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ENCICLOPEDIA DEL CINEMA IN PIEMONTE

Produzioni Tv



Le cinque giornate di Milano
Italia, 2004, 180', Colore


Regia
Carlo Lizzani

Soggetto
Giuseppe Badalucco, Fabio Campus

Sceneggiatura
Giuseppe Badalucco, Fabio Campus, Franca De Angelis

Fotografia
Blasco Giurato

Musica originale
Stelvio Cipriani

Montaggio
Massimo Quaglia

Effetti speciali
Stefano Marinoni, Federica Nisi, Paola Trisoglio

Scenografia
Elisabetta Ajani

Costumi
Luigi Bonanno

Aiuto regia
Maria Teresa Elena

Interpreti
Fabrizio Gifuni (Giovanni Grimaldo), Chiara Conti (Amalia), Giuseppe Soleri (Carlino), Ana Caterina Morariu (Teresa), Daniela Poggi (moglie di Cattaneo), Richard Sammel (Weber), Giancarlo Giannini (Carlo Cattaneo), Gualtiero Burzi (Conte Gino Visconti Venosta), Fabio Troiano, Alberto Di Stasio, Michele Nani, Marit Nissen, Stefano Scherini, Giulio Brunetti, Pietro Nuti

Casting
Flaminia Lizzani

Produttore esecutivo
Enrico Tovaglieri

Produzione
Cecilia Cope, Elio Manni, Maurizio Manni, Francesca Tura per Progetto Immagine, RAI Fiction

Distribuzione
01 Distribution

Note
Suono Dolby Digital; altri interpreti: Enrico Bertorelli, Paolo Giangrasso, Cinzia Bregonzi, Federica Quaglieri,  Maurizio Tabani; organizzatore generale: Riccardo Cardarelli.
 
Locations: Torino (Murazzi del Po, piazza Palazzo di Città, palazzo Barolo, palazzo Saluzzo Paesana, via Barbaroux, via Stampatori, via Conte Verde, ex Istituto Poveri Vecchi), Mocalieri (Castello), Collegno (Parco della Chiesa), Milano.
 
Miniserie televisiva trasmessa da Rai Uno in due puntate da 90’ l’una domenica 5 e lunedì 6 dicembre 2004 in prime time (media d’ascolto 5.504, share: 19,46% - 20,86%)..
Realizzata con il sostegno di Film Commission Torino Piemonte.




Sinossi
L'epopea delle cinque giornate di Milano, viva nei ricordi di scuola di ogni italiano, è al centro di questo film tv di Carlo Lizzani, nel quale, accanto a figure storiche quali Carlo Cattaneo Metternich e Radetzki, campeggiano personaggi di fantasia, ispirati comunque a persone realmente esistite. Così il medico milanese Giovanni, che ricorda Agostino Bertani, e la contessina Amalia, immaginaria nipote di Radetzki, protagonisti di un'appassionata storia d'amore cui fa da sfondo la splendida musica di Verdi e Beethoven.




Dichiarazioni
«[…] a 19 anni, ero già interessato alla tematica garibaldina. Nel 1941, infatti, ho scritto un soggetto, Il battaglione della speranza, proprio sulla repubblica garibaldina. Poi devo confessare che ho avuto due nonni garibaldini quindi, quando mi hanno offerto di dirigere Le cinque giornate di Milano, ho accettato con entusiasmo. C’era già una sceneggiatura scritta da Fabio Campus, Giuseppe Badalucco e Franca De Angelis, ho trovato molto buono l’impianto, io mi sono limitato soltanto a dare alcuni suggerimenti. Il film in due puntate ha le caratteristiche di un documentario e mescola personaggi reali con personaggi di fantasia. C’è un medico, figura ideata dagli sceneggiatori, interpretata da Fabrizio Gifuni, che per la caratteristica del suo lavoro permette alla storia di articolarsi in vari ambienti. Si incrociano personaggi come Radetzky e Cattaneo, interpretato da Giancarlo Giannini, e il Podestà di Milano con tante figure di donne nobili e plebee che hanno fatto veramente la storia di quelle cinque giornate. Non esiste una pagina di storia italiana non solo risorgimentale in cui le donne abbiano avuto un ruolo così imponente. […] quella rivolta fece 400 morti, 100 furono donne. Eressero barricate in tutte le vie di Milano, gettarono olio bollente dalle finestre, combatterono e si difesero come gli uomini. E morirono negli scontri e nelle battaglie. […] Milano nei suoi pilastri è quella che è: il Duomo, il Castello Sforzesco, l’Università Statale, che a quel tempo era un ospedale, sono rimasti immutati, ma tutto il resto ha subito grandi cambiamenti. Per questo molte scene le abbiamo girate a Torino che ha mantenuto un'architettura ottocentesca» (C. Lizzani, “RaiNews”, 23.6.2004).
 
«Sono milanese, ma devo ammettere che nel cinema, rispetto a Torino, la mia città è rimasta all’età della pietra. La vostra Film Commission offre un supporto ottimo, di cui non c’è l’ombra in Lombardia. A Milano è impensabile bloccare il traffico, e non esiste, come da voi, un archivio di locations cui attingere: cercavamo palazzi, strade e piazze della Milano del ’48, e ci hanno immediatamente proposto parecchie soluzioni. […] Ma a Torino ci offrono anche uffici, locali per le attrezzature o la sartoria, un’assistenza complessiva di cui non c’è traccia, salvo in parte a Roma, in nessuna altra parte in Italia» (M. Manni, “La  Stampa”, 24.2.2004).
 
«Mi piace lavorare a Torino perché, dopo anni di grigiore, è la città che ha il maggior numero di librerie di tutta Italia, è piena di locali dove i giovani si ritrovano a far musica e a parlare: senti che è viva» (F. Gifuni, “La Stampa”, 14.6.2004).





«Poco realistica, “romanocentrica”, un motivo per non pagare il canone: gli esponenti leghisti che hanno visto in anteprima la fiction di Raiuno Le cinque giornate di Milano […] sono fortemente critici. "La finzione ha preso subito il sopravvento sulla realtà e sono stato costretto a sorbirmi due storie d'amore - sostiene Davide Caparini, vicepresidente leghista della Commissione di vigilanza Rai. "Dei milanesi, quelli veri, che hanno combattuto l'invasore, neanche l'ombra". Secondo Ettore Albertoni, assessore leghista alle Culture della Regione Lombardia ed ex consigliere di amministrazione della Rai, la fiction diretta da Carlo Lizzani "è un prodotto confezionato in una logica rassicurante, tutta aziendale, romanocentrica: non c'è la città, i colori, le voci, i ritmi. Siamo nel 1848 e nessuno parla in milanese". Fortemente criticato anche l'uso dell'Inno di Mameli che, secondo Caparini, "echeggia nella stanza del consiglio di guerra quasi a purgare le parole di colui che è stato la coscienza critica del risorgimento (si riferisce a Carlo Cattaneo, ndr.): ecco la censura di regime". Così, "a duecentotre anni dalla nascita, Carlo Cattaneo lo studioso e pensatore, l'intransigente federalista lombardo - conclude Caparini - viene fatto a pezzi dall'arma che il regime sfodera in questi casi: la retorica unitaria. Lo confesso: da quel momento ho tifato per gli austriaci". Ma Lizzani respinge le accuse: "Ho due nonni garibaldini, sul Risorgimento non mi si può toccare. Sono indignato e costernato da queste chiacchiere al vento che lasciano il tempo che trovano", dice il regista. Che poi, sul mancato uso del dialetto milanese, osserva: "Proprio perché il film sia vincente in tutta Italia non potevamo usare il dialetto, è una convenzione cinematografica utile a migliorare la conoscenza della storia milanese in tutto il Paese"» ( “la Repubblica”, 1.12.2004).
 
«Film come quello di Lizzani, pensato per la TV, vanno controcorrente, vogliono ristabilire una connessione tra il passato e il presente, rimettere gli italiani in familiarità con il Risorgimento. È questo un capitolo che i mass media e la scuola hanno ampiamente illustrato durante il ventennio fascista in chiave di eccitazione nazionalistica ed eroico-romantica, innalzando un mito man mano dissoltosi con la fine della dittatura, ma non sostituito né da una lettura critica del processo di unificazione nazionale, né dall'affermazione di una mitologia democratica. Rari sono i film che in un cinquantennio hanno acutamente rivisitato la nascita della nazione italiana in una luce non falsata dall'enfasi e dall'enfiatura patriottarda […]. Abbi­nando le dimensioni private-sentimentali e quelle collettive, cuce un romanzetto d'amore conven­zionale, innervosito dall'immancabile prezzemolo di una graduale presa di coscienza e attorno a un idillio contrastato alza il velario sull'affresco storico, che è la componente relativamente più persuasiva del film. Lo è in quanto la vulgata risorgimentale, il luogo comune, l’oleografia, il retaggio più bolso vengono sconfitti da una interpretazione che, pur non oltrepassando la superficie, rievoca gli accadimenti nella loro conflittualità interna, politica e sociale, e per la prima volta si abbozza un plausibile ritratto cinematografico di Carlo Cattaneo, un protago­nista tra i principali, defilato nella storiografia e solitamente evitato dalle celebrazioni. Anche se una maggior chiarezza e minuziosità di rimandi avrebbe giovato al film, apparentandolo ai modelli rosselliniani, dalle Cinque giornate di Milano descritte da Lizzani si desume un quadro irto di antinomie, anche se il film, nel suo insieme, risente dell'aver cercato un compromesso che favorisse la conquista di una audience più alta» (M. Argentieri, “Cinemasessanta” n. 6/280, novembre.dicembre 2004).
 
«Le cinque giornate di Milano, è la cronaca romanzata dell’insurrezione del popolo milanese, che nel 1848 alzò le barricate contro gli oppressori austriaci. Liberamente tratto da La memoria dei fiumi di Nino Majellaro, il film è diretto da Carlo Lizzani, alla sua seconda esperienza con la fiction per il piccolo schermo, dopo il successo di Maria José – L’ultima regina. […] Tutto all’insegna del fervore rivoluzionario di un popolo pronto a cambiare la storia e che, sulle note di Verdi e Beethoven, riesce nell’intento, impugnando il tricolore e cantando per le strade il nuovo Inno all’Italia, scritto e composto da Mameli nel 1847. È questo l’intento "militante" di Lizzani, oltre a quello di raccontare che cosa accadde prima di quei cinque giorni, mostrare le eccitazioni, le paure, le posizioni dei ceti della Milano ottocentesca in rapporto ai personaggi peculiari dell’Impero, fino allo scontro frontale. Un film che viaggia su due binari che si intrecciano, quello pubblico e quello privato, legati in maniera quasi impercettibile dal personaggio in qualche modo più rappresentativo, l’uomo, il medico, il popolano Giovanni Grimaldo, interpretato da Gifuni. […]  i leghisti hanno continuato ad attaccare Le cinque giornate,  […] Carlo Lizzani, indignato dalle accuse, ha tentato di difendersi soprattutto sulla questione "Cattaneo fatto a pezzi dalla retorica unitaria", rispondendo che "nel film la figura di Cattaneo è molto valorizzata. Finalmente anche lui, dopo Mazzini, Garibaldi e Cavour, avrà il posto che gli spetta. Che le critiche siano pretestuose lo dimostra il fatto che da destra qualcuno ha osservato che il film è troppo cattaneano"» (S. Argentiero, www.cinemavvenire.it).  
 
«Qualche anno fa i torinesi guardavano sorpresi austriaci e patrioti darsele di santa ragione in via Palazzo di Città, davanti al Municipio. Era chiaro a tutti che si trattava di un film, ma a stupire era un cartello sotto i portici che indicava l'ingresso degli artisti alla Scala di Milano. Il film era Le 5 giornate di Milano, per la regia di Carlo Lizzani, uno dei maggiori successi della fiction Rai, e Milano era stata ricostruita a Torino per ragione di costi minorie di una maggiore disponibilità della città. Ma pochi sanno che esiste un precedente nel quale nuovamente La Scala di Milano era ricostruita a Torino. Il motivo era però diverso: era in corso la Seconda guerra mondiale e il centro di Milano era fortemente colpito dai bombardamenti. Il film in questione, che ha utilizzato gli stabilimenti Fert all'epoca molto attivi, è intitolato La primadonna, è uscito nel 1943 e lo ha diretto Ivo Perilli. Narra la storia di due cantanti liriche, una più anziana una più giovane, della rivalità tra le due che però le vedrà riconciliarsi alla fine in un dolceamaro passaggio di testimone (anche perché la più giovane ha pure soffiato il fidanzato a quella matura...)» (S. Della Casa, “La Stampa-TorinoSette”, 11.3.2011).


Scheda a cura di
Franco Prono

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