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ENCICLOPEDIA DEL CINEMA IN PIEMONTE

Cortometraggi e Documentari



Il popolo che manca
Italia, 2010, DV, 75', Colore


Regista
Andrea Fenoglio, Diego Mometti

Fotografia
Andrea Fenoglio

Musica originale
Carlo Zannetti, Borgatti Edizioni Musicali

Suono
Diego Schiavo

Montaggio
Fabio Bianchini Pepegna

Produttore esecutivo
Fausto Rizzi per Pulsemedia

Interpreti
60 testimoni di Nuto Revelli e 125 discendenti

Produzione
Fondazione Nuto Revelli Onlus

Note
Sottotitoli: Andrea Fenoglio e Diego Mometti; suono in presa diretta: Diego Mometti; montaggio del suono: Diego Schiavo; collaborazione al montaggio: Giuliana Benevento; assistenti al montaggio: Nicola Cabiddu, Davide Rossetti; color correction: Antonio Ivagnes; digitalizzazione delle registrazioni di Nuto Revelli: Istituto Storico della Resistenza e della Società Contemporanea in Provincia di Cuneo “Dante Livio Bianco”; coproduzione: Roberto Ruini per Pulsemedia.

Il documentario è stato realizzato con il sostegno di Regione Piemonte (Piemonte Doc Film Fund - Fondo regionale per il documentario, produzione aprile 2009 under 35), Film Commission Torino Piemonte, Marco Polo Environmental Group.

Premio speciale della Giuria al Torino Film Festival 2010, con la seguente motivazione: «Perché la voce incantata del passato attraverso le immagini del presente ci costringe a riflettere sul futuro»; Premio UCCA - Venti Città e Menzione speciale con la seguente motivazione: «Per la ricerca rigorosa nel saper raccontare la memoria di un popolo attraverso le registrazioni storiche e le immagini di oggi: voci antiche unite ad inquadrature vive ed emozionanti».

Partendo dai testi pubblicati da Nuto Revelli nei suoi libri Il mondo dei vinti. Testimonianze di vita contadina e L‘anello forte. La donna: storie di vita contadina, gli autori hanno ascoltato le testimonianze nella loro versione originale di tracce audio registrate con un magnetofono che costituirono il materiale grezzo da cui Revelli partì per scrivere i testi dei suoi libri.

Locations: Torino (fiume Po), Alba (CN), Alta Langa (CN), Bassa Langa (CN), Bra (CN), Costa Azzurra (Francia), Cuneo, Dogliani (CN), Fossano (CN), frontiera Francia/Italia, Michelin (CN), Monregalese (CN), Saluzzese (CN), Valle Belbo (AL, AT, CN), Valle Bormida (AL, AT, CN, SV), Valle Gesso (CN), Valle Grana (CN), Valle Maira (Valle Macra, CN), Valle Pesio (CN), Valle Roja (IM), Valle Stura (CN), Valle Varaita (CN), Valle Vermenagna (CN).



Sinossi
Cuneo. Una delle province più grandi d’Italia. Le esperienze dei contadini degli anni Settanta e quelle dei loro discendenti si mescolano alle immagini del territorio. Le tracce della civiltà contadina si confrontano con quelle del passato prossimo e del nostro presente: le vestigia delle borgate montane, le stratificazioni del paesaggio rurale, le fabbriche abbandonate, i ruderi dell’abusivismo edilizio. E’ il volto di un territorio fatto di resti, cicatrici, cimeli che mostrano le distanze e le correlazioni tra civiltà contadina e presente postindustriale.



Dichiarazioni
«Abbiamo avvicinato le persone intervistate in questo lavoro attraverso delle assemblee pubbliche costituendo una rete di contatti relazionali che ci ha concesso di intraprendere un’indagine sul campo e non di archivio, cercando di attualizzare il metodo di Revelli. I testimoni del Progetto Aristeo abitano negli stessi luoghi indagati da Nuto Revelli negli anni ‘70 del secolo scorso, molti sono discendenti diretti dei testimoni de Il mondo dei vinti e de L’anello forte, solo alcuni intervistati sono gli stessi coinvolti da Revelli allora. Abbiamo raccolto queste interviste tra il 2007 e il 2009. Partendo dalle suggestioni dateci dalle registrazioni delle testimonianze raccolte da Revelli e da quelle raccolte da noi nel contemporaneo, abbiamo effettuato una serie di riprese del paesaggio descritto in tutti questi racconti: la provincia di Cuneo, la vicina Provenza e il Torinese. Il tentativo è stato quello di narrare in chiave poetica e cinematografica le storie raccontate dai vecchi e dai nuovi testimoni.
Viste da sé le immagini mappano un territorio, la provincia di Cuneo, ed esemplificano le dinamiche di trasformazione e stratificazione del paesaggio contemporaneo. Esportabili in molti altri contesti italiani, cercano di attualizzare l’intera opera estrapolandola dal concetto di territorio fine a se stesso e chiuso in se stesso. Ecco perché qui si sono privilegiate le categorie di paesaggio e non le zone specifiche, che restano comunque individuabili attraverso l’indice dei territori. Il popolo che manca è un film sull’assenza fisica e spirituale della civiltà contadina. Mostra la cesura delle nostre radici, di conseguenza è anche la nostra assenza contemporanea, noi stessi siamo “popolo che manca”. Le testimonianze raccolte tra i contadini della provincia di Cuneo da Nuto Revelli negli anni ‘70 del secolo passato, raccontano un mondo al confine. Uomini e donne che hanno lasciato la campagna per contribuire all’industrializzazione del nostro paese. Una memoria inconscia, lasciata latitare, cancellata per vergogna, per volontà legittima di progresso. Persone che hanno attraversato due guerre mondiali e il boom economico, nate in un mondo contadino trasformatosi rapidamente in società industrializzata del consumo di massa. Ora, ai discendenti di quegli stessi testimoni, mancano le prospettive. La catena dello sviluppo industriale si è inceppata, la memoria della civiltà contadina è stata rimossa. Eppure anche i testimoni di oggi si può dire che riflettano una civiltà di confine. A distanza di mezzo secolo vivono l’insostenibilità di uno sviluppo senza limiti e cercano altre vie possibili che riescano a superare l’utilitarismo fine a se stesso di una società bulimica, senza futuro e senza passato, sospesa. Per questo l’intreccio di vecchie e nuove testimonianze e la stratificazione temporale dei luoghi, ambiscono a tracciare una visione olistica e futuribile del contesto geografico e sociale. Il loro messaggio assume, dunque, un valore metonimico, evoca le trasformazioni globali attese dalla nostra epoca. Le voci registrate da Revelli parlano una lingua che restituisce un nuovo respiro e può dare risposte inaspettate ai discendenti. I paesaggi sono il volto trasfigurato di quelle testimonianze, i resti, i silenzi, le distanze svuotate. Da qui ripartiamo per contribuire a dare una nuova identità al popolo che manca, oggi, domani» (A. Fenoglio, D. Mometti, www.ilpopolochemanca.it).

Questo film è frutto di un lavoro da noi svolto molto più ampio. Rileggendo Il mondo dei vinti. Testimonianze di vita contadina ci siamo chiesti se sarebbe stato possibile recuperare i materiali digitalizzati delle testimonianze raccolte da Nuto Revelli. Da subito abbiamo pensato di usare questi materiali per rintracciare i discendenti delle persone intervistate. La nostra curiosità nasceva dalla domanda che ci facevamo su cosa fosse successo in quei luoghi negli ultimi quarant’anni. E’ nato così il progetto Aristeo. Prima di realizzare Il popolo che manca avevamo già fatto undici episodi, utilizzando le registrazioni di Nuto Revelli insieme alle nostre riprese dei luoghi in cui le persone intervistate avevano vissuto. Poi abbiamo iniziato a cercare i discendenti delle persone che quelle voci rappresentavano e a intervistarli a loro volta. Fin da subito ci era chiara l’idea di realizzare una serie documentaria che unisse le voci alle immagini. Così sono nati questo film e una serie documentaria composta da altri tre film (Il popolo che manca - Il lavoro, La terra, Le migrazioni). Abbiamo anche realizzato un sito che contenesse l’immensa mole di materiale da noi raccolto e che non ha potuto trovare spazio nel film. Il popolo che manca in realtà siamo tutti noi. Io e Andrea con questo film non pretendiamo di indicare una via d’uscita per una situazione molto difficile, ma speriamo si crei una consapevolezza nello spettatore» (D. Mometti, in “Torino Film Festival 2010, incontro con gli autori de Il popolo che manca, Torino, 30.11.2010, http://cinefestival.blogosfere.it/2010/11/tff-2010-incontro-con-gli-autori-de-il-popolo-che-manca.html).

«Credo che non si possa parlare di un effettivo ritorno verso questi luoghi. Durante i nostri viaggi infatti non ne abbiamo avuto testimonianza, ma credo che possa essere una bellissima possibilità futura. Il più importante insegnamento che ci lasciano le testimonianze raccolte da Nuto Revelli è quello del senso del limite. Questo potrebbe essere un buon punto di partenza per la costruzione di una nuova società civile» (A. Fenoglio, “Torino Film Festival 2010”, incontro con gli autori de Il popolo che manca, Torino, 30.11.2010, http://cinefestival.blogosfere.it/2010/11/tff-2010-incontro-con-gli-autori-de-il-popolo-che-manca.html).

«Mio padre Nuto non era un ricercatore, non era assolutamente questo il suo mestiere. Credo abbia iniziato questa indagine per saldare una sorta di debito nei confronti di un modo che stava prendendo per i capelli prima che annegasse definitivamente. Si trattava di un mondo che aveva conosciuto bene. Potremmo dire che questo debito lui lo avesse contratto in Russia, quando partì per il fronte nel 1942 e fu uno dei pochi a tornare, e successivamente quando decise di aderire al movimento partigiano. Le persone che hanno condiviso con lui queste esperienze erano le stesse appartenenti al mondo rurale che lui intervistava. Diego e Andrea con il loro lavoro hanno rivestito di ossa e carne quelle voci che mio padre aveva raccolto e registrato, hanno dato corporeità a dei fantasmi. Quando mi hanno proposto la loro ricerca mi ha affascinato subito l’idea del confronto tra due memorie: quella dei vinti degli anni settanta e quella dei loro eredi. Ma alla fine è venuto fuori qualcos’altro, la voce di un vuoto. Il popolo che manca rappresenta un cratere che si è aperto lasciando uno spazio vuoto al posto di queste persone. Queste voci ci parlano del fallimento della nostra società moderna. Un altro merito dei registi è stato quello di non rappresentare questa società come un luogo idilliaco: il mondo contadino del passato era tremendo, bastava bagnarsi e prendere freddo per rischiare di morire di polmonite. Era un mondo disumano almeno quanto la società moderna. La Fondazione Nuto Revelli sta facendo un esperimento complementare a questo film: il recupero della borgata di Paralup, nel comune di Rittana, in provincia di Cuneo. Si tratta di quindici baite disabitate da più di cinquant’anni, quindi in una condizione fatiscente e disastrata, che la fondazione cerca di ristrutturare e poi dedicare all’uso abitativo. Questo luogo è uno dei simboli della memoria, infatti qui è nata la prima brigata cuneese del gruppo partigiano Giustizia e Libertà. La nostra sfida è trasformare questa borgata in un luogo di ritorno, in cui si possano riprendere anche le attività rurali di un tempo. E’ un po’ la pazzia che anima questo progetto» (M. Revelli, “Torino Film Festival 2010”, incontro con gli autori de Il popolo che manca, Torino, 30.11.2010, http://cinefestival.blogosfere.it/2010/11/tff-2010-incontro-con-gli-autori-de-il-popolo-che-manca.html).





«Il film è costruito sulle originali testimonianze di contadini e montanari delle valli cuneesi, raccolte e registrare da Nuto Revelli negli anni Settanta e utilizzate poi nei libri Il mondo dei vinti e L’anello forte. Un materiale sonoro preziosissimo quello registrato da Revelli, un importante documento storico accompagnato dalle bellissime immagini che i due registi hanno girato proprio nei luoghi ai quali i racconti si riferiscono. Storie semplici, narrate in dialetto piemontese (tradotto dai sottotitoli), ricordi di vita di persone per la maggior parte nate a fine Ottocento che si sono ritrovate a vivere due guerre mondiali e un secolo ricco di cambiamenti, che nella pellicola sono mescolate con quelle dei loro discendenti ancora oggi cittadini di quelle terre trasformate. Parole a volte pesanti come macigni che sono esaltate dalle inquadrature di un territorio fatto di paesaggi da fiaba, ma anche diresti, cicatrici e cimeli. Storie di esistenze dure come le montagne, faticose e piene di sacrifici, storie di uomini e donne che spesso hanno abbandonato il loro lavoro di contadini per trasferirsi in città e diventare operai. Sullo schermo sfilano un susseguirsi di tracce, vestigia delle borgate montane e stratificazioni del paesaggio rurale che si intrecciano a fabbriche abbandonate, ruderi dell’abusivismo edilizio, capannoni commerciali nati già relitti, mettendo in evidenza le correlazioni tra la civiltà contadina e il presente post-industriale» (F. Cassine, “La Stampa”, 2.12.2010).

«La sezione Italiana.doc del Torino Film Festival 2010 si conferma essere una sezione ricca ed interessante, sia per la varietà dei temi trattati (dalla scuola in Italia, alle condizioni di povertà nel mondo, dal mondo del lavoro al recupero della memoria) sia per la molteplicità delle scelte espressive di ogni singolo autore, qui in realtà, spesso, in coppia. Il popolo che manca di Andrea Fenoglio e Diego Mometti (Premio Speciale della Giuria e Menzione Speciale Premio Ucca Venti Città) è invece una ricerca fatta con grande abilità e stile, un film che sa coniugare le registrazioni di un tempo (quelle fatte al popolo contadino piemontese delle valli da Nuto Revelli negli anni Settanta) con le immagini di oggi. Siamo davanti ad una ricerca non solo formale o stilistica, ma piena di senso e di stimoli. Il film non è solo bello, è anche pieno di spunti per riflettere sull’oggi, per documentarci sul nostro recente passato, ma anche per pensare al futuro» (M. Brondi, http://www.effettonotteonline.com).


Scheda a cura di
Franco Prono


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