Torino città del cinema
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ENCICLOPEDIA DEL CINEMA IN PIEMONTE

Lungometraggi



Portami via
Italia, 1994, 35mm, 94', Colore

Altri titoli: Take Me Away

Regia
Gianluca Maria Tavarelli

Soggetto
Leonardo Fasoli, Gianluca Maria Tavarelli

Sceneggiatura
Leonardo Fasoli, Gianluca Maria Tavarelli

Fotografia
Pietro Sciortino

Operatore
Angelo Santovito

Musica originale
Paolo Lasazio, Roberto Padovan

Musiche di repertorio
E. Ramazzotti, P. Cassano, A. Cogliatti, R. Gaetano, E. Del Sarto, C. Damiani

Suono
Mario Iaquone

Montaggio
Marco Spoletini

Scenografia
Stefano Giambanco

Costumi
Stefano Giambanco

Trucco
Nadia Ferrari

Aiuto regia
Leonardo Fasoli

Interpreti
Sergio Troiano (Alberto), Michele Di Mauro (Luigi), Stefania Orsola Garello (Cinzia), France Demoulin (Cristina), Riccardo Montanaro (Mario), Fabrizio Monetti (Paolo), Francesco Benedetto (Vincenzo Cutrupi), Daniele Lucca, Vittoria Piancastelli, Roberto Freddi, Antonio Spadaio, Maria Columbro, Claudia Penoni, Germana Pasquero

Direttore di produzione
Antonella Viscardi

Ispettore di produzione
Emanuela Minoli

Produzione
Gianluca Arcopinto, Xelotil Film, Tea Film

Note
Aiuto operatore: Paolo Nobile; fotografo di scena: Guido Salvini; suono in presa diretta; edizione digitale del suono: Luigi Melchionda; consulente Dolby: Federico Savina; assistente scenografo: Francesca Bocca, Valentina Ferroni; assistente costumista: Simona Garotta; aiuto regista: Leonardo Fasoli; assistente alla regia: Luca Frignone; altri interpreti: Fabrizio Parisotto, Marco Berry, Paolo Marchese, Guido Ruffa; segretaria di edizione: Emanuela Carozzi, Giovanna Cuccurullo; direttore di produzione: Antonella Viscardi; segretari di produzione: Gian Lorenzo Mortgat, Cinzia Del Curatolo, Cesare Apolito, Orsola Maria Sette; amministratore: Anna Rita Della Rocca.
 
 
Premi: Premio Solinas 1994 per la Miglior Sceneggiatura ex aequo; Gran Prix al XII Rencontres di Annecy; Premio Miglior Opera Prima al VI Umbria Film Festival; Premio Cittadella per Miglior Attore a Michele Di Mauro e Sergio Troiano, per Miglior Attrice a Stefania Orsola Garello e France Demoulin.  

 

 

 

 




Sinossi
Alberto, rappresentante di elettrodomestici, e Luigi, assistente in una comunità di handicappati, vagano quasi ogni sera per Torino di locale in locale alla ricerca di avventure sentimentali che non si presentano mai. Contemporaneamente due giovani prostitute slave, Cinzia e Cristiana, subiscono le angherie di un protettore particolarmente violento. Nel corso di una lite con lui una di esse scrive il proprio numero di telefono col rossetto sul parabrezza dell’auto di Alberto, ma il costo per una notte è di due milioni, e ai due uomini, entrambi con difficoltà economiche, non resta che fantasticarci sopra. Ma inaspettatamente Luigi eredita dal giovane disabile Paolo, che si è tolto la vita, una discreta somma di denaro. L’uomo decide di spendere parte dell’eredità regalando a se stesso e all’amico una notte con Cinzia e Cristina. Mentre le due donne si recano all’appuntamento, Cristina viene malmenata dal protettore, che colpisce Alberto, sceso a difenderla: terrorizzata, la giovane spara all'uomo, uccidendolo. Rifugiatasi a casa di Luigi, Cinzia e Cristina decidono di espatriare, e i due decidono di seguirle oltre confine.




Dichiarazioni
«Nel 1989 […] a Torino, ho girato Dimmi qualcosa di te, il mio primo cortometraggio non più “amatoriale”, ma “professionistico”. Lo stesso anno ho cominciato ad andare spesso a Roma, frequentando l’ambiente del cinema ove ho conosciuto lo sceneggiatore Leo Benvenuti, che ha insegnato a me e ad altri giovani molte cose importanti sul mondo del cinema. In seguito ho incontrato altre persone che mi hanno aiutato, come il produttore Gianluca Arcopinto, grazie al quale ho realizzato un cortometraggio nel 1992, e due anni dopo il primo lungometraggio, Portami via, che forse in quell’epoca è stato il primo film girato a Torino da una casa di produzione romana. Ho pensato di fare il film nella mia città perché ho trascorso qui la maggior parte della mia vita, e quindi il mio immaginario è legato a questi luoghi, a questo ambiente, a questo clima. Sapevo di non essere in grado di pensare, di inventare storie, situazioni, immagini che non fossero situate nella realtà torinese, che conoscevo bene. Fortunatamente il produttore non ha sollevato alcuna obiezione a questo proposito, anche perché lontano da Roma è riuscito a contenere i costi in modo sensibile, risolvendo anche alcuni problemi logistici. Ricordo che anche gli attori del film erano torinesi, a cominciare dai protagonisti Michele Di Mauro e Sergio Troiano» (G.M. Tavarelli, in D. Bracco, S. Della Casa, P. Manera, F. Prono, a cura, Torino città del cinema, Il Castoro, Milano, 2001).





«È interessante e riuscito questo primo film del trentenne torinese Gianluca Maria Tavarelli, realizzato su una sceneggiatura vincitrice del premio Solinas, presentato all’ultima mostra di Venezia: sa unire realismo sociale e sentimento individuale, desolazione invincibile e speranza possibile, alienazioni diverse e buona drammaturgia, in uno stile intenso e asciutto senza sbavature né facilità. Nella Torino notturna, Portami via racconta i destini incrociati di due coppie di giovani che vorrebbero un’altra vita. […] Le due coppie s'incontrano in un momento drammatico, si spaventano, si aiutano. Il trauma dà a tutt’e quattro il coraggio prima introvabile d'andarsene, di partire verso la Francia, di tentar di vivere davvero: “Fammi provare”, “Ma sì”. Intorno a loro la città nel buio, strade deserte e locali affollati esplorati in un vagabondare in auto insoddisfacente ma inevitabile, privo d'allegria e d'amore (“se voglio una donna me la devo pagare”); residences tetri visitati dalle due ragazze pagate da uomini grossolani e malinconici. Accanto a loro, i personaggi minori (malati di mente, suicidi, un vicino convinto d'un proprio prossimo trasferimento extraterrestre) simboleggiano le tante possibili varianti del grande desiderio di fuga contemporaneo. Gli attori ben scelti e ben diretti interpretano con naturalezza e sottigliezza i loro personaggi, simili a tante persone giovani senza presente né avvenire, ridotte all'inerzia o al dinamismo nevrotico, rese torpide dal rifiuto, dalla delusione» (L. Tornabuoni, “La Stampa”, 11.11.1994).
 
Portami via è sicuramente «struggente e straziante, ma anche, alla fine, vitale, pieno di voglia di vivere nonostante tutto, come la canzone di Rino Gaetano Mio fratello è figlio unico, che lo conclude. […] Non ci sono eroi in questo film, non è “eroica” la città in cui le storie sono immerse: una Torino squallida, che è sempre e comunque desolazione, spegnimento, periferia delle emozioni. Città di macchine scassate e di strade sporche, di umanità triste, di mezzi matti. Ne fanno parte, in pieno, i due personaggi […]. Senza gioventù né bellezza, né lampi entusiasmanti negli occhi, né furbizia. Uno, barbetta alla Italo Balbo, aria da Abatantuono triste, rappresentante di aspirapolveri, si fa sbattere le porte in faccia da tutti, gioca ai cavalli, perde, ha debiti, ha l’ufficiale giudiziario alla porta di casa. L’altro ha camicie abbottonate fino all’ultima asola, i golfini con scollo a “v”, l’aria già rassegnata alla mezza vita che consuma giorno dopo giorno. “Ho la sensazione di sprecare gli anni”, confida al diario. Il loro è un rosario di telefonate svogliate, di incursioni fuori tempo e fuori luogo in locali alla moda. “Ma li vedi quegli altri… Entrano, parlano, conoscono, se ne vanno con delle belle ragazze… E noi no… perché?” Sono l’antitesi totale di tutti i vincenti, gli eroi, i rampanti, i romantici. Non c’è romanticismo in loro […]. Dall’altra parte della città, e del film, due prostitute dell’Est. […] Abitano insieme, fanno la “vita” insieme. La più bella è la più disastrata, alcolizzata, infelice. L’altra la sopporta con testardo coraggio. “Credevamo che fosse un momento di passaggio, invece…” È il pensiero di tutti e quattro. Quattro sconfitti, quattro anime perdute, vittime silenziose. Quante ce ne sono in ogni città d’Italia? Quanto è forte l’infelicità nelle nostre città? Il regista cerca di farcelo vedere, anche se con certi impacci nel ritmo, come la recitazione o i dialoghi non sempre appropriati, con un sospetto di overdose di tristezza […]. Ognuno coltiva il suo sogno disperato, la sua ultima grande illusione. Che qualcuno riesca ad esaudirla, è solo un caso: non c’è speranza nel film di Tavarelli, dove ognuno insegue quell’amore introvabile, che non si lascia neppure intravedere nella vita “normale”. I cineasti di Torino - Daniele Segre, Guido Chiesa, Emanuela Piovano, Corrado Franco, Badolisani, e il giovane Calopresti […] hanno quasi un marchio di fabbrica, dato forse dalla loro città inospitale e lontana da Roma, che li costringe a inquadrare strade giallastre di luci al sodio e tanti poveracci, il disperato squallore di una città in declino. Senza enfasi, senza fare dei suoi personaggi degli eroi, Tavarelli esplora i gradi più bassi della vita sociale, il soffio del desiderio e dell’inadeguatezza, appena un palmo al di sopra dell’emarginazione» (G. Bogani, “La Nazione”, 7.12.1994). 
 
«Notturno, vuoto, bloccato in top-frames, il capoluogo è giusto lo sfon­do, la cornice in cui cucire e “cucinare” il disagio delle atmosfere. Ma è, per l'ap­punto, solo lo sfondo. In realtà, sono gli uomini e le donne a non essere “urbanisticamente” a posto: le puttane che vengono dal freddo (Mosca e Sofia) e due trentacinquenni che il freddo ce l'hanno dentro, trovato e non cercato tra mille disillusioni e cento amarezze. Per fortuna (loro e nostra) l'ironia viag­gia, in quest'esordio sincero e sofferto, sui vagoni occupati dagli angeli custo­di […] gli antieroi va­gano di strada in strada, di casa in casa, di festa in festa, di locale in loca­le. Bevono, si parlano, scrivono il loro diario del dissenso osservando il mon­do e quell'incapacità di andare oltre, di rompere le barriere […]. Prendere parte a qualcosa è il recondito desiderio. Sì, ma come? in che modo? con quali mezzi? attraverso il whisky? o la solidarietà (l'assistente sociale rimanda continuamente il si­gnificato delle proprie utopie)? […] Non è più Fiat-Nam. Trevico-Torino è un viaggio cancellato dalle agenzie di collocamento. Niente più li lega a que­sti luoghi assurdi. "Portami via. Via, via. Via di qua"» (A. Fittante, “Segnocinema” n. 71, gennaio-febbraio 1995).
 
«Se c'è una tematica immediatamente riconoscibile che attraversa tutta l'opera di Gianluca Maria Tavarelli […] si può senz'altro affermare ch'essa sia riconducibile alla pulsione a fuggire, al sogno dell'evasione come unica via d'uscita per una generazione costretta in ruoli e obblighi non più condivisi, quella dei trentenni di10-15 anni fa, che già accusavano tutta una serie di tic e sintomi tipici di chi oggi deve fare i conti con una precarietà economica che si traduce molto spesso anche in precarietà affettiva. Una pulsione a fuggire non soltanto dai propri rapporti familiari o di lavoro, ma anche da un Nord - e più precisamente dalla Torino della FIAT, per quanto la realtà della grande fabbrica automobilistica non emerga in nessuno dei tre film ambientati nel capoluogo piemontese - che rimane sempre un po' sullo sfondo, riconoscibile soltanto per alcuni scorci, per un'architettura austera che sembra sempre gravare sulle teste dei protagonisti, soffocati da un senso di chiusura che li spinge invariabilmente a disfarsi dei propri legami.
[…] Una fuga che rimane spesso sognata, o lasciata alla fantasia dello spettatore. E' quanto accade proprio nel film d'esordio, Portami via (1994), che narra il destino incrociato di due coppie - due prostitute dell'Europa dell'Est da una parte, due amici soli e stanchi dei soliti giri dall'altra - che desiderano cambiare vita, e il cui viaggio verso la Francia - una fuga resa necessaria dall'uccisione di uno dei due protettori delle donne - sfuma nei titoli di coda del film. In questa prima opera, girata per la gran parte in notturna, il capoluogo piemontese è rappresentato prevalentemente da strade buie e deserte, dagl'interni dell'albergo in cui dimorano le due prostitute, o dai locali che i due amici si ostinano a frequentare alla ricerca di avventure facili. È insomma una Torino un po' spenta e sporca quella di questo primo film di Tavarelli, che diventa luogo ideale per le scorribande poco emozionanti di questi due antieroi - un rappresentante di aspirapolvere e un operatore sociale - ossessionati dalla ricerca di donne» (S. Ghelli, “Quaderni del CSCI” n. 6, 2010).


Scheda a cura di
Franco Prono

Persone / Istituzioni
Gianluca Maria Tavarelli
Mario Iaquone
Stefania Orsola Garello

Luoghi
NomeCittàIndirizzo
Quartiere delle ValletteTorino-
residenceTorinopiazza Guala
Santa Chiara, viaTorinovia Santa Chiara
sottopasso di corso GrossetoTorinocorso Grosseto



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