro è nato il film. Si trattava di trovare l'interprete. E io l’avevo visto a teatro, in una commedia che era intitolata, La guarnigione incatenata, un aitante giovanotto che faceva il sottotenente, mi pare, uno dei sei o sette interpreti prigionieri. Mi aveva impressionato la sua aitanza e ho pensato così subito, anche per una somiglianza fisica con Caprilli, che poteva essere lui protagonista. Caprilli era stato il campione nazionale per moltissimi anni della nostra equitazione, aveva vinto all'estero una quantità di concorsi e stabilito record di salto. Ed era alto anche lui come era alto Amedeo Nazzari, cioè teoricamente negato a poter stare su un cavallino di tipo italiano, insomma iI nostro cavallino sardo. Quindi bisognava puntare il racconto tutto su questo personaggio, che era stato romantico anche nella vita privata e quindi ci indicava la strada per la nostra storia. Ma Caprilli, che è morto abbastanza giovane, non aveva partecipato alla grande guerra. E noi volevamo invece continuare a legare la storia della cavalleria con la storia dell'aviazione, che era nata dalla cavalleria. E allora ci ricordammo di Baracca, che era stato l'asso degli assi italiani ed era un ex-ufficiale di cavalleria, tanto che il segno della sua squadriglia era il cavallino rampante. Unite un po’ le due vite e fattone un solo personaggio, che poi fu interpretato da Nazzari, venne fuori il nostro capitano Solaro» (G. Alessandrini, in F. Savio, Cinecittà anni Trenta, Bulzoni, Roma, 1979).





«Tentare una visione ciclica in un film, con una vicenda che abbracci più epoche, e ad ognuna conceda quasi lo stesso respiro, significa per lo più affidare il racconto a parecchi episodi, cronologicamente ordinati. I novanta minuti di proiezione se ne fuggono molto rapidamente; per contenervi un ciclo bisognerà necessariamente ricorrere allo scorcio e all'incastro. Soggetto e sceneggiatura di Cavalleria non sempre rispondono a tutto ciò. Mi pare questa la sola e non fondamentale riserva da farsi al film; riserva che però molto facilmente si dimentica per una ricchezza e una accuratezza rare, per un gusto che presiede quasi a ogni inquadratura, per una interpretazione complessivamente lodevole, per una salda regia di parecchi episodi […]; il nostro vecchio Piemonte […] è ritratto con mano attenta e delicata; parecchie visioni di guerra sono fortemente scorciate; e le ultime inquadrature, quelle del lento trasporto della salma di Solaro, compiuto da uno squadrone dei "suoi" cavalleggeri, danno un altro momento di commozione, forse il più intenso, ben dominato da un regista di schietto ingegno» (M. Gromo, "La Stampa", 29.8.1936).
 
«Non vi è […] la grande scena di effetto: ma di scene, e quindi di inquadrature degne di rilievo, ve ne sono molte, dal principio alla fine. Un montaggio molto preciso ha, specie nelle sequenze d'assieme, contribuito al risultato; ritmo e tempo sono costantemente mantenuti. Nelle scene di interno l'ambientazione è assai accurata, dalla scenografia ai costumi, di particolare buon gusto (ed era l'epoca del cattivo gusto). La rievocazione gode quindi di un insieme squisitamente armonico; di uno sviluppo di scene di esterno stilisticamente ottime: la cavalleria ha il suo film» (F. Pasinetti, "Gazzetta di Venezia", 29.8.1936).
 
«Alessandrini […] ci aveva già dato saggi eccellenti della sua facilità e del suo gusto nel cogliere il punto giusto di colore di un dato ambiente e di una data società: con ironia ma senza acredine, in Seconda B, con rispettoso sentimento in Don Bosco. Ora è una Torino fin de siècle, galante e provinciale, e la Roma del "Piacere" che sono servite di pretesto al regista per un'altra delle sue divertenti e delicate esercitazioni descrittive. La più delicata e la più divertente forse, ma la più coscienziosa certamente. Voi cerchereste invano, qui dentro, una dimenticanza grossolana, o un errore di gusto, o una caricatura smaccata. Quel tanto di sentimento e di ironia che dovrebbero sempre presiedere a questo genere di rievocazioni, qui dentro sono ottimamente dosati, conferendo a tutta la riesumazione quel profumo ineffabile che corre per esempio nelle più riuscite poesie di Gozzano. Tanto vale dunque parlare di atmosfera. Certamente: in questo film ce n'è da vendere ed è appunto questo tono, questo colore, questo profumo, giusti e ben distribuiti che ventilano e menano in porto agevolmente il racconto assai lieve, quasi inesistente» (S. De Feo, "Il Messaggero", 29.8.1936).
 
«Cavalleria […] è un film di primissimo ordine sotto tutti i punti di vista, anche se porta in sé la deficienza iniziale dì un soggetto che, per il suo carattere ciclico e la sua forma volutamente episodica, ha dato al film una fisionomia un po' diseguale: […] Cavalleria troverebbe il suo equivalente in una linea spezzata, interrotta da qualche improvvisa caduta, con riprese interessantissime ma che non sempre arrivano a tener su la linea fino al termine del segno. Tuttavia si tratta di un'opera cinematograficamen­te bella e riuscita. Si respira in tutto il film un'atmosfera romantica delicatissima, sobriamente tratteggiata eppur così viva così chiara che trova con suadente facilità le vie del cuore del pubblico. Atmosfera resa con estrema finezza, con delicata grazia e tenerezza di tinte» (J. Comin, "Lo Schermo", ottobre 1936).
 
«[…] il film che voleva una evocazione. delle glorie e degli spiriti della nostra cavalleria ha raggiunto pienamente il suo intento. […] Meno presa ha avuto visibilmente la vicenda che si intreccia su quello sfondo fiammeggiante. C'era sì, una gentilezza rovettiana e ottocentesca nella storia della baronessina Speranza. […] Ma la trattazione frammentaria di questo intreccio, l'incerta delineazione dei caratteri, la poco stringente struttura del dialogo, impediscono che questo romanzo vi avvinca a fondo, che il nostro interesse per esso vada oltre il rispetto che ci ispira l'evocazione di un mondo per tanti lati nobile e caro e l'ammirazione per il modo delicato, scrupoloso, perfetto con cui gli autori del film hanno saputo porcelo davanti agli occhi. Alessandrini ha diretto con la solita mano raffinata, intelligente ed elegante, anche se non sempre nervosa nel racconto. Oreste Biancoli, autore con Salvator Gotta del soggetto, lo ha coadiuvato con amorosa cura» (F. Sacchi, "Corriere della Sera", 29.8.1936).
 
«È uno di quei film di tono, di ambiente, di atmosfera, in cui la cifra sentimentale diventa poesia della fedeltà ad un’epoca, ad un modo di vita. Poesia intima e confidente di ricordi […] del tempo che le nostre mamme erano fanciulle […]: una vita che oggi, a ripensarla, ci pare così gentile. Come ispirazione, Cavalleria si riallaccia a quel giusto della rievocazione abbastanza prossima, che ha suggerito agli americani Piccole donne, Davide Copperfield, La famiglia Barrett. E anche come tecnica vi si riallaccia: nel senso che costruisce il racconto attraverso un seguito di bozzetti, di pastelli, di brevi sequenze chiuse, dove il pericolo della pura illustrazione e della “stampa di genere” è sempre sventato dalla verità della commozione, dall’amore per le cose narrate o descritte […]. Si potrà più o meno andar d’accordo con queste “ricerche del tempo perduto”, che appartengono […] ad un gusto crepuscolare […] di cui Cavalleria è un felice episodio. Per nostro conto, […] non possiamo che trovarci consenzienti. La chiara, precisa, signorile regia di Alessandrini, la malinconia […] nostalgica di Biancoli hanno trovato un singolare punto di coincidenza ed hanno fatto un delizioso miracolo» (“Cinema”, 25.10.1936).
 

«Festival di Venezia, 1936. È l’anno in cui il regime si trasforma in impero […]. La Mostra del cinema diventa un’occasione mondana per far capire quanto il regime sia popolare e quanto la sua influenza sia radicata nel paese. Il Ministero per la Stampa e la Propaganda decide di istituire una coppa come premio per il film che meglio rappresenta i valori nazionali, e il film prescelto traquelli in concorso risulterà essere Cavalleria di Goffredo Alessandrini, girato in esterni presso la Scuola di Cavalleria di Pinerolo (oltre a qualche scena nella caserma romana di Castro Pretorio). È il film che consacra come divo Amedeo Nazzari che rileva in una piccola parte il talento di una altrettanto sconosciuta Anna Magnani. […] Come comparse furono utilizzati molti ufficiali di Pinerolo e la memoria di quel film si è a lungo tramandata in quella città» (S. Della Casa, “La Stammpa - TorinoSette”, 2.2.2010).



Scheda a cura di
Franco Prono

Persone / Istituzioni
Goffredo Alessandrini
Salvator Gotta
Aldo Vergano
Vaclav Vich
Giorgio C. Simonelli
Gino C. Sensani
Amedeo Nazzari
Elisa Cegani
Enrico Viarisio
Mario Ferrari
Silvana Jachino
Anna Magnani
Silvio Bagolini
Gastone Medin
Angelo Besozzi


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