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ENCICLOPEDIA DEL CINEMA IN PIEMONTE

Cinema muto



Il padrone delle ferriere
Italia, 1919, 35mm, B/N

Altri titoli: Felipe Derblay (Spagna)

Regia
Eugenio Perego

Soggetto
dal romanzo "Le maƮtre des forges" di Georges Ohnet

Sceneggiatura
Giuseppe Maria Viti

Fotografia
Antonio Cufaro

Interpreti
Pina Menichelli (Clara de Beaulieu), Amleto Novelli (Filippo Derblay), Luigi Serventi (Duca di Bligny), Lina Millefleurs (Athenaide Moulinet), Maria Caserini Gasparini (Marchesa di Beaulieu), Myriam De Gaudy (Sig.na Derblay), Isabel De Lizaso



Produzione
Itala Film

Note
1.670 metri
Visto censura n. 14.016 del 1.3.1919
Distribuito in Spagna nel giugno 1920.
Alcune fonti segnalano la collaborazione alla messa in scena di Giovanni Pastrone.
Il film è stato proiettato come evento speciale durante la XXIII edizione del Torino Film Festival (11-19 novembre 2005) in una copia restaurata dal Museo Nazionale del Cinema di Torino in collaborazione con la Cineteca del Comune di Bologna.
 




Sinossi
Promessa sposa da sempre al cugino, il Duca di Bligny, la raffinata Clara, figlia dei Marchesi Beaulieu, vede sfumare il proprio sogno d’amore quando, persa la fortuna di famiglia, viene respinta dal fatuo innamorato, interessato maggiormente al patrimonio e alla posizione sociale di un’eventuale compagna che a mantenere fede alla parola data. Alla notizia che il Duca sta per sposare una sua ex compagna di scuola, Clara annuncia per ripicca le nozze con il “padrone delle ferriere” Filippo Derblay, uomo serio, onesto e gran lavoratore. Disprezzato dalla moglie per via dei suoi umili natali, Filippo stabilisce che la loro unione sarà solo di facciata finché non riuscirà a far innamorare di sé Clara: saprà infine dimostrare alla donna quanto i suoi sentimenti siano profondi, vincendone i pregiudizi.





«Forse il personaggio di Clara di Beaulieu le ha offerto [a Pina Menichelli] più ricchi spunti a giocare parti varie e più difficili e più sottili. Forse questo personaggio le ha dato maggiore tela da tessere, proprio come quantità di avvenimenti. Certo è che la Signora Menichelli questa volta è riuscita a dare espressioni ancora più squisite e belle che nell’ultimo film. La ardente passione di che elle sa squassarsi con impeto sanguigno, con foga ardente e gagliarda, è uno spettacolo veramente magnifico. Le sfumature dei passaggi di stato d’animo, le diversità dei piani psicologici date nei suoi occhi espressivi, sono tanto sottilmente resi nella grazia della più dolce femminilità, quanto felicemente espressi nelle ribellioni della pantera offesa. Poiché quest’attrice così munita d’artigli possiede – e li esprime con una gioia soavissima dei suoi occhi trasfigurati – riposta e nascosta una dolcezza carezzevole che l’apparire stupisce, dà panico, tant’è essa in lei insospettabile. Crediamo che il fascino che la Menichelli esercita sulla massa maschile, sia principalmente materiato di questo. La perfidia apparente, la esteriore cattiveria aguzza, pungente, tagliente, di questo virgulto femmineo feroce, non è nei personaggi che più le si adattano; nei suoi personaggi, che una crudele maschera di malvagità, creata solo a rendere più dolce, più meraviglioso, il tesoro di femminile dolcezza sotto tanta femminile crudeltà. Una volta scoperto il bell’inganno di questa gemma perfida, racchiudente nelle sinistre sue luci, invece che il veleno temuto, una dolcissima linfa, allora il fascino della donna si diffonde e più caro. Ma è Pina Menichelli o Clara di Beaulieu che noi abbiamo illuminato?» (U. Ugoletti, “Cronache dell’attualità cinematografica”, 2.3.1919).
 
«Il Modernissimo di Bologna deve registrare un exploit degno di nota: Il padrone delle ferriere, dell’Itala-film, infatti, è stato proiettato per circa un centinaio di rappresentazioni consecutive con una affluenza di pubblico veramente sbalorditiva! E questo, nonostante tutte le pecche e le manchevolezze del film. La Menichelli è troppo compresa nella nomea di grande artista, per liberarsi dalle pose stucchevoli e studiate ed incarnare con spontaneità e passione la sua parte. Amleto Novelli è stato il più ammirato. Ma il pubblico, attratto dal fatidico nome del dramma conosciutissimo, non ha guardato tanto per il sottile. Ha vissuto sullo schermo le scene note del teatro e della lettura, e si è commosso, ha ammirato il fascino della Menichelli, ed in tal modo, il film, discreto, è passato nelle conversazioni e nei racconti come cosa perfetta!» (C. Suzzi, “La Vita Cinematografica”, 15.2.1920).
 
«Si riscontra in questa Clara la preoccupazione costante, la paura – difetto della bellissima Menichelli – di non apparire troppo bella; il: “Fatemi bella” sussurrato tra una posa e l’altra, anche magari in primo piano, all’operatore; lo studio continuo di non esporsi al pubblico di profilo, gli atteggiamenti che ricordano sempre ancora le pose datele da Pietro [sic] Fosco nel Fuoco, vero, Signora? Ma non tutti i films sono Il fuoco! [...] Altri interpreti, tutti efficaci, tutti ottimamente a posto: Amleto Novelli, un sobrio Filippo Derblay, Lina Millefleurs una indovinata Athenaide Moulinet, Gigi Serventi, il fatuo Duca di Bligny» (“La Rivista Cinematografica”, 10.5.1923).
 
Fecondo autore di feuilleton, Georges Ohnet è – tra Otto e Novecento – uno degli scrittori maggiormente apprezzati presso gli strati più popolari di lettori: con uno stile di scrittura semplice ed elementare, nei sui romanzi narra vicende romantiche e passionali, unendole a temi sociali fortemente ancorati ad una realtà in rapido cambiamento come quella che vede la progressiva decadenza dell’aristocrazia e l’ascesa sempre più irresistibile della borghesia industriale. Pubblicato nel 1882, Le maître de forges conosce una rapida fortuna (tanto da divenire l\\\'opera di maggior successo del suo autore), se già due anni lo stesso Ohnet ne appronta una versione teatrale.
 
La definitiva consacrazione del soggetto avviene però grazie al cinema: dal 1914 (anno di The Iron Master, diretto da Trevor Vales) al 1958 (con Il padrone delle ferriere di Anton Giulio Majano) sono almeno cinque i film che si rifanno direttamente al romanzo dello scrittore francese, sfruttando la semplice e lineare costruzione drammaturgica del contrasto tra due classi sociali e delle peripezie che nel finale le porteranno ad unirsi. Anche la Itala Film e Eugenio Perego sembrano scegliere il soggetto de Il padrone delle ferriere per cercare un successo che, alimentato da un testo noto e amato dal pubblico, trova in Pina Menichelli la scintilla che accende un film per molti versi debole. Perego, che inizia la sua carriera cinematografica come scenarista e occasionalmente attore per poi esordire alla regia nel 1915 presso la Milano Film, aveva già diretto la diva ne Il giardino incantato (1918) della Rinascimento.
 
L’investimento che la Itala Film operò per lanciare Il padrone delle ferriere fu notevole: la campagna pubblicitaria sulle riviste specializzate iniziò ben un anno prima dell’uscita del film, creando presto una spasmodica attesa tanto tra coloro che avevano apprezzato il romanzo, tanto tra coloro che non attendevano altro che di sentire il nome della Menichelli per riempire le sale, in quanto – come già nota nel 1919 Tito Alacci in Le nostre attrici cinematografiche studiate sullo schermo – non si andavano a vedere i film di cui questa era protagonista per assistere ad un dramma o a una commedia, ma «per sentirsi deliziare i sensi dalle sua pose procaci, per inebriare gli occhi e lo spirito di visioni… peccaminose».
 
E se nelle critiche coeve al film Amleto Novelli è l\'attore più ammirato per la sobrietà e la misurata eleganza con cui ha saputo costruire il personaggio del padrone di ferriere Filippo Derblay, il pubblico – come rileva “La Vita Cinematografica” del 15 febbraio 1920 – «attratto dal fatidico nome del dramma conosciutissimo, non ha guardato tanto per il sottile. Ha vissuto sullo schermo le scene del teatro e della lettura, e si è commosso, ha ammmirato il fascino della Menichelli, ed in tal modo, il film, discreto, è passato nelle conversazioni e nei racconti come cosa perfetta!»
 
Sebbene accolto da un notevole successo di pubblico, la reazione della critica a Il padrone delle ferriere non fu unanime. Tralasciando i giudizi più entusiasti e in questo senso ovvi, ovvero quelli che magnificano le capacità attoriali e la sensualità della diva de Il fuoco e di Tigre reale, quando sono positive le recensioni sottolineano l’omogeneità e l’organicità dell’insieme del film: viene apprezzato il sobrio lavoro di adattamento e messa in scena, la recitazione sempre calibrata sulla tipologia dei personaggi interpretati e, «per la sua tecnica perfetta e per un senso d’arte non comune», viene particolarmente lodato il lavoro dell’operatore Antonio Cufaro.
 
Se è vero che spesso viene percepito come un valore positivo, la semplicità dell’intreccio è il primo punto sul quale le critiche dell’epoca pongono l’accento. Sostanzialmente negativo è il giudizio de “La Vita Cinematografica” (nn. 29-30 del 22-30.9.1919), che sebbene sottolinei come «della letteratura drammatica e popolare, Il padrone delle ferriere di Giorgio Ohnet è uno dei meno ingrati esemplari e dei più divulgati volumi», rileva tuttavia come la riduzione operata da Giuseppe Maria Viti sia «troppo schematica e succinta, scarsa di episodi e di particolari, e per contro abbondante di didascalie».
 
Il secondo punto su cui si focalizzano i giudizi negativi è la recitazione. L’accusa più comune che viene mossa agli attori è di aver creato personaggi vuoti, che non corrispondono nei  caratteri fondamentali e nelle sfumature a quelli del romanzo, già per sé fortemente schematici e contraddistinti da una psicologia elementare. Anche alla diva protagonista non si risparmiano critiche: sempre “La Vita Cinematografica” scrive che «il film non ha niente di straordinario, se ne togli l’interpretazione di Pina Menichelli, la quale interpretazione è poi, pur troppo, un pessimo luogo comune».
 
In questo senso, anche Il padrone delle ferriere – a prima vista – può sembrare un “luogo comune”: il soggetto non offre molti spunti, i personaggi mancano di complessità e si definiscono semplicemente nei loro tratti emotivi più manifesti; i valori di critica sociale, con l’opposizione di una borghesia operosa ed illuminata ad un’aristocrazia feudale ormai priva di scrupoli e moralità, sono un puro pretesto per creare un contrasto drammatico che faccia smuovere una vicenda in realtà priva di tensione.
 
Ma dietro la sua relativa semplicità il film di Perego è in realtà un’opera importante per almeno due ordini di motivi: il primo, di tipo strutturale, riguarda il tentativo di messa in scena di un modello drammatico capace di abbandonare l’azione, gli eventi e di concentrarsi unicamente sui personaggi; il secondo, direttamente influenzato dal primo, è relativo alla convivenza di tipologie di recitazione diverse e divergenti. Così l\\\'esile trama così spesso criticata diviene il punto di partenza per la creazione di un film che, ancor prima di personaggi, è d\\\'attori: ciò che realmente conta – in virtù dei moduli divistici che entrano in gioco e dell\\\'aspettativa spettatoriale che creano – è la presenza magnetica della Menichelli, garante di un erotismo diffuso e legato a doppio filo al carattere orgoglioso e sprezzante di Clara de Beaulieu e, in ruolo di opposizione, la recitazione “sottotono” di Novelli, capace bilanciare e riequilibrare ogni eccesso della partner, sfruttando al meglio il contrasto stridente e apparentemente insanabile tra i due protagonisti. (Cfr. F. Pezzetti Tonion, nel Catalogo delle Giornate del Cinema Muto, Sacile, 2005).


Scheda a cura di
Azzurra Camoglio

Persone / Istituzioni
Eugenio Perego
Pina Menichelli
Amleto Novelli
Maria Caserini Gasparini


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