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ENCICLOPEDIA DEL CINEMA IN PIEMONTE

Lungometraggi



Il mercante di pietre
Italia/U.K., 2006, 35mm, 117', Colore

Altri titoli: The Stone Merchant (USA); La guerra silenciosa (Argentina); Stone Merchant. Händler des Terrors (Germania)

Regia
Renzo Martinelli

Soggetto
dal romanzo “Ricorda di dimenticarla” di Corrado Calabrò

Sceneggiatura
Renzo Martinelli, Fabio Campus

Fotografia
Blasco Giurato

Musica originale
Pivio De Scalzi, Aldo De Scalzi

Suono
Giancarlo Dellapina, Colin Codner, Clair Davis, Mitch Low

Montaggio
Osvaldo Bargero

Effetti speciali
Marcello Buffa

Scenografia
Andrea Faini

Costumi
Silvia Nebiolo

Aiuto regia
Carlo Paramidani

Interpreti
Harvey Keitel (Ludovico Vicedomini / Niammet Ullah, il Mercante), F. Murray Abraham (Shaid), Jordi Mollà (Alceo), Jane March (Leda), Paco Reconti (Valerio Vergotto), Lucilla Agosti (Lydia), Dhaffer L'Abidine (l'Egiziano), Bruno Bilotta (Libero), Riccardo Forte (dottor Casellato), Federica Martinelli (Rita), Eleonora Martinelli (assistente del Mercante), Maria Grazia Adamo (studentessa), Jonis Bashir (somalo), Abdifatah Ghedi (somalo), Alena Ivanov (donna russa)



Produzione
Renzo Martinelli, Patrick Irwin, André Djaoui per Martinelli Film Company International, Creative Partners International, London, Box Film Productions

Distribuzione
Medusa Film

Note
2930 metri.
Suono Dolby Digital; assistenti agli effetti speciali: Riccardo Albiero, Sergio Cremasco, Diego Trazzi, Emanuele Brussino, Fabrizio Nastasi, Jean Claude Nouchy, Rossana Pozzati, Alessandro Riberti, Valter Sagrillo, Stefano Villa; altri interpreti: Ludovica Martinelli (bambina sul ferry boat), Eddy Lemare (egiziano), Clotilde Romagnoli (madre sul ferry boat), Chiara Pizzolo (collega di Leda), Salvatore Bono (ufficiale dell'Alitalia), Modou Gueye (mediorientale), Sarah Jabloune (giornalista), Massimo Vanni (pilota anti-terrorismo); collaborazione alla produzione: Medusa Film, Sky.
 
Film realizzato con il sostegno di Film Commission Torino Piemonte.
Locations: Torino (ex Manifattura Tabacchi, Parco del Valentino, Teatro Carignano, Facoltà di Economia e Commercio, Basic Net, Palazzo Aem, Lingotto Fiere, al Circolo degli Artisti, Lumiq Studios), Roma, Scozia, Turchia.




Sinossi
Ludovico Vicedomini, cristiano convertito all'Islam che commercia in pietre preziose tra Italia, Afghanistan e Turchia, è un insospettabile terrorista di Al Qaeda che uccide adottando la “strategia della colomba”: individua una donna, la seduce e la utilizza quale strumento di distruzione. Questa volta però si innamora di Leda, moglie di un professore universitario italiano il quale ha perso le gambe nell’attentato all'ambasciata Usa di Nairobi nel 1998. Ignara, la donna porta sul traghetto la Calais a Dover una bomba...



Dichiarazioni
«L’Europa buonista e multiculturale pagherà per le sue scelte. [...] L’Occidente ha la presunzione dell’eternità, finirà per pagare per questi segnali di debolezza. [...] Attenzione, il proselitismo islamico è tra noi, la cultura musulmana ha nel suo DNA qualcosa di aggressivo. La nostra è la religione del “logos”, della parola, la loro è la religione del libro, vincolata al Corano. Quella waabita è la cultura dell’arretratezza. [...] C’è un’analogia tra la condizione dell’Europa di oggi e quella in cui si trovava nel 1683, quando un frate cappuccino, Marco d’Aviano, si levò a baluardo dell’Europa contro la minaccia dell’Islam, bloccando l’armata di Maometto IV alle porte i Vienna. Senza di lui, oggi San Pietro sarebbe una moschea. Fu lui a capire che c’è un momento per la democrazia e uno per la spada: quando la nostra civiltà, la civiltà cristiana, è in pericolo, devi impugnare le armi per difenderla. [...] Perciò se non ribadiamo con forza i principi dell’Occidente, la nostra identità cristiana, il messaggio dell’amore per la via sottolineato anche da papa Ratzinger nelle sue encicliche, rischiamo di essere fagocitati» (R. Martinelli, “La Stampa”, 14.9.2006).
 
«Nel film è l’amore tra il terrorista e la sua “colomba” a spezzare, sia pure in maniera tragica, il fanatismo. Nella realtà, però, non è la stessa cosa. Dire amore non basta. Ognuno ama la sua donna e i suoi figli ma può detestare il suo vicino e volerne la morte. Io credo che occorra convincersi che Dio è uno solo anche se lo preghiamo in modi diversi, altrimenti, senza questo riconoscimento dell’unicità di Dio, non so dove andremo a finire» (H. Keitel, “La Stampa”, 28.7.2005).





«Ha voluto la Cappadocia il regista Renzo Martinelli per far da sfondo al suo film Il mercante di pietre, storia di un terrorista islamico e di una donna italiana: [...] Per l’incontro tra vittima e carnefice Martinelli ha scelto la Cappadocia, esattamente Gorene. E non è un caso, perché questo pezzo di altopiano turco su cui si innalzano coni di roccia, a gruppi, come fossero i denti di un immenso dinosauro preistorico, oppure isolati, a cono, come il copricapo di un mago, viene chiamato la Valle dei Camini delle Fate. Niente di più fascinoso e suggestivo per ammorbidire le difese di un cuore femminile, infiammarlo, conquistarlo, possederlo per sempre. [...] Il mercante di pietre è un film dal destino incerto. Eccessivamente semplice, considerata la complessità dell’integralismo islamico [...]. Potrebbe arrivare in sala troppo tardi per il susseguirsi degli attentati o troppo presto per la comprensione di questo fenomeno. Martinelli però è uomo che non si spaventa. Tutt’altro. Si dichiara indignato. Indignato perché fino ad oggi, nonostante il crollo delle Torri gemelle, la guerra in Afghanistan e in Iraq, le bombe a Madrid e gli attacchi di questi giorni, nessun regista abbia girato un film sul terrorismo di matrice islamica [...] Martinelli con questo film internazionale vorrebbe arrivare al mercato americano e trovare i finanziamenti per girare un’opera storica di alto costo sull’assedio che i turchi posero a Vienna nel 1683. A suo parere quello che stiamo vivendo in questi anni è la riproposizione di una nuova conquista. Ma come quell’invasione fu fermata, anche questa, pensa, sebbene con altri metodi, può essere arrestata» (S. Robiony, “La Stampa”, 28.7.2005).
 
«Renzo Martinelli [...] con Il mercante di pietre produce e dirige un film di propaganda anti-islamica, affidando le proprie idee alle tirate di un ex giornalista senza gambe e a una “strategia della colomba” di cui non s’è avuta notizia nella realtà. [...] Si conosce lo stile sensazionalista ed effettato di Martinelli: velocità, inquadrature sghembe immotivate, zoom a sprazzi, rallentatore, rumori forti e tonfi ritmati, apparizione di uomini che dovrebbero portare sul petto il cartellino “mostro”, primi piani drammatici per immagini insignificanti. Si conosce la tendenza del regista ad arricchire il film di diversi elementi che c’entrano poco: in questo caso monti della Cappadocia, danze di dervisci, spettacolo di balletto, moncherini in primo piano, esplosione delle Torri gemelle di New York l’11 settembre 2001, video con infamie arabe quali lapidazione e taglio della mano d’un colpevole, troppa pubblicità Alitalia, declamazione (da parte di Keitel) di versi d’amore di Corrado Calabrò, anche autore del romanzo Ricordati di dimenticarla [...] a cui si ispira il film enfatico, spesso ridicolo» (L. Tornabuoni, “La Stampa”, 15.9.2006).
 
«Tra i primi nel panorama cinematografico mondiale, Renzo Martinelli si accosta al terrorismo di matrice islamica con una coproduzione italo-inglese ispirata aI romanzo Ricorda di dimenticarla di Corrado Calabrò. Frutto di una poderosa documentazione storica, Il mercante di pietre pare tuttavia il topolino partorito dalla montagna. Un topolino roboante (regia esibizionistica, fotografia trademark Martinelli, dolby surround allo spasmo) e unidirezionale nella sua opposizione ideologica a un Islam inteso e mostrato quale monade [...] il film non difetta nemmeno in incongruenze, inverosimili coincidenze e costruzione a tesi» (F. Pontiggia, “Rivista del Cinematografo” n. 10, ottobre 2006).
 
«Il fascino centrale è dato dal profondo coinvolgimento personale del protagonista, Harvey Keitel, che ha messo al servizio del film una concentrazione assoluta, con il risultato di regalarci una delle sue più belle interpretazioni: il suo indefinibile sguardo fatto di intolleranza, violenza e di progressivo sgomento per I'inaspettato e impossibile amore che porta al disastro le sue convinzioni e la sua vita costituiscono la vera tensione del film, che prende per tutta la sua durata, senza tentennamenti. Ci spiace, quindi, rilevare degli aspetti che sviliscono il racconto e che, a onore della sua serietà, dovevano essere evitati: semplicistica la trovata di far partire la coppia per una vacanza rilassante proprio in Turchia, con tutto quello che era successo e con le idee preconcette del professore! [...] Non capiamo, infine, l’uso forsennato, terrificante che Martinelli fa del dolby surround, inutile e dispersivo, che non sottolinea la drammaticità dei passaggi, ma solo distrae e infastidisce. Tuttavia il film tiene in maniera ugualmente robusta, spinge a ripensare l'argomento, a discutere, seppur con un brivido lungo la schiena; e non è poco» (F. Moresco, “Film” n. 83, settembre-ottobre 2006).
 
«Martinelli non ha fatto mai mistero in merito alle sue sim­patie di destra. Ma non è certo per questo che il suo Il mercan­te di pietre risulta di scarso valore. Attaccato da tanta critica per il suo anti-islamismo, quel che sul terreno cinematografico conta è che il film è mal fatto e a tratti inverosimile. Da un lato vi si coglie la malaise tutta italiana della bella immagine che si concretizza nell'estenuazione della ripresa a scapito, va da sé, del ritmo di montaggio. I suoi protagonisti, tutti, si guardano troppo fra loro, la macchina da presa indugiando su silenzi, reticenze, conflitti interiori, e l'ambizione psicologistica - una delle grandi tare del nostro cinema drammatico - sacrifica azione e fluidità a questo tutto sommato ingenuo coté "artistico". Quanto all'inverosimiglianza, basti pensare al fatto che l'attentatore suicida del tra­ghetto è colui che viene presentato come la mente di quella e di altre azioni terroristiche: ma quando mai i cervelli vanno di persona a compiere le gesta che han­no organizzato? Ma se uno dei massimi impegni di Al Qaeda è il reclutamento della manovalanza, come pos­siamo credere a una tale scelta?
E lasciamo perdere la missione dei due sgherri per uccidere il menomato professore: vederli saltare in aria (no, non esplodere: proprio saltare) per colpire col coltel­lo il malcapitato suscita un effetto comico grottesco che evidentemente al regista deve essere sfuggito. Forse Martinelli ha ragione quando nel suo film infila una staffilata alla critica con la battuta sui critici come per­sone frustrate (a differenza di lui, però, non vi identifi­cherei l'intera categoria), ma ho il sospetto che la stessa percentuale qualifichi anche i registi cinematografici» (F. La Polla, “Cineforum” n. 458/8, ottobre 2006).
 
«Si è detto a volte che il cinema che fa Martinelli rappresenta la versione aggiornata e tecnologicamente più sofisticata di quello di Giuseppe Ferrara. In realtà Ferrara, per quanto con l'accetta della perentorietà e senza troppo curarsi delle finezze di stile, ha sempre fatto film d'inchiesta e indagine. Mentre Martinelli, sicuramente in questo caso, fa un film a tesi, un manifesto ideologico. [...] Tra il giornalista-professore che dopo aver perso le gambe nell'attentato all'ambasciata Usa di Nairobi del '98 è diventato un predicatore contro il pericolo islamico, e il misterioso trafficante di pietre preziose convertito all'Islam e alla legge del terrore [...], è dichiaratissimo da che parte stanno il film e il suo autore. La stessa degli allarmi lanciati da Oriana Fallaci. Senza sottovalutare l'importanza degli argomenti, giacché stiamo giudicando un racconto diremo qui che è molto insoddisfacente il loro svolgimento. Dall'estrema prevedibilità alla rozzezza dei dialoghi è tutto un banalizzare sia pur nella lucentezza della confezione» (P. D’Agostini, “la Repubblica”, 15.9.2006).

«”Ti va di andare al cinema?”, chiede un’annoiata Jane March (Leda) al marito Alceo (!). Lui: “Che film?”. Lei: “Uno che i critici hanno fatto a pezzi. Quindi sarà un buon film”. Lui: “I critici sono persone molto frustrate. Tu non credi?”. Il dialogo è tratto da una scena di Il mercante di pietre e non c’entra nulla con il film. Renzo Martinelli mette le mani avanti perché in cuor suo sa che quel film è proprio Il mercante di pietre, impossibile da salvare. Non tanto per il tema [...], quanto per la messa in scena e lo sguardo cinematografico, davvero pornografici. Il regista non ci risparmia nulla: ralenti e improvvise accelerazioni assolutamente gratuiti, dialoghi insostenibili, direzione degli attori pessima. Dovrebbe essere, quest’opera di propaganda populista, ideologicamente ambigua e un tantino razzista, un “pamphlet” (“grande cinema internazionale”, l’ha definito Pascal Vicedomini in una puntata di Off Hollywood...) che mette l’accento sull’attualissimo conflitto tra le civiltà occidentali e musulmane, affidato al solito parterre di attori validi per tutte le stagioni, dal prezzemolo Murray Abraham all’ex ragazzina dell’Amante March via via fino a un Harvey Keitel che getta il suo talento per un pugno di dollari. E invece è un proclama, rancoroso e superficiale» (A. Fittante, www.filmtv.it).
 
«Mettendo le mani avanti, Martinelli fa dire alla moglie adultera del prof. di terrorismo islamico, che vuole vedere un film distrutto perché fatto a pezzi dai critici, che, secondo lui sono tutti frustrati. È poco: frustratissimi. Perché il film svende e fa rimbalzare in triangolo amoroso un tema attuale, con un' inaccettabile dose di allarmismo anti-arabo da festa padana. Per arrivare poi al classico: “Amore, qualunque cosa succeda, sappi che ti amo”. Lo dice il povero Keitel, terrorista islamico nascosto e troppo tardi pentito. Il tutto scritto e detto con banalità e con sviluppo romanzato da fiction tv» (M. Porro, “Corriere della Sera”, 15.9.2006).

«Regista impetuoso, amante dei temi caldi (dalla revisione della Resistenza al delitto Moro), Martinelli affronta il nodo bollente dello scontro di religione e civiltà con la spada da crociato. La prospettiva è discutibile (molto) ma non è questo il peccato più grave. Enfatico e fotoromanzante, il film, scandito dalle sofferenze di un professore senza gambe e i pericoli di un adulterio, resta sempre al di sotto di qualsiasi idea (o ideologia), non senza vertiginose puntate nella parodia» (C. Carabba, “Corriere della Sera Magazine” n. 39, 28.9.2006).
 
«Renzo Martinelli è un regista con la vocazione per i temi sociali e civili, e affronta con coraggio questioni importanti rimaste irrisolte come il crollo della diga del Vajont o il delitto Moro, anche se la foga della denuncia non è sempre sorretta da un convincente impianto stilistico. Anche Il mercante di pietre fa registrare una discrasia tra il provocatorio punto di vista di una storia molto attuale e l'indecisione tra il melodramma politico e il pamphlet ideologico. Per parlare di terrorismo islamico, del fanatismo fondamentalista, Martinelli ha scelto la strada dell'incontro-scontro culturale e sentimentale tra il mondo occidentale e quello musulmano. [...] Harvey Keitel da consumato attore dà spessore psicologico al suo Vicedomini. Ma la metafora del dialogo possibile tra i due universi svanisce gradualmente sotto il peso di un sostanziale preconcetto culturale che non tiene in conto le più interessanti riflessioni su “identità e violenza” dei musulmani come s'intitola l'ultimo libro del premio Nobel per l'economia Amartya Sen» (A. Castellano, “Il Mattino”, 16.9.2006).
 
«Renzo Martinelli adatta un romanzo di Corrado Calabrò per dire la sua sul pericolo del fondamentalismo islamico. Per far passare al grande pubblico sue teorie, altrettanto fondamentaliste, s'avvale di una star hollywoodiana (Harvey Keitel, in ruoli sempre più reazionari), nei panni di un terrorista dormiente che si sveglia con una bomba all'uranio da far piazzare sul traghetto tra la Francia e l'Inghilterra» (D. Zonta, “l'Unità”, 15.9.2006).




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