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ENCICLOPEDIA DEL CINEMA IN PIEMONTE

Cortometraggi e Documentari



Vite di ballatoio
Italia, 1984, Bvu, 60', Colore


Regia
Daniele Segre

Fotografia
Bruno Adamo

Suono
Lucia Moisio

Montaggio
Roberto Perpignani

Interpreti
Antonio Moretti (Sara), Antonio De Giglio (Paola), Francesco Moretti (Antonella), Mario Gallo (Vanessa), Antonella Usai (Mina), Antonio Linetti (Ursula), Cristina Marangelo (Cristina), Nelson Barboni (Luciano), Mario Simone (Mario), Benito Allori (Benito), Francesco Ruttigliano (Tiziana), Vittorio Trevisan (Vitti), Antonina Maniscalco (Françoise), Rosaria Nasca (Rosaria), Maria Petrone (Maria)

Direttore di produzione
Mario Alessio

Produzione
Daniele Segre per I Cammelli

Note
Suono in presa diretta;
Il documentario è stato trasmesso con qualche taglio dalla Rai.
Premi: Gabbiano d'oro ad Anteprima per il cinema indipendente di Bellaria 1984.




Sinossi
«Viaggio all'interno del mondo dei travestiti e transessuali dal Sud (Puglia e Campania soprattutto) che si prostituiscono sui marciapiedi di Torino dove vivono in fatiscenti case a ballatoio. Frutto di una ricerca di due anni e mezzo, il film consiste in un passaggio continuo, quasi impercettibile, dal documentario alla finzione e viceversa, all'insegna del rispetto e della delicatezza»  (www.torinofilmfest.org.).




Dichiarazioni
«Fare film è uno stimolo a trovare un equilibrio necessario per andare avanti, altrimenti potrei essere uno di quei tanti ai margini. Mi faccio continuamente delle domande. Cerco di dare continuamente una definizione a me stesso e a quello che cerco io come persona. È un continuo chiedermi delle cose, e attraverso le storie che racconto metto a fuoco anche me stesso. Quando ho girato Ragazzi di Stadio, la scusa era lo stadio, ma io, allora, ero confuso politicamente e l'incontro con questi ragazzi mi permetteva di chiarirmi, di capire delle cose. Lo stesso vale per Vite di Ballatoio, per quanto riguarda la diversità. In quest'ultimo caso era una diversità di transessuali, ma tu - per metafora - considera come per tutti sia difficile realizzarsi e quali prezzi si debbano pagare per essere quello che si vuole essere. I transessuali, per realizzarsi. sono disposti a passare attraverso processi. anche di tipo chirurgico, pesantissimi. Questo mi ha incuriosito molto, ha rappresentato per me la possibilità di scoprire questa dimensione e di fare delle considerazioni sul riuscire a fare ciò che uno ritiene importante per la propria esistenza» (D. Segre, “la Repubblica”, 19.2.1990).





«Segre, già noto per molti documenti di cinema-verità, raggiunge una maturità che è insieme stilistica e morale. Le vite di ballatoio sono quelle di personaggi doppiamente emarginati: immigrati dal Sud e insieme transessuali o travestiti. Sull\\\'argomento, molto cinema-verità internazionale ha offerto in passato opere interessanti, ma non sempre prive di compiacenze, troppo "dentro" o troppo affascinate, o al contrario troppo fredde e scostanti. Lo sguardo di Segre è, per fortuna, di un\\\'ammirevole misura, caldo ma insieme attento a mantenere una certa distanza. I suoi protagonisti sono persone di mezza età, in sostanza dei vinti, privi ormai di quel nevrotico vitalismo [...] o di quei dolorosi ripiegamenti che caratterizzano i più giovani. Per brevi scene di vita quotidiana che lasciano grande spazio alla confessione, al dialogo intimo, alla divagazione e alla fantasticheria, Segre ce li avvicina raccontandocene una fatica di vivere che non è solo loro, in una sottile progressione di approfondimenti che culmina in una bellissima scena finale, il ballo triste tra due transessuali che è anche un\\\'interrogazione sulla sessualità, sul suo mistero e sulle sue incompletezze» (G. Fofi, “Rinascita”, 1.9.1984).
 
«[...] il film entra nelle case di ballatoio del centro di Torino, che oggi ospitano i transessuali, prevalentemente pugliesi, e, messi significativamente tra parentesi da due canzoni che si chiamano Malafemmina e Mister Uomo, la prima cantata dalla calda voce di un travestito, la seconda da Farida e Renato Zero e mimata durante uno spettacolo di cabaret she male che si conclude con uno spogliarello, ci mostra le apprensioni, i timori, le gioie, il lavoro, il banale quotidiano di questa frangia di umanità. L\\\'attenzione del regista è talmente discreta da far pensare che la mdp sia accettata da Sara, Paola, Antonella, come una di loro. Superata l\\\'autorappresentazione, piegato ad esigenze più complesse anche l\\\'exploit d\\\'attore di Ritratto di un piccolo spacciatore, i fili di ogni singola esistenza vanno a comporre un tessuto narrativo che ci introduce senza disagio anche nelle situazioni più lontane, più diverse, come nella splendida sequenza del colloquio sul letto tra un travestito ancora “uomo”, che, pieno di tentazioni ma anche di indecisioni, chiede ad un “operato” notizie sulla sua nuova condizione, fisica e psicologica. Questa narratività, di per se stessa coinvolgente, trova sostanza e irrobustimento in una realtà parzialmente sondata. [...] Cocciuto propugnatore di un cinema in cui crede (“Ho fatto Testadura, ho la testa dura”, ci ha detto), lavoratore instancabile sempre disposto a “rischiare” produttivamente, in futuro Segre ci riserverà, ne siamo certi, altre, forse più gradite sorprese. Le aspettiamo con simpatia. Il cinema italiano ne ha molto bisogno» (P. Vecchi, “Cineforum”, 2.9.1984).
 
«Non è difficile incontrarli: basta girare dopo cena per le strade della Crocetta o in corso Cairoli. Sono i "belli di notte", transessuali e travestiti costretti a prostituirsi per poter vivere o pagarsi la sospirata operazione. A loro è dedicato Vite di ballatoio l\\\'ultimo film di Daniele Segre, presentato nei giorni scorsi a Torino. "Nella nostra città - spiega il regista - dalla fine degli anni \\\'80, sono numerosi i transessuali ed i travestiti immigrati dal sud. Emarginati dalla società e dalle sue leggi vivono in autentici ghetti nelle case a ballatoio del centro storico". E proprio da uno di questi fatiscenti ballatoi inizia il viaggio nel mondo dei transessuali. Un mondo alla disperata ricerca di una impossibile normalità. Discussioni, ricordi. paure e speranze ("ma dopo l\\\'operazione è vero che si può godere come le altre?") affiorano davanti ad una telecamera che scandaglia senza moralismi o morbosità un mondo finora off-limits. Interni di alloggi, ninnoli, bambole, specchi per truccarsi, convivenze più o meno tenere, Marylin Monroe alle pareti, dialetti pugliesi e musica rock: lo sguardo di Segre insegue il quotidiano, la vita di tutti i giorni di chi è costretto a vivere notti "speciali". "Belle o brutte noi siamo una novità, per questo gli uomini ci cercano" spiega un transessuale. "Femmina, tu si na malaffemmina" canta sul balcone un altro. Raccontano i particolari del dopo operazione, quando finalmente ci si sente a posto. C\\\'è anche chi raggiunta la nuova condizione cerca di sfondare nel mondo dello spettacolo, o dello striptease, magari sulle note di Only You. Ma c\\\'è anche chi si preoccupa della vecchia madre malata che vive al sud. Vite di ballatoio segna il ritorno di Segre all\\\'inchiesta, dopo la parentesi di Testadura (il film a soggetto presentato all\\\'ultimo festival di Venezia). Un modo di fare inchiesta legato ad una singolare capacità di mettere a proprio agio i personaggi difficili che di volta in volta si alternano» (R. Moliterni, “il manifesto”, 20.5.1984).
 
«Con Vite di ballatoio Segre ha raggiunto una notevole maturità espressiva. Girato con grande crudezza ma ricco di spunti riflessivi e intelligenti il film è un\\\'analisi compiuta nei ghetti delle nostre città, dove emarginazione e violenza urbana si intrecciano ai problemi di sopravvivenza, anche psicologica. Un fenomeno di costume e di cronaca (senza compiacimenti di "colore") descritto come un viaggio attraverso un mondo popolato da incubi che ci sforziamo spesso di dimenticare» (A. Ghisellini, “Il Resto del Carlino”, 7.8.1984).
 
«Difficile non rimanere sedotti dall\\\'ultimo lavoro di Daniele Segre. [...] Ho parlato anche di seduzione. In primo luogo. l\\\'argomento attiene alla forma stessa del lavoro del regista. C\\\'è un metodo Segre, evidente sin dai primi lavori ma affinato nel corso del tempo e delle numerose produzioni successive. Detto in breve, consiste anch\\\'esso in un paesaggio continuo e quasi impercettibile di campo: dal documentario alla fiction, e viceversa. Assunti non già come momenti successivi per quanto interagenti, ma precisamente come istanze discorsive simultanee, scivolamenti progressivi da un piano all\\\'altro all\\\'interno della medesima sequenza. della medesima inquadratura. Si tratta insomma per Segre di complicare in continuazione l\\\'evidenza del documento con lo spessore della rappresentazione, senza peraltro mai sovrapporre artificialmente la messa in scena alla "naturalità" del reale. Indagini d\\\'ambiente, di costume, di casi umani, di condizioni materiali, i film di Segre più riusciti sono anche viaggi all\\\'interno di un immaginario particolare, avventure della psiche e dell\\\'emozione individuale, proprio perché capaci di operare dall\\\'interno secondo una logica di rispetto dei fatti e dei personaggi, con una scrittura razionale che lascia parlare le cose, cioè le immagini. Per questo, il cinema di Segre non è mai cinema "di commento", moralistico o sociologico. Per questo, dà i suoi risultati migliori quando il metodo è applicato senza scarti, senza la presunzione di voler sovrapporre allo "splendore" del vero la grana grossa di una storia poco lavorata, come è capitato al sincero ma deludente Testadura. Di questo metodo, Vite di ballatoio [...] è l\\\'esito più maturo e piú convincente. Perché formalmente più controllato, grazie anche al contributo di una fotografia poco "televisiva" e molto curata [...]. E, soprattutto, perché più felice nella delicata scelta delle soluzioni espressive, mai banali ma neppure contaminate dal rischio incombente del "pittoresco" e del "morboso". Segre ci dà un ritratto lucido e intenso di un gruppo di travestiti e transessuali immigrati, sradicati dal loro ambiente d\\\'origine, costretti alla prostituzione, protesi alla ricerca di un\\\'identità "impossibile" e di una felicità contingente, costretti a fare i conti con la "normalità" di un\\\'esistenza anomala. Il suo sguardo e freddo e analitico, senza essere cinico o indifferente, anatomizza una situazione, evidenzia la fattualità di un ambiente mettendone in luce i tessuti connettivi, le fibre emotive. le tenioni "fisiche". Racconta frammenti di storie, ricostruisce brani di vissuto, assembla elementi di una rappresentazione, avendo semplicemente l\\\'aria di spiare l\\\'estraneità di un "fenomeno" poco conosciuto, di sorprendere l\\\'evidenza di una cronaca della marginalità più radicale. In ciò aiutato dalle "naturali" (ma non per questo meno sorprendenti) doti di autorappresentazione dei travestiti. Il risultato è un eccellente esempio di cinema della realtà che non può lasciare indifferenti» (A. Barbera, “A qualcuno piace d\\\'Essai”, 13.6.1984).

«Come probabilmente è accaduto ad altri spettatori o critici o studiosi, il mio incontro con il cinema di Segre (e con Segre medesimo) è avvenuto attraverso Vite di ballatoio. Si può qui ricordare che la distribuzione del film era curata dalla società Indigena, alla quale facevano capo altri emergenti degli anni Ottanta: Soldini, Bigoni, Soldi, Rosa. E dunque la circolazione fu soprattutto un\\\'occasione per organizzare, in diverse località italiane, delle piccole rassegne alle quali parteciparono anche i registi di quello che sembrava un possibile ricambio del cinema italiano. [...] Vite di ballatoio, pur rimanendo sostanzialmente atipico (come quasi tutto il lavoro di Segre) nel cinema italiano contemporaneo, persino nelle sue aree di maggior innovazione, è un film esemplare, completo, che postula anche poetiche e modelli forse mai percorsi dai nostri cineasti, o per usare un termine che racchiude maggiormente il senso di quel lavoro, dagli operatori di tutta la comunicazione audiovisiva italiana. [...] In un cinema come quello italiano, che ha giustamente venerato il neorealismo, riferirsi a Segre come l\\\'ultimo seguace del zavattinismo più estremo è una tentazione fin troppo facile. [...] Ma il realismo di Segre non sta tutto in questa eredità nobile. C\\\'è nella progettazione, nella poetica e nello stile delle immagini dedicate ai "ragazzi di stadio", cosi come in quelle dei transessuali di Vite di ballatoio, un cosciente e radicale rivolgimento di alcuni modelli di realismo classico, basato sull\'osservazione/ricostruzione del mondo quasi esclusivamente dall\\\'esterno, con i filtri consueti della drammaturgia consolidata da cento anni di cinema. La ricostruzione (non pedinamento, dunque) di Segre procede invece assieme ai protagonisti e utilizza tutta la drammaturgia naturale dei gruppi di persone che s\\\'incontrano, chiacchierano, progettano slogan per la partita o spettacoli da discoteca, rileggono, assieme al regista,la loro vita quotidiana e finalmente la reinterpretano. Il punto di partenza è un cinema senza macchina da presa, o come scrive polemicamente Goffredo Fofi, un "arrivare al cinema per altre strade che non il cinema". Il punto di arrivo è una sorta di autorappresentazione: i protagonisti come emittenti, più o meno unici, della comunicazione. [...] In Vite di ballatoio, dopo la prima impressione di spontaneità, di vita colta al volo e poco rielaborata, man mano che le immagini, le scene di vita familiare e amicale si susseguono, ci si chiede quali strade abbia cercato il regista per arrivare ad una simile ricostruzione, quale lavoro ci sia stato con i protagonisti per trasformarli in attori, quali strategie abbia messo a punto per evitare una messa in scena piena di trappole melodrammatiche o, all\\\'inverso, puramente documentarie, basate sulla sorpresa e lo scandalo del terna. E, ancora, perché tagliare via del tutto il versante biografico (le storie personali degli attori/personaggi), e quali materiali siano stati sacrificati al montaggio per arrivare ad una simile compattezza, ad un discorso che ha i suoi punti fermi, problematici, non declamati teatralmente, ma recitati in sordina, talvolta persino parodiati come nella scena dei conviventi - lui fortemente mascolinizzato, con i baffi, lei in tenuta da casa, senza parrucca - che pranzano a letto come in certe comiche di Stanlio e 0llio. Si può dire che il tema di Vite di ballatoio - scene di vita quotidiane di una comunità di transessuali che abitano e si prostituiscono nelle vecchie case del centro di Torino - proceda infatti attraverso un meccanismo di oscillazione tra il versante più propriamente ricostruttivo del vissuto quotidiano e delle problematiche continuamente ribadite come centro di ogni discorso (il diventare donna completa attraverso l\\\'intervento chirurgico) e quello dell\\\'immaginario collettivo, della spettacolarizzazione del proprio io che Segre, con grande sensibilità (questa volta da cineasta che parte dal cinema e non viceversa), trasforma negli ingranaggi di trascinamento estetico-simbolico del film, nonché in pezzi di grande suggestione visiva» (G. Olla, in A. Floris, a cura, Daniele Segre - Il cinema con la realtà, Editrice CUEC, Cagliari, 1997).


Scheda a cura di
Franco Prono

Persone / Istituzioni
Daniele Segre
Lucia Moisio


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