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ENCICLOPEDIA DEL CINEMA IN PIEMONTE

Lungometraggi



Tra due donne
Italia, 2001, 35mm, 95', Colore


Regia
Alberto Ferrari

Soggetto
Luigi Lunari, Alberto Ferrari, dal romanzo "Dio ne scampi dagli Orsenigo" di Vittorio Imbriani

Sceneggiatura
Luigi Lunari, Alberto Ferrari

Fotografia
Claudio Meloni

Musica originale
Alessandro Boriani

Montaggio
Ilaria Fraioli

Scenografia
Simona Garotta

Costumi
Patrizia Ciairano

Interpreti
Gianmarco Piacentini (Maurizio Della Morte), Francesca Giovannetti (Almerinda Ruglia), Alessandra Casella (Radegonda Orsenigo Salmoiraghi), Gerardo Amato, Bedi Moratti, Gianni Mantesi, Renato Liprandi, Nicoletta Ramorino, Amerigo Fontani, Vittorio Bestoso

Produttore esecutivo
stripslashes(Giovanni Saulini )

Produzione
Icaro Produzioni

Distribuzione
Istituto Luce

Note
Anno di produzione: 2000; 2.550 metri.
Opera prima, girata nel Circolo degli Artisti di Torino, nel Castello di Saffarone e nel Castello di Moncalieri.




Sinossi
Torino 1938. Un uomo sui sessant’anni mutilato della mano destra e sulla sedia a rotelle scrive le sue memorie. Si fa un passo indietro e si ritorna al 1914 quando Maurizio Della Morte, giovane capitano di cavalleria, s’innamora perdutamente di Almerinda, una giovane donna sposata con un anziano Consigliere di Cassazione e madre di una bambina. Tra i due nasce una relazione segreta, ma lei non vive serenamente questa passione che le crea sensi di colpa e smarrimento. Dopo essersi confidata con Radegonda, un’amica, decide di porre fine a questo amore che tanto la sconvolge. Intanto scoppia la Grande Guerra e Maurizio parte per il fronte con l’intento di trovare la morte e liberarsi dalle sofferenze amorose. Viene ferito. In ospedale incontra Radegonda che è volontaria crocerossina, viene curato premurosamente e tra i due inizia una relazione dalla quale l’uomo non riuscirà più ad uscire.




Dichiarazioni
«Sono partito dal romanzo di Imbriani che, in realtà, si svolge intorno al 1860. La scelta è stata quella di renderlo un po’ più vicino ai nostri giorni, spostando la storia intorno agli anni della Prima Guerra Mondiale. Era il tempo della “belle époque”, un periodo affascinante che ci ha aiutato a non banalizzare i fatti. In realtà, il momento storico e la stessa storia d’amore di quest’uomo diviso tra due donne non sono altro che un pretesto per raccontare altro. Il vero tema del film è figlio del contemporaneo: la disperata ricerca di non essere sconfitti dalla vita, di non rimanere incastrati dal proprio destino […] abbiamo fatto di tutto per non andare fuori budget. Il prodotto finito è costato un miliardo e 400 milioni, molto meno di quanto serve per girare un’ora di fiction tv. Abbiamo girato velocemente, in quattro settimane, provando moltissimo fuori dal set per risparmiare tempo e pellicola. Ma soprattutto abbiamo dovuto rinunciare a riprese spettacolari e quindi - ad esempio - all’idea di ricostruire la Napoli di inizio Novecento. Insomma, questo è un film in costume, ma certo non realizzato con i mezzi che avrebbe avuto Ivory. […] non potendo puntare su grandi scenografie d’effetto la scelta è stata quella di lavorare sui personaggi, sulla loro interiorità, sulle parole. Ecco questo è un film in cui la parola è vitale e necessaria, ma questa è probabilmente l’eredità che mi ha lasciato la mia lunga esperienza teatrale» (A. Ferrari, www.news.cinecitta.com).





«Prigionia e possessione amorosa. Tra due donne di Alberto Ferrari si rifà al romanzo Dio ne scampi dagli Orsenigo, pubblicato nel 1876 da Vittorio Imbriani, lo scrittore napoletano, nipote di Alessandro Poerio tanto conservatore da creare un Inno al cànape, ossia, all’impiccagione che egli invocava per tutti quelli che non fossero di destra. La trasposizione e le varianti cinematografiche non intaccano la sostanza della vicenda […] La storia è bellissima, psicologicamente assai elaborata e interessante: se all’inizio pare presentarsi come un classico intreccio di adulteri in costume, poi continua a crescere sino ad assumere i toni della tragedia. Nel film il protagonista, ridotto all’inerzia e all’irrilevanza sociale, rimasto mutilato della mano destra in un duello, racconta la storia a un diario: ma neppure con quello arriva ad essere sincero. La prima persona si alterna alla terza persona senza molta logica né necessità narrativa, gli ambienti, quasi tutti interni, sono a tratti opprimenti, gli attori risultano non bravi e goffi (un poco meno Alessandra Casella): ma la forza romanzesca rimane intatta» (L. Tornabuoni, “La Stampa”, 21.7.2001).
 
«Escono, [quest]i personaggi, da un romanzo ottocentesco, Dio ne scampi dagli Orsenigo, di Vittorio Imbriani, uno scrittore, un politico e un giornalista che Benedetto Croce dovette abbastanza stimare se nel 1901 curò la pubblicazione di una sua opera postuma, Studi letterari e bizzarrie satiriche. Oggi vi torna, esordendo al cinema, Alberto Ferrari, attivo finora soprattutto in teatro, affidandosi a un testo riscritto per lui da Luigi Lunari, egualmente di origini teatrali. Non siamo più nell’Ottocento, siamo negli anni che precedettero la Prima Guerra Mondiale, con una conclusione alla fine dei Trenta.  E qua si rinnovano le occasioni per essere sconcertati perché lo spostamento della data dell’azione non le toglie il sospetto del “feuilleton” fine Ottocento e lo schema narrativo, con la nuova data, rischia qua e là di insinuare persino il ricordo di quel cinema dei telefoni bianchi che tanto furore faceva in quegli anni. […] È l’incapacità di gridare il [suo] non amore che conferisce al personaggio, pur fra tanta polvere datata, una sua singolarità anche interessante. Forse, per esprimerla, sia Ferrari sia Lunari, data la loro consuetudine con le scene, si servono con frasi non pronunciate e furie solo immaginate di quegli espedienti che potrebbero ricordare gli “a parte” in teatro, ma l’effetto lo raggiungono egualmente e quel carattere incapace di liberarsi e di imporsi svelando propri veri sentimenti, acquista via via una certa carica drammatica, messa abbastanza bene in risalto da un finale che, al personaggio, sempre più impotente, farà tirare le somme negative di tutto» (G. L. Rondi, “Il Tempo”, 13.7.2001).
 
«Profondamente misogino, il racconto di Imbriani è reso ancor più pungente da un beffardo sarcasmo. Ferrari lo spoglia dei risvolti ironici per conferirgli un taglio melodrammatico, solo in parte attenuato da una malinconia cecoviana che sottolinea il contrasto fra la sconfitta dei protagonisti e la loro irriducibile voglia di vivere. Nonostante si tratti di un film a basso costo, scenografie e costumi sono di ottimo livello. Alessandra Casella distanzia tutti gli altri interpreti» (E. Natta, “Famiglia Cristiana”, 5.8.2001).
 
«Uscito nel periodo estivo, cioè in sordina, e con la preoccupante nomenclatura di film di interesse culturale nazionale, Tra due donne è da considerarsi tra le pellicole più interessanti dell’intera stagione. Perché anomala, spiazzante, non classificabile se non in uno spazio “alieno” fuori dai concetti di classicità e modernità. Per certi versi poco italiana, a tratti universale: e non solo a livello di tematiche trattate, anche – forse soprattutto – a livello stilistico. […] Una materia narrativamente classica, insomma, se non fosse che già l’ambientazione intorno, pur descrivendo un contesto storico, cioè l’inizio del secolo scorso, sembra via via rarefarsi (la prima guerra mondiale, ad esempio: le trincee che vediamo sembrano le trincee di tutte le guerre del mondo). Rarefarsi perché il montaggio di Tra due donne è incalzante, moderno; perché la musica e la fotografia (meglio, i colori, le luci) non accentuano il dramma, anzi, s’inseriscono armonicamente e invisibilmente fra le maglie della storia; soprattutto perché le interpretazioni attoriali pongono il film in una specie di terra di nessuno. La base è sicuramente teatrale, cioè ricca di accentuazioni: nel senso che le espressioni dei visi, la postura dei corpi e le tonalità verbali sono spesso sopra le righe (e infatti il regista Alberto Ferrari proviene dal teatro; questo è il suo primo film). Ma ci sono situazioni interpretative del tutto cinematografiche: ad esempio la rappresentazione “sottovoce” delle fantasie omicide del capitano, che attraversano gran parte della storia. E ancora altre tonalità interpretative (queste più frequenti) di natura operistica: le battute e i dialoghi hanno spesso una conformazione musicale e “carina”, come se le parole dovessero comunicare una perfetta (dunque finta) armonia esistenziale. Proprio a cercare un riferimento alle atmosfere espresse dal film, viene da pensare alla letteratura russa dell’Ottocento: dove si respira un immobilismo irrefrenabile, totale, devastante, assoluto, con però la sensazione di un dramma improvviso pronto a scardinare l’apparente equilibrio esistente. Ma un’ironia sempre tendente al grottesco fa, talvolta, pensare a una dimensione surreale, il tutto anche perché quella che sembrerebbe l’apparente approssimazione interpretativa di alcuni attori, il capitano in testa, serve invece a sottrarre le singole situazioni del film alle rispettive etichette di genere e di tempo. Il capitano Maurizio Della Morte forse ci rappresenta un po’ tutti, proprio perché la sua interpretazione così estrema, a tratti ridicola, autosarcastica, non rientra appieno in alcun cliché, in nessuna cosa già detta o già scritta. In nessun momento della storia e dell’anima» (M. Lombardi, “Film” n. 61, gennaio/febbraio 2003).
 
«[…] trascurabile soprattutto il pessimo italiano Tra due donne, inclassificabile (mélo)dramma ambientato sullo sfondo della Grande Guerra» (A. Arcadini, “Cineforum” n. 8, ottobre 2001).


Scheda a cura di
Giusy Cutrì

Persone / Istituzioni
Alberto Ferrari
Claudio Meloni
Giovanni Saulini
Alessandra Casella
Renato Liprandi


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