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ENCICLOPEDIA DEL CINEMA IN PIEMONTE

Lungometraggi



Cronaca di un amore
Italia, 1950, 35mm, 110', B/N

Altri titoli: Chronicle of a Love, Story of a Love Affair, Chronique d’un amour

Regia
Michelangelo Antonioni

Soggetto
Michelangelo Antonioni

Sceneggiatura
Michelangelo Antonioni, Daniele D’Anza, Piero Tellini, Silvio Giovaninetti

Fotografia
Enzo Serafin

Operatore
Aldo Scavarda

Musica originale
Giovanni Fusco

Montaggio
Eraldo Da Roma

Scenografia
Piero Filippone

Arredamento
Ferdinando Sarmi, Elio Quaglino

Costumi
Ferdinando Sarmi

Trucco
Libero Politi

Aiuto regia
Francesco Maselli

Interpreti
Lucia Bosè (Paola Molon), Massimo Girotti (Guido), Ferdinando Sarmi (Enrico Fontana), Gino Rossi (Carloni, il detective), Franco Fabrizi (presentatore della sfilata di moda), Marika Rowsky (Joy, l’indossatrice), Rosi Mirafiori (la barista), Rubi D'Alma (amica di Paola), Vittoria Mondello (Matilde), Gino Cervi, Renato Burrini, Vittorio Manfrino, Anita Farra, Carlo Gazzabini, Nardo Rimediotti

Direttore di produzione
Armando Franci

Ispettore di produzione
Paola Leoni

Produzione
Franco Villani e Stefano Caretta, Fincine

Distribuzione
Fincine.

Note
Nulla Osta: 8.644 del 30.9.1950;  2.891 metri.
Musicisti: Marcel Mulé (sassofono), Armando Renzi (pianoforte); segretario di produzione: Vittorio Manfrino, Luigi Montanari; organizzazione generale: Gino Rossi.
Gli interni del film sono stati girati presso gli Studi FERT di Torino; gli esterni sono stati girati per la maggior parte  a Milano e dintorni, e in parte a Torino.
Premi: Nastro d‘Argento 1951 a Giovanni Fusco per il Miglior Commento Musicale Originale, Nastro d‘Argento Speciale a Michelangelo Antonioni per i Valori Umani e Stilistici; premio per la Miglior Regia al festival di Punta del Este 1951.
 
 




Sinossi
La bella Paola – sposata al ricco industriale milanese Enrico Fontana – incontra il suo vecchio innamorato Guido, da cui si era separata in seguito a una tragedia di cui i due si erano sentiti colpevoli. Ora rinasce l’antica passione e Paola, insofferente del marito, spinge Guido ad ucciderlo. Ma Enrico Fontana muore in un incidente stradale. Gli amanti potrebbero essere finalmente liberi di vivere insieme, ma proprio ora un abisso si apre tra di loro.




Dichiarazioni
«Ho cominciato con Cronaca di un amore, in cui analizzavo la condizione di aridità spirituale e anche un ceto tipo di freddezza morale di alcune persone dell’alta borghesia milanese. Proprio perché mi sembrava che in questa assenza di interessi al di fuori di loro, in questo essere tutti rivolti verso se stessi, senza un preciso contrappunto morale, senza una molla che facesse scattare in loro ancora il senso della validità di certi valori, in questo vuoto interiore vi fosse materia sufficientemente importante da prendere in esame» (M. Antonioni, “Bianco e Nero”, nn. 2-3, 1961).




Prodotto da due torinesi, girato in esterni a Milano (a parte qualche inquadratura nella periferia torinese) e in interni negli stabilimenti Fert di Torino (con l’apporto di arredamenti, costumi, gioielli forniti da ditte cittadine), Cronaca di un amore è l’esordio di Antonioni nel lungometraggio ed è il primo momento del trittico che, passando per La signora senza camelie, si conclude cinque anni dopo con Le amiche, ancora a Torino.

In contrasto aperto con le tematiche ed i modi rappresentativi neorealisti, il regista presenta un triangolo sentimentale di ambientazione borghese, in cui i personaggi «sono già “vinti”, senza coscienza e senza senso di responsabilità, aggrappati come larve al loro vuoto interiore, incapaci di guardare a ciò che accade intorno. È al centro di questa situazione che il Guido di Cronaca di un amore, prodotto tipico della guerra perduta, e Paola, divenuta una ricca borghese, agiscono in una situazione di crisi ambientale e sociale di cui avvertono – attraverso la loro relazione – i sintomi e le incongruenze. Senza la forza di reagire, di opporsi, rivolti, come sono, unicamente a loro stessi» (C. Di Carlo, Il primo Antonioni, Cappelli, Bologna, 1973).
 
Il regista utilizza la struttura narrativa del “giallo” per oltrepassarla, per negarla: «il film consente un’indagine – il termine calza – nelle maglie di questa struttura (l‘immagine per il tutto: le foto iniziali della protagonista). Antonioni può analizzare i fatti e i comportamenti dei personaggi alla luce di un’ombra (il passato, la morte) introdotta subito dopo la descrizione ambientale: Paola esce da teatro, vede Guido, e il meccanismo si mette in moto». Ma questo meccanismo narrativo viene frantumato, dilatato, grazie a «soluzioni stilistiche che con gli aspetti romantici della storia non hanno più alcun rapporto» (G. Tinazzi, Michelangelo Antonioni, Il Castoro, Milano, 1994).

Cronaca di un amore è uno dei film che più hanno condizionato l’evoluzione linguistica e stilistica del cinema – non solo italiano – degli ultimi cinquant’anni, aprendo nuove prospettive nella direzione di un cinema moderno. Qui vediamo delinearsi per la prima volta una concezione originale del tempo e dello spazio, una costruzione dei personaggi inconsueta e priva di psicologismi. La recitazione degli attori è basata sulla loro presenza fisica, sul rapporto con l’ambiente che li circonda, su comportamenti, silenzi, dialoghi apparentemente banali, più che sulla loro capacità di introspezione e di mimesi sentimentale. Antonioni rappresenta la realtà ponendo sullo stesso piano semantico e drammaturgico tutti quegli elementi visivi e sonori che la qualificano: ambienti, sfondi, oggetti, luci, persone, rumori, gesti, movimenti, sguardi. Nello spazio scenico si affollano materiali diversi che costituiscono i tasselli di una stessa situazione esistenziale e che, in quanto tali, cooperano a creare tutti insieme risonanze intellettuali, psicologiche, sentimentali, visionarie. La bellissima colonna sonora curata da Giovanni Fusco concorre con efficacia a creare questo clima emotivo, a produrre queste risonanze.

Allo stesso modo in cui i personaggi non sono realtà psicologiche ma fisiche, anche la struttura narrativa e drammaturgica si regge non tanto su un meccanismo di eventi, su un congegno romanzesco (benché non manchi l’impianto “giallo”), ma sui “prolungamenti” degli eventi stessi, sulle loro conseguenze o sulle loro cause. Perciò sembra che in Cronaca di un amore non capiti nulla: ciò che è importante è già avvenuto prima dell’inizio del film (la tragedia che ha separato i due amanti), oppure avviene fuori scena (la morte di Fontana), oppure avverrà dopo il finale (che non conclude nulla). Pertanto il tempo cinematografico assume un’importanza primaria, viene dilatato dando luogo a lunghi piani sequenza, a sinuosi e avvolgenti movimenti di macchina, a “tempi morti” contemplativi e introspettivi.  Con le sue lunghe inquadrature Antonioni scava dentro i personaggi, li segue incessantemente, li perseguita fino a condurre tale visione al momento di rottura, all’esasperazione visiva.

I due protagonisti non riescono ad impossessarsi della realtà che sta di fronte a loro, «analizzando il legame che li tiene uniti i due amanti lo caricano di ogni valenza; lo riempiono di immaginazione, o se si vuole lo declinano sul paradigma dell’immaginario. Il sistema delle soggettive che essi attivano è a questo proposito assai indicativo. Ad esempio nel momento in cui si reincontrano dopo anni, di fronte alla Scala, ciascuno dei due è inquadrato dal punto di vista dell’altro, ma in Campo Lungo o in Campo Lunghissimo, mentre un Campo Medio sarebbe più consono alla realtà. La distanza tra i personaggi, aumentata artificiosamente, è psicologica, non effettiva; esprime un sentimento, non denota uno spazio» (F. Casetti, in AA.VV., Michelangelo Antonioni. Identificazione di un autore, Comune di Ferrara, 1982).

Per lo più Antonioni preferisce utilizzare lunghi piani sequenza piuttosto che ricorrere al montaggio di brevi inquadrature, «preferisce il montaggio nel quadro al montaggio dei quadri, il movimento interno dell’inquadratura al movimento esterno. E così diminuisce di non poco il numero delle scene: compone, senza stacchi, intere sequenze di Cronaca di un amore; pochissimi stacchi, dunque, e poche dissolvenze ed estremamente mobile e panfocale la macchina da presa per suggerire gli stati d’animo dei personaggi» (G. Aristarco, Su Antonioni, materiali per una analisi critica, La Zattera di Babele, Roma, 1988).
 
Memorabili sono alcuni piani sequenza nel film, come quello del dialogo tra i due amanti sul ponte, mentre stanno progettando l’omicidio del marito di lei: la macchina da presa compie una panoramica ampia più di 360°, mostrando l’“imprigionamento” dei personaggi in una gabbia angosciosa che non permette né un rapporto corretto con il mondo che li circonda, né un rapporto sentimentale produttivo tra di loro. Sia gli attori, sia la macchina da presa si muovono con movimenti circolari che li riportano al punto di partenza, senza che nulla intervenga a modificare la loro esistenza; il mondo appare vuoto, privo di progresso e mutamento, oppresso da una perenne “eclisse” che rende inutili e inefficaci le azioni. Nella realtà disgregata che Antonioni ci presenta, non esiste più alcuna certezza, alcuna verità, alcun significato univoco: «Il senso non si ferma grossolanamente alla cosa detta, ma si spinge sempre più lontano, ammaliato dal fuori-senso: […] l’oggetto rappresentato vibra, a scapito del dogma» (R. Barthes, Caro Antonioni, Cineteca del Comune di Bologna, 1980).


Scheda a cura di
Franco Prono

Persone / Istituzioni
Michelangelo Antonioni
Piero Tellini
Enzo Serafin
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Giovanni Fusco
Eraldo Da Roma
Francesco Maselli
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Massimo Girotti
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Gino Cervi
Piero Filippone


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