Torino città del cinema
info txt max
ENCICLOPEDIA DEL CINEMA IN PIEMONTE

Lungometraggi



Il tempo dell'amore
Italia, 1999, 35mm, 108', Colore


Regia
Giacomo Campiotti

Soggetto
Giacomo Campiotti

Sceneggiatura
Giacomo Campiotti, Alexander Adabachian

Fotografia
Blasco Giurato, Marcello Montarsi

Musica originale
Giuseppe d’Onghia

Montaggio
Roberto Missiroli

Scenografia
Paola Bizzarri, Joel Laurut

Costumi
Annie Symons, Catherine Gome, Consolata Boyle

Interpreti
Ciaran Hinds (Peter), Juliet Aubrey (Martha), Natcha Regnier (Claire), Natala Piatti (Naty), Ignazio Oliva (Gabriel), Tam Williams (Thomas), Giuseppe Faraso (Giuseppe), Lino Capolicchio (il medico), Rosanna Fracassini (Lucia, l’infermiera), Sandrine Dumas (madre di Naty)



Produzione
Massimo Ferrero, Leo Pescarolo per 3 Emme Cinematografica, Hungry Eye Lowlands, Noé Production

Distribuzione
Istituto Luce

Note

3025 metri.

Produttore associato: Guido De Laurentiis.





Sinossi
Primo episodio. Nell’Africa coloniale alla fine dell’Ottocento la giovane inglese Martha, sorella di un ufficiale, si innamora di un soldato, Peter, che le salva la vita. Ma la loro relazione è impossibile a causa della differenza di ceto sociale.
Secondo episodio. A Parigi, durante la seconda Guerra Mondiale, tra due giovani musicisti - la francese Claire ed il russo Gabriel – nasce un intenso rapporto amoroso che viene spezzato da reciproche incomprensioni e dalle vicende belliche.
Terzo episodio. Oggi, a Torino, un ragazzo è in coma profondo in seguito ad un incidente. I suoi amici partono per le vacanze tranne Naty la quale ogni giorno va a trovarlo in ospedale.




Dichiarazioni
 «La prima idea del film è nata in moviola mentre lavoravo all’edizione di Come due coccodrilli, nella primavera del 1994. Riflettevo come provare a raccontare una storia d’amore in una maniera nuova, non per presunzione, piuttosto per un’esigenza di sincerità visto che come spettatore cinematografico spesso sono rimasto un po’ perplesso. Vedo i protagonisti di molte storie d’amore che per tutto il film si inseguono tra mille difficoltà, e alla fine, negli ultimi cinque minuti, finiscono uno nelle braccia dell’altro... e vissero felici e contenti. E mentre scorrono i titoli di coda io, magari anche se un po’ commosso, mi dico: "Vorrei vederli tra un anno... o anche solo tra un mese...". [...] Decido di partire comunque dalla realtà, che è spesso più sorprendente e interessante della fantasia. Davvero incomincio a collezionare storie d’amore, le leggo nei libri, scendo anche per strada con la telecamera e intervisto i passanti. Mi accorgo che se la qualità della domanda è alta, è alta anche la risposta. Sincera, spiazzante. [...] La storia del terzo episodio è una storia vera che mi è stata raccontata da un ragazzo su di un traghetto mentre tornavo da Procida. Era accaduta a Napoli l’anno precedente ad una sua amica di scuola. [...] Naty non conosceva la sceneggiatura e le insegnavo le battute giorno per giorno. Doveva solo vivere in maniera autentica le situazioni che le proponevo. Non battevamo mai il ciak in modo che lei non capisse se stavamo provando o girando. Ho realizzato anche molti suoi "piani di ascolto" mentre guardava me, accanto alla mdp, che le raccontavo storie che non c’entrano niente con il film, per riuscire a catturare quella determinata sua unica espressione di cui io, che la conosco così bene, avevo bisogno in quel momento. Nel mondo di Naty c’è la guerra di oggi, quella dei rapporti famigliari "esplosi", delle città senza volto. Non sappiamo né chi sia suo padre, né che tipo di donna sia sua madre. Nei flashforward, le sequenze che anticipano in maniera frammentaria la ricerca del regalo di Naty, lo spettatore viene depistato. Crede di aver capito che la "rappresentante" del mondo di oggi sia solo maleducata, ladra, incapace di amare. Quasi che oggi non ci sia più spazio per i sentimenti. Invece è in questo deserto contemporaneo che nasce il fiore più prezioso. La città viene raccontata per il suo non essere, è invisibile. Naty compie ogni giorno il percorso da casa sua all'ospedale (noi lo chiamavamo il pendolo). Lei, piccola, attraversa tutti ambienti enormi in una città spersonalizzante, senza più codici. E poi in questa Torino, ovunque si vada, ci sono i lavori in corso» (G. Campiotti, www.caffeeuropa.it).
 
«Ho avuto la fortuna di visitare diverse città, per piacere e per lavoro. E di ognuna ogni volta provo a coglierne l'anima, quella particolare atmosfera che rende ogni città unica. Questo gioco non mi è riuscito con Torino. E non perché assomigli ad altre città, ma perché non assomigglia nemmeno a se stessa. Mi sfugge, cambia, si muove come i suoi portici che si allungano o si accorciano a secondo dei giorni. Conosco la vecchia storia della città magica, e sicuramente si avverte nell'aria, ma credo che ci sia dell'altro, nella sorprendente unione tra la città e i volti e la vita dei suoi abitanti, come se qualcosa non corrispondesse. E mi sento come un innamorato che da lontano osserva la donna amata senza capire da dove muovere l'attacco. E sono le donne più interessanti. È per questo che ho fotografato una Torino misteriosa ed invisibile, raccontata attraverso i suoi ponti sul fiume, i sottopassaggi, i corridoi di vetro di Palazzo Nervi, il monolite del Cto, il mercato ortofrutticolo... [...] Grazie ai continui stimoli di Torino ho anche modificato alcuni dei luoghi previsti nella sceneggiatura. Ad esempio, ancora prima di arrivare, mentre l'aereo stava atterrando, ho visto dall'oblò le cave vicino al fiume. Sono andato a visitarle e ho deciso di ambientarci una scena che era prevista in un appartamento!» (G. Campiotti,"La Stampa - TorinoSette", febbraio 2000).





«La struttura di Il tempo dell’amore è ancora più complessa e ambiziosa negli obbiettivi dei pur già arditi scambi di flas-back, interazioni tra presente e passato giocate sul sottile filo della memoria, delle scene sature di senso in cui ogni particolare fungeva da correlativo oggettivo al fine di una più chiara definizione delle psicologie di personaggi che caratterizzavano il precedente film di Giacomo Campiotti, Come due coccodrilli. Le coordinate che presiedono quest’opera a episodi pongono come ordinata l’incomunicabilità e l’inconoscibilità tra i due amanti [...] e come ascissa l’endemico scacco a cui è destinato ogni sentimento d’amore. Corollari sono lo sfondo bellico, presente nei primi due episodi, il degrado che attraversa Naty quando si reca all’ospedale per visitare Giuseppe. La narrazione tripartita de Il tempo dell’amore non segue, però, i rigidi schemi del film a episodi, tentando un interscambio continuo tra i vari nuclei narrativi, attraverso raccordi di montaggio ellittici e continui salti temporali. Campiotti non nasconde, insomma, la sua ambizione: il tentativo non celato è quello di ribadire il carattere assoluto e sempiterno del sentimento amoroso, capace di attraversare epoche e stagioni differenti, di oltrepassare le barriere del linguaggio e le convenzioni sociali» (A. Termenini, “Cineforum” n. 3/393, aprile 2000).
 
«Esiste un’essenza immutabile dell’amore, qualcosa cioè, d’indefinito e di eterno che si ripete di storia in storia, di individuo in individuo, di epoca in epoca? In Il tempo dell’amore Campitoti la cerca, la pedina, ne segue le tracce attraverso età e storie diverse. […] Il tempo dell'amore è un film pieno di delicatezza; e non solo per l'argomento trattato. La macchina da presa accarezza i protagonisti come gli sguardi degli amanti accarezzano gli amati, e si ritira con discrezione per lasciar loro vivere i momenti più intensi, più personali, quelli che il cinema non può racconta­re, ma solamente evocare. La fotografia è raffinata, preziosa. Ma ricercare le essenze al di sotto delle varianti e delle con­notazioni è operazione rischio­sa: per individuare le analogie, può portare a trascurare le sin­gole identità, così come il peso determinante di Storia e Cultu­ra. Anche nel film di Campiotti sembra talora che il progetto abbia penalizzato le singole storie, e se nella costruzione si nota una cura formale che si esercita fin nei più piccoli det­tagli (da cui il regista estrae volentieri simboli), non altret­tanto si può dire della psicolo­gia dei personaggi, che a tratti rimane appena sgrossata. Il va­lore del film esplode invece in qualche minuscolo indizio, nei gesti, nei sorrisi, negli imba­razzi disseminati lungo la tra­ma della pellicola, e che ci par­lano per sommessi accenni di un'umanità mendicante atten­zioni, bisognosa di dare e di ri­cevere affetto, o semplicemen­te comprensione e calore» (R. Farina, “Cinemasessanta” n. 3/253, maggio-giugno 2000).
 
«Nelle tre storie d'un film sulle stagioni e le fasi diverse dell'amore, il terzo episodio è bello: una ragazzina passa amorosamente l'estate a visitare un ragazzino in coma, a parlargli nella speranza di riportarlo alla vita e quando lui si risveglia deve lasciarlo. L'interprete Natalia Piatti, la città spopolata, l'atmosfera dell'ospedale, la forza dell'amore che sostiene il tentativo, sono toccanti e interessanti. Gli altri due episodi, che sono ambientati in un presidio militare ottocentesco inglese durante una guerra d'Africa e a Parigi durante la seconda guerra mondiale, sono mal riusciti, imbarazzanti» (L. Tornabuoni, “La Stampa”, 25.2.2000).
 
«Il fulcro di questa ambiziosa opera di Campiotti sembra essere la lotta estenuante e nervosa che coinvolge le passioni amorose dei protagonisti; i traumi e il dolore come contraltari della gioia e della realizzazione, che finiscono per rimanere un semplice miraggio. In tutti e tre gli episodi i personaggi cercano nell'amore un appiglio che li liberi da un ambiente penoso, costrittivo o desolante (guerra/ospedale, occupazione nazista, città deserta) e nel quale i contorni della propria inquietudine si fanno più spessi e preoccupanti. Ma tale ricerca di sollievo dalla solitudine può sfociare in un dolore viscoso a causa di un percorso irto di barriere di classe, linguistiche o persino rappresentate dall'oblio di uno stato comatoso. [...] Sono le donne del film, soprattutto, ad adoperarsi maggiormente nella vana conquista della parola per esprimere un sentimento di coppia che tuttavia non c'è; sia per la distanza incolmabile, sia, più probabilmente, perché a essere insistita sembra la ricerca soggettiva di ogni personaggio a vantaggio di se stessi. Campiotti prova a far confluire le storie una nell'altra sebbene si svolgano in epoche e luoghi diversi perché come afferma lui stesso: "di storia d'amore ce n'è una sola", inserendo frammenti dell'ultima sequenza in alcuni punti del film e imbrigliando gli stati d'animo teoricamente comuni a più personaggi con dei leitmotiv inverosimili o troppo esclamati. [...] Non basta inoltre una schiettissima Natalia Piatti (Nati) a salvare il terzo episodio da ritmi simili alle fiction televisive E il campo-controcampo conclusivo dei sorrisi tra i due ragazzi, se da un lato snellisce le burrasche che le ossessioni si portano in braccio, quasi a suggerire che come per il ciclo delle stagioni anche l'amore è pronto timidamente a rigenerarsi, dall'altro produce un effetto catartico troppo semplicistico che non aiuta certo ad annullare la delusione per questa co-produzione internazionale ampollosa e incapace di spiccare il volo» (L. Perotti, “Film” n. 44, marzo-aprile 2000).
 
«Scritto con la collaborazione di Alexander Adabachian, Il tempo dell'amore conferma in Campiotti un cineasta che sa dove mettere di volta in volta la macchina da presa, ciò che - secondo gli antichi - rappresenta la prima qualità d'un regista; lodevole è pure lo sforzo di dar vita ad un'opera di ampio respiro, capace di superare la dimensione angusta del film ad episodi. Ciò riconosciuto, non si può negare che probabilmente i tre segmenti dei quali si compone la pellicola avrebbero funzionato meglio separatamente; che i nessi risultino, nella maggioranza dei casi, forzosi, cervellotici, improbabili: soprattutto, che l'intera trama sia fastidiosamente contrassegnata da una ricerca del poetico figliante per lo più poeticherie, filosofemi, sentenziose banalità. La freschezza di Corsa di primavera (1989), la risentita crudeltà che muoveva le fila di Come due coccodrilli (1994) paion caratteristiche finite nel dimenticatoio: chissà che, fuori dalla dimensione intimidente e dispersiva del semikolossal di taglio europeo, Campiotti non possa riappropriarsene e riprendere il cammino verso una compiuta autorialità cui ha certo i mezzi per aspirare» (F.T., www.italica.rai.it).
 
«Finanziato da Italia, Gran Bretagna e Francia, il film evita lo spiacevole effetto “europudding” delle coproduzioni internazionali. Anzi, una volta tanto, il cast composto con attori di nazionalità diversa acquista un senso preciso nell'economia narrativa del tutto» (R. Nepoti, “la Repubblica”, 20.2.2000).


Scheda a cura di
Franco Prono

Persone / Istituzioni
Giacomo Campiotti
Blasco Giurato
Roberto Missiroli
Ignazio Oliva
Lino Capolicchio


segnalibro
 = aggiungi
 = elimina
All'interno di ogni scheda troverete queste icone che vi permetteranno di memorizzare i documenti che più vi interessano o di eliminare quelli già memorizzati.
Copyright © 2005 - Associazione Museo Nazionale del Cinema | Contattaci
Piemonte Movie