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ENCICLOPEDIA DEL CINEMA IN PIEMONTE

Cortometraggi e Documentari



Ma che Storia…
Italia, 2010, 77', B/N


Regista
Gianfranco Pannone

Soggetto
Gianfranco Pannone

Sceneggiatura
Gianfranco Pannone

Fotografia
Tarek Ben Abdallah

Suono
Marco furlan, Andrea Malavasi

Montaggio
Angelo Musciagna

Aiuto regia
Nathalie Giacobino

Interpreti
Roberto Citran (voce), Roberto De Francesco (voce), Leo Gullotta (voce)

Produzione
Cinecittà Luce

Distribuzione
Cinecittà Luce

Note
Consulenza musicale: Ambrogio Sparagna; contributo: Ugo Gregoretti; ricerche d’archivio: Giovanella Rendi; organizzazione: Maura Cosenza.
 
Premio come Migliore Film documentario al 3° Festival del Cinema Italiano di Madrid,




Sinossi
Il cammino del nostro Paese nei suoi primi 150 anni di unità nazionale, raccontati attraverso documenti, cinegiornali tratti dagli Archivi Luce, brani letterari e musica popolare in un lungo viaggio per capire meglio chi siamo.
 
Gioie e dolori di un paese grande e complicato. Un viaggio tragicomico nella nostra storia attraverso il lungo e faticoso percorso unitario italiano. Mazzini, Garibaldi, Cavour… nomi che oggi ci arrivano lontani, ma che così lontani non sono. Una grande rivoluzione quella del Risorgimento, salutata come vera e propria epopea nell’800, ma ridimensionata nel secolo successivo dal “male oscuro” italiano. Potere, intellettuali e popolo, un rapporto difficile, spesso  violento e non privo di cinismo, che di fatto ha impedito il formarsi di un sentimento nazionale condiviso. E poi, un popolo di contadini quello italiano del primo Novecento, via via cancellato dalle ideologie e da un’ansia del “nuovo”  che hanno finito con l’emarginare tradizioni, consuetudini, affetti. Il racconto di questa epopea a metà, si sviluppa tra i cinegiornali e i documentari, dell’archivio  Luce, dagli anni Dieci agli Ottanta, che attraversano non senza retorica la storia nazionale; un sentimento critico e amaro, anche ironico, tutto presente nelle parole di scrittori e poeti di estrazione politico-culturale diversa; e, vero e proprio controcanto, suoni ed espressioni del popolo, che raccontano gioie e dolori di una storia ricca e violenta. Così il sobrio ricordo di uno zio morto nella Grande guerra risvegliato da Vittorio Foa, si incontra con le strofe cantate di Raffaele Viviani contro ogni  guerra, per poi scontrarsi con i retaggi fascisti della storia nazionale, affidati  agli impeti di un popolo che si vuole guerriero ad ogni costo. Un Paese, come ci ricorda Alberto Arbasino, cresciuto a marcette, celebrazioni, lustrini, lumini, icone, fino all’inevitabile rigetto. Un Paese incapace di mettersi in discussione, di elaborare i propri lutti, di guardarsi dentro, tutto proteso verso un finto nuovo che ha finito col procurare grandi tragedie partorite da folli illusioni. Un Paese che si potrebbe dire morto, se non fosse che gli appartengono pagine straordinarie di storia e letteratura oltre che una ricchezza antropologica unica.




Dichiarazioni
«Mi sono più volte chiesto se, come me, anche la gente di questo Paese creda che la storia d'Italia, specie quella unitaria, sia difficile da rinchiudere in risposte nette, univoche. Ecco perché ho sentito il bisogno di questo film e di intitolarlo Ma che Storia. Oggi buona parte degli italiani non sembra avere un sentimento nazionale. E, considerando le cronache politico-giudiziarie di questi giorni, c'è da comprenderli, ancor più se ricordiamo che per secoli l'Italia è stata attraversata da eserciti di ogni provenienza. Insomma, la nostra lunga e complessa storia ha impedito e impedisce tuttora il compiersi di un amor patrio veramente condiviso. Giuseppe Verdi, oltre a donarci la sua grande musica, ha ricoperto un ruolo importante di mediazione tra potere e popolo, al punto che ancor oggi gli italiani (non solo i leghisti) si commuovono ascoltando Va’ pensiero. Ma dove finisce il "teatro" e dove comincia il pensiero profondo? In Verdi convivono armoniosamente l'uno e l'altro, non so negli italiani. Difficilmente sarei arrivato a questo film se non avessi conosciuto, grazie ad Ambrogio Sparagna, prezioso complice di questa mia ultima fatica, il patrimonio musicale di tradizione orale del Paese. È in questo patrimonio che individuo gli anticorpi di un popolo, in quella tradizione contadina che, contrariamente alla vulgata operaista, non affonda le proprie radici solo nella miseria e nelle ingiustizie, ma in un patrimonio culturale fatto anche di suoni e canti dal forte significato simbolico e comunitario. Ecco perché, malgrado tutto, mi sento italiano nel profondo e non credo che, pure apprezzando la prospettiva federalista di un Cattaneo, in divisioni geografiche che considero tardive. È stato anche il nostro cinema a far sì che questo sentimento si conservasse nel tempo: film belli e complessi come Senso e Il Gattopardo difficilmente si dimenticano» (G. Pannone, Note di regia, www.studio93.it, 2011).





«Ogni discorso sulla patria corre ovviamente il rischio della retorica. Figuriamoci al cinema, dove la prosopopea delle parole si allea con la suggestione delle immagini. Una trappola che il documentario di Pannone Ma che storia [...] riesce a evitare abilmente. Per due ragioni: la prima è che, nel rievocare il Risorgimento italiano e le sue sorti lungo l'arco dei 150 anni di epopea nazionale, il regista napoletano non aggiunge nulla ma si "limita" a ri-proporre materiale d'archivio, cinegiornali e vecchi documentari conservati nelle teche dell'Istituto Luce. Così facendo, sottopone alla più accorta e smaliziata sensibilità contemporanea un immaginario percepito come inevitabilmente "lontano", nei tempi, nei modi, nei paramenti ideologici. La retorica diventa oggetto stesso del discorso, provocando straniamento e non pochi effetti comici (basti pensare al cortocircuito innescato dalla tronfia, declamante voce dello speaker Luce mentre racconta una tranquilla gita in barca di Mussolini e D'Annunzio). La seconda, più importante, è che questo materiale viene montato con assoluta libertà da Pannone, più interessato alle corrispondenze ritmiche tra le sue parti che a costruire un racconto lineare. Ne viene fuori una sinfonia audiovisiva, un patchwork musicale che, legando insieme pezzi diversi di storia, di cultura e di genere (dal cinegiornale all'animazione, dal documentario televisivo al film, dal Va’ pensiero verdiano alla tradizione orale contadina), privilegia l'armonia formale sull'unicità dei contenuti» (G. Arnone, www.cinematografo.it, 6.9.2010).


Scheda a cura di
Franco Prono


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