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ENCICLOPEDIA DEL CINEMA IN PIEMONTE

Lungometraggi



Napoli che canta
Italia, 1930, 35mm, 75', B/N

Altri titoli: Addio mia bella Napoli

Regia
Mario Almirante

Soggetto
Mario Almirante

Sceneggiatura
Mario Almirante

Fotografia
Massimo Terzano, Ubaldo Arata

Operatore
Beniamino Fossati

Musica originale
Ernesto Tagliaferri

Montaggio
Mario Almirante

Scenografia
Giulio Boetti

Costumi
Atelier Robiolo

Interpreti
Malcom Tod (Genny D’Ambrosio), Anna Mari (Alice Baldwyn), Lylian Lyll (Carmela),), Giorgio Curti (Taniello), Adriana Facchetti, Felice Minotti, Ellen Meis, Carlo Tedeschi, Giovanni Marcial, Elvira Marchionni, Camillo De Rossi, Nino Altieri

Direttore di produzione
Luigi Eliseo Martini

Produzione
Fert/Cines

Distribuzione
Anonima Pittaluga

Note
Visto censura n. 26.019 del 30.9.1930; 2.040 metri.
 
Direttore d’orchestra: Pietro Sassoli; post-sincronizzazione: Guglielmo Zorzi.
Lo scenografo Giulio Boetti è accreditato come Giulio Boetto.
Realizzato nel 1927 e annunciato con un gran battage pubblicitario sulle riviste d’epoca nel 1928 con il titolo Addio mia bella Napoli, il film non venne distribuito a causa dell’avvento del sonoro e rimase inedito fino al 1930, quando venne sonorizzato e post-sincronizzato a Roma da Guglielmo Zorzi, presso gli stabilimenti della Cines. Distribuito con il titolo Napoli che canta, ebbe scarsissimo successo.
Il 16 febbraio 1931 venne presentato a New York.
Copia conservata presso: Cineteca Nazionale (Roma).
 
Esiste un altro film intitolato Napoli che canta, diretto nel 1926 da Roberto Roberti per la E.F.A. e interpretato da Rodolfo De Angelis, Adolfo Della Monica e Tecla Scarano.




Sinossi
Figlio di un immigrato napoletano che ha fatto fortuna a New York e possiede una grande cartiera, Gennariello D’Ambrosio, detto Genny, si fidanza per motivi puramente economici con Alice, figlia di un magnate dell’editoria. I due giovani non si amano e si concedono reciproca libertà. Genny si imbarca su un transatlantico alla volta di Napoli dove, per volere del padre, deve svolgere un anno di servizio militare; sulla stessa imbarcazione viaggia Alice, invitata da un’amica a trascorrere un periodo in Italia. Scoperta la coincidenza, i due fidanzati ribadiscono gli accordi presi ed entrambi, una volta giunti a Napoli, dopo un iniziale spaesamento si lasciano conquistare dall’atmosfera della città e dai colori e profumi partenopei. In visita presso l’antica casa dei genitori, Genny incontra la bella Carmela e se ne innamora; sorte analoga tocca alla “glaciale” Alice, che si invaghisce del barcaiolo Taniello. Nessuno dei due informa il partner del proprio fidanzamento “americano” finché giunge per Genny il momento di trasferirsi in caserma. Feritosi a un braccio, riceve una visita di Carmela che, incontrata Alice e convinta di esser stata un’avventura di poco conto, scappa piangendo e viene consolata dall’amico d’infanzia Taniello. Al momento del congedo, Genny sorprende Alice con il barcaiolo e fa una vera e propria scenata di gelosia alla fidanzata; la coppia scopre così di amarsi e, prima di partire per tornare negli Stati Uniti, invita Carmela e Taniello alla banchina per salutarli amichevolemente. I due, che nel frattempo si sono a loro volta innamorati, si presentano all’appuntamento e assistono alla partenza del transatlantico.





«La “Pittaluga” lavora con ritmo pacato ma ininterrotto. È appena terminato il film Giuditta e Oloferne, ed ecco che ci viene annunciato Addio mia bella Napoli, i cui interpreti sono Lillian Lyl, Anna Mari, Malcolm Tod, Giorgio Curti e Carlo Tedeschi. La direzione è stata affidata a Mario Almirante» (“Cine Mondo”, a. II, n. 26, 20.10.1928).
 
«Un altro lavoro italiano. Via via, s’accelera il ritmo della nostra operosità, si alimenta lo schermo della nostra produzione. «Addio mia bella Napoli» è quasi terminato. Per gentile concessione dell’An. Pittaluga, anticipiamo ai nostri lettori la trama del film. [...] Il «soggetto» non appartiene alla categoria di quelli che attingono il loro interesse a quel folklore locale tanto caro a certi lazzaroni cinematografici: bassifondi, cenci, sudiciume, camorristi, sgualdrine, coltellate, spaghetti arraffati con le mani.... Qui si esalta Napoli, l’Italia con la sua natura privilegiata, con i suoi sentimenti più schietti, più nobili, più ammirevoli» (“Cine Mondo”, a. II, n. 29, 5.12.1928).
 
«Due anni non passano invano per un film: con l'attuale rivoluzione (il sonoro) poi, si rischia di far sembrare preistorica qualsiasi produzione. Questo Napoli che canta, realizzato da Mario Almirante negli ex-stabilimenti della Fert torinese, avrebbe potuto continuare a dormire i suoi sonni tranquilli, che la cinematografia italiana non avrebbe perduto gran ché; ma la manìa della sincronizzazione lo ha fatto uscire dalle scatole polverose e, giuoco del caso, l'ha portato sullo schermo subito dopo il successo de La città canora, cioè quando di Napoli e delle sue canzoni il pubblico aveva fatto una scorpacciata: anche nella pubblicazione dei films bisogna essere tempisti! Non faremo confronti: Mario Almirante, che gode meritata stima nell'ambiente, ci ha dato in passato qualche ottimo film e altri ce ne darà in avvenire. Ma la povertà dei mezzi impiegati traspare da ciascun quadro di Napoli che canta. Anche l'interpretazione e la sonorizzazione lasciano alquanto a desiderare. Abbiamo stentato a riconoscere celebri canzoni... Ma la colpa è dei cantanti: la Cines è irresponsabile - tecnicamente - dell'attentato» (E. Roma, “Cinema-illustrazione” n. 1, gennaio 1931).
 
«Fin dalle prime immagini incontriamo la doppia cifra stilistica di questo film, perduto e ingiustamente sottovalutato per lunghi anni: il connubio inedito fra immagini e suono - il film era stato girato, muto, nel 1927 e mai distribuito - e il tema, italianissimo del contrasto fra "modernismo" - la convulsa e superficiale vita dell'upper class metropolitana di New York - e sane tradizioni, identificate con la passionalità e i sentimenti veraci della più classica Napoli. La storia, pur se articolata nei codici della commedia - non mancano i tentativi di innestare sul tronco sperimentato della commedia sentimentale i motivi tipici della sophisticated comedy statunitense - e senza elevarsi più di tanto oltre i limiti dell'opera di genere, suggerisce tuttavia interessanti analogie tematiche con il più tardo rosselliniano Viaggio in Italia: una coppia - nel film di Almirante ancora solo fidanzati - parte dagli States per Napoli, per quella che dovrebbe essere solo una vacanza e che si rivela invece un'esperienza decisiva, che conduce alla scoperta di una verità profonda su se stessi e sui valori e il senso dei sentimenti e della vita. La riedizione, nel cruciale momento di passaggio, ancora in fase sperimentale, dal muto al sonoro, mostra i segni evidenti di una ricerca accurata: nessun tentativo - come ne troviamo in altri lavori di post-sincronizzazione - di posticcia e abborracciata sincronizzazione fra articolazione labiale e dialoghi (una sola scena, nel finale, con ogni evidenza fu girata ex-novo, per presentare l'unico dialogo con i due protagonisti in primo piano) e, invece, un lavoro accorto per aggiungere coerentemente alle immagini e alle didascalie il massimo possibile di senso attraverso suoni, voci, rumori e musiche. Il restauro è stato effettuato a partire da un controtipo - incompleto - e da un lavander dell'epoca e dal negativo colonna ottica: quest'ultimo, purtroppo, mancante di un rullo, che è stato lasciato muto nell'edizione definitiva» (M. Musumeci, Ritrovati e restaurati da Centro Sperimentale di Cinematografia - Cineteca Nazionale, Catalogo del Festival del Cinema Ritrovato, Cineteca del Comune di Bologna, 1997).

«Il film di Almirante si chiama Napoli che canta (forse perché nel frattempo la Paramount ha annunciato un Parigi che canta con Chevalier)» (R. Redi, Ti parlerò… d’amor. Cinema italiano fra muto e sonoro, Eri, Torino, 1986).

 «Abbondano nel film gli esterni dal vero, mentre più sicure sono le citazioni di interni e arredi arts-déco, sia nelle ricostruzioni americane che in quelle napoletane; appare come sfondo torinese anche il terrazzo della gloriosa Società Canottieri Cerea e il tratto di fiume che la fronteggia» (S. Della Casa, L. Ventavoli, Officina torinese, Lindau, Torino, 2000).


Scheda a cura di
Davide Larocca

Persone / Istituzioni
Massimo Terzano
Ubaldo Arata
Mario Almirante
Felice Minotti


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