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ENCICLOPEDIA DEL CINEMA IN PIEMONTE

Cinema muto



I promessi sposi
Italia, 1913, 35mm, B/N

Altri titoli: Les fiancés, Die Verlobten, The Betrothed

Regia
Eleuterio Rodolfi

Soggetto
dal romanzo omonimo di Alessandro Manzoni

Sceneggiatura
Arrigo Frusta (Augusto Ferrarsi)

Fotografia
Giovanni Vitrotti

Interpreti
Gigetta Morano (Lucia Mondella), Mario Voller Buzzi (Renzo Tramaglino), Ersilia Scalpellini (Agnese), Bianca Schinini (Perpetua), Umberto Scalpellini (Don Abbondio), Eugenia Tettoni (Monaca di Monza), Antonio Grisanti (l’Innominato), Cesare Zocchi (Padre Cristoforo), Eduardo Rivalta (il Cardinale Federico Borromeo), Luigi Chiesa (Don Rodrigo), Rina Albry, Giulietta De Riso, Vitale De Stefano



Produzione
Società Anonima Ambrosio, Torino

Note
Visto censura n. 583 del 1.12.1913; 1.587/1.800 metri.
 
Film appartenente alla «Serie Oro» della Società Anonima Ambrosio.
L’attore Cesare Zocchi è accreditato come Cesare Zocchi-Collani; l’attore Mario Voller Buzzi è segnalato nei materiali pubblicitari d’epoca come Mario Woller-Buzzi.
Arrigo Frusta sostiene nelle proprie memorie che diversi testi riportano erroneamente come interprete del personaggio di Renzo Tramaglino l’attore Mario Bonnard.
La rivista “La Cinematografia Italiana ed Estera” pubblicò nel novembre 1914 un inserto pubblicitario di 16 pagine con estratti della trama, passi del volume manzoniano, 6 fotografie a figura intera per i personaggi principali e 9 fotografie tratte dalle sequenze del film. Il film veniva presentato come suddiviso in sei parti.
Distribuito in Francia, Germania e negli Stati Uniti; la versione statunitense era lunga 6 reels.
 
Copia conservata presso: Cineteca Nazionale (Roma).
 
Nel 1913 venne realizzata una seconda trasposizione del romanzo di Manzoni dalla Pasquali & C., I promessi sposi, per la regia di Ubaldo Maria Del Colle ed Ernesto Maria Pasquali. La stampa diede ampio risalto alla rivalità tra le due case.
Nel 1917 la casa editrice Hoepli di Milano pubblicò una nuova edizione de I promessi sposi: storia milanese del secolo XVII, curata da Alfonso Cerquetti e illustrata con 24 tavole fotografiche tratte dalla pellicola dell’Ambrosio.




Sinossi
Lombardia, XVII secolo. Il matrimonio tra due giovani popolani, la mite Lucia Mondella e l’impetuoso Renzo Tramaglino, viene ostacolato da un signorotto locale, Don Rodrigo, che tenta invano di sedurre la ragazza e impedisce al pavido Don Abbondio di celebrarne le nozze col promesso sposo. Fallito un tentativo di portare a termine la cerimonia con l’astuzia, Renzo, Lucia e sua madre Agnese abbandonano il paese su indicazione di Padre Cristoforo: il giovane andrà a Milano, mentre Lucia troverà ospitalità a Monza, in convento. Mentre Renzo si trova coinvolto nelle agitazioni seguite al rincaro del prezzo del pane e scampa alla prigione fuggendo nel bergamasco, dove ha dei cugini, Lucia viene rapita: Don Rodrigo ha infatti chiesto l’aiuto di un temibile personaggio, l’Innominato, che ha fatto condurre la ragazza nel suo inespugnabile palazzo. I saldi principi morali e la fede religiosa della prigioniera acuiscono una crisi personale che l’Innominato sperimenta da qualche tempo, spingendolo a recarsi a colloquio dal Cardinal Borromeo. Convertitosi al cattolicesimo, l’Innominato libera Lucia, che viene affidata alle cure di una famiglia benestante. La calata in Italia dei lanzichenecchi ha intanto scatenato una terribile peste; tra le molte vittime figura Do Rodrigo, abbandonato dai suoi bravi. È proprio al lazzaretto che Renzo e Lucia si rincontrano e, grazie all’interessamento di Padre Cristoforo, vengono finalmente uniti in matrimonio.





«Torino (13 ottobre). Se quando Alessandro Manzoni - nei suoi lunghi conversari sulle attinenze tra storia e poesia - sosteneva all’amico Fauriel, (lo storico idealista), che la poesia non vuol morire, se avesse potuto fermarsi nella sua stanza a terreno, verso il piccolo giardino, e seduto restarvi immobile per il passare delle primavere, per l’aumentare dei morti, per l’isolamento delle opinioni, se d’allora avesse potuto arrivare a questo scorcio d’anno, ed assistere alla programmazione Ambrosio, avrebbe riaperto, con la piccola Firuly, il suo libro dei Promessi Sposi, e staccandovi leggero i muschi tenuamente verdi, scuotendoli dalla polvere sottilmente dorata, commosso avrebbe ripetuto all’amico: “No: la poesia non muore”. Nobile pellicola questa dei Promessi Sposi checché se ne voglia dire: il libro riapparisce nuovo e grande, la sua bellezza si sparpaglia su umili cose, la figura del poeta, ritorna in tutta la sua bontà e ci ridesta tante illusioni. Che facile, piana lettura è questa, e che degni esemplari ci dà della scuola italiana. Cosa può esservi di più gradito che trovarci animato davanti agli occhi quel lago tanto magistralmente descritto e così calmo e misterioso nella nostra immaginazione? Rivedere i muri e la piccola casa di Lucia? e il povero paesaggio nelle tinte rapite all’aperta campagna? e la piazzetta e il campanile... e le campane che chiamano a raccolta? e tutte quelle persone che palpitano di vita propria? È poesia questa: insensibile chi la nega. Io sinceramente mi rallegro con il cav. Ambrosio di questa sua edizione, ho già detto nobile. Mi rallegro non solo per la pellicola, ma per l’idea che l’ha informata e che è obbligo apprezzare in tutta la sua eccellenza. Mi rallegro con l’avvocato Ferrari [sic] (Frusta) che ha studiato per la divisione il romanzo, e innestati i quadri sul massimo rilievo dei capitoli e nell’insieme formato, ordinato, distribuito il bozzetto. Non era compito facile per il rispetto dovuto all’arte. Mi rallegro pure con il Rodolfi che l’ha messo in scena. Tanto i quadri che illustrano la carestia, quanto quelli che ci riportano tutti gli orrori della pestilenza sono un breve riassunto di storia, e girando con essi per le miserie di quei tempi, se ne conta le ore terribili. Questi quadri sono riprodotti con energia e fedeltà di concetto e con quello studio coscienzioso che da loro si richiede. Le figure livide sono conformi al carattere che l’autore ne porge dalle sue pagine, ne [sic] la scena poteva rendersi più tetra e più drammatica. È impossibile gettare l’occhio su tutto il quadro, senza che un’amara ricordanza ci spicchi viva all’anima. Tutto il film è dunque veramente degno del modello ed ammirabile. [...] Ha richiamata la mia attenzione la figura dell’Innominato, personificata dal sig. Antonio Grisanti. Il quadro che va rivelando il contrasto interno primeggia per entrinseco valore artistico, tratteggiato con tono per l’effetto di luce, concentrata e distribuita sulla figura dell’attore, l’espressione del suo viso assurge all’evidenza richiesta dalla situazione e convince. Scelta molto bene la figura del Buzzi per il personaggio di Renzo. Egli ha una leggiadria svelta e nervosa nei movimenti quali si convengono all’amoroso giovinotto e attraverso tutta l’interpretazione il carattere è conservato con felice correttezza e lodevole misura. Molto a posto il sig. Chiesa nella parte di Rodrigo. Padre Cristoforo è determinato con solenne confidenza dal sig. Zocchi. Simpatiche nelle rispettive parti l’Eugenia Tettoni e la Gigetta Morano. Quest’ultima rende con intuito vero la riservata e ritrosa gentilezza cui è improntato il carattere di Lucia, e con la personificazione datane dall’attrice spicca la grazia delle sue maniere. Nè va scordata la Schenini, nella tipica figura di Perpetua, essa ha trovato una geniale e propria personificazione nell’attrice. Buon Don Abbondio il signor Scalpellini. Or dunque, qualunque possa essere la maggiore o minore convenienza di certi accessori, è certo che la Casa Ambrosio ha dovuto superare non poche difficoltà nell’allestimento di questa riproduzione, ma vi è completamente riuscita e ha messo favorevolmente alla luce un’opera a cui auguro d’esser compresa per quanto è eletta. E se dietro a se, le programmazioni lasciano qualche cosa, da questa, si rivela certamente tutta la verità di quella grande asserzione: La poesia non muore» (E. Bersten, “Il Maggese Cinematografico”, a. I, n. 13, 25.10.1913).
 
«Dei Promessi sposi di Pasquali già ho parlato nella passata corrispondenza di luglio. Qualche breve nota invece intorno all’edizione della Casa Ambrosio. Lodo la bella interpretazione della Gigetta Romano [sic] (Lucia) di Mario Waller Buzzi [sic] (Renzo) dello Scarpellini [sic] (Don Abbondio) che avremmo voluto meno caricato in qualche caso, del Chiesa (che preferiamo però assai di più nella Lampada della Nonna) e del Grisante [sic], che fa dell’Innominato una creazione personalissima. I sottotitoli non erano che periodi tolti dal romanzo e proiettati con ottima idea, che offrì al pubblico contemporaneamente la lettura dei passi scultorii del capolavoro illustrati dalla cinematografia. La messa in scena è stata in parecchi punto [sic] assai più grandiosa di quella di Pasquali, specialmente nelle scene della peste, che sono di un verismo impressionante» (E. Geymonat, “Cinema”, a. III, n. 62, 25.10.1913).




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