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ENCICLOPEDIA DEL CINEMA IN PIEMONTE

Lungometraggi



Corsa in discesa
Italia, 1989, 35mm, 90', Colore

Altri titoli: A. Debt of Honor

Regia
Corrado Franco

Soggetto
Corrado Franco, dal racconto «Debt of Honor» di Cornell Woolrich

Sceneggiatura
Corrado Franco

Fotografia
Luca Bigazzi, Carlo Rainero

Operatore
Primo Dreossi

Musica originale
Adriano Maria Vitali

Suono
Maurizio Grassi

Montaggio
Giorgio Venturoli

Scenografia
Simonetta Carlevaro, Enrica Campi, Alessandro Passarino, Sergio Kucich

Interpreti
Rüdiger Vogler (il rapinatore), Bruno Stori (l'ispettore), Deborah Jones (Jasmine), Patrizia Terreno (la madre), Astrid Raber (la figlia), Francesco Benedetto, Nicola Donaliso, Stefano Faravelli, Enrico Lamendola, Mario Liggi, Michele Di Mauro (poliziotto), Alberto Oliviero (poliziotto), Pietro Guzzo (uomo acqua minerale), Giuseppe Storiano (complice del rapinatore), Giovanni Tormen (barista)

Direttore di produzione
Gigliola Franco

Ispettore di produzione
stripslashes(Alberto Negro)

Produzione
Corrado Franco Sherpa Film

Distribuzione
Medusa

Note
Pellicola: Kodak Eastmancolor; colore: Luciano Vittori; assistenti operatori: Napoleone Carbotta, Massimo Gi­voletti, Fabio Dreossi; fotografo di scena: Serena Mestrallet; canzone A Man Rolling Down the Street eseguita dagli Indifferenti; montaggio del suono: Barbara Sella; altri interpreti: Renato Liprandi, Massimo Lupotti, Valter Malosti, Paolo Mar­chese, Antonio Mazzara, Riccardo Montanaro, Massimo Trafori; collaborazione alla produzione: ReteItalia.
 
Film realizzato con il contributo del Ministero Turismo e Spettacolo.
 
Locations: Brignone, Pralormo, To­rino (Aeroclub).




Sinossi
La figlioletta di un poli­ziotto, mentre gioca dentro l'auto del padre, ne sblocca il freno. La macchina, parcheggiata in una stra­da in discesa, comincia una folle corsa che si conclude nel lago. Per la piccola sarebbe morte certa se un uomo, con grande coraggio, non si precipitasse a salvarla. II salvatore è però un pericoloso rapinatore, che chiede al padre della bambina di es­sere "ospitato" in casa sua, certo che per lui quello sarà il luogo più sicuro per nascondersi. Chi lo andrà a cercare nell'abitazione di un poli­ziotto? Costui non ha il coraggio di rifiutargli l'ospitalità, e non la rifiuta alla sua giovane amante. In breve, fra i tre s'instaura un rapporto ambi­guo che mette in crisi tutte le cer­tezze del poliziotto, che finisce per diventare lui il vero prigioniero. La situazione trova soluzione soltanto quando il rapinatore tenta di rag­giungere l'aeroporto per fuggire...




Dichiarazioni
«Prima ho costituito una società di produzione, la Sherpa Film, poi mi sono guardato intorno per trovare una fonte di finanziamento.                Ho avuto la fortuna di poter avvalermi dell'articolo 28 e, inoltre, quando ho proposto la sceneggiatura a ReteItalia, questa è stata subito accettata. ReteItalia ha preacquistato i diritti di antenna e ciò mi ha dato una disponibilità finanziaria molto maggiore. ReteItalia mi ha lasciato un’autonomia assoluta. Nei miei confronti si è comportata splendidamente. Visto che di Corsa in discesa sono oltre che regista anche produttore, non ho dovuto subire alcun tipo di imposizione. Anzi. Quando mi serviva più tempo per finire il montaggio, l'ho avuto e nessuno mi ha fatto fretta. Mi sono stati perfino dati dei soldi - anche se pochi – in più» (C. Franco, Comunicato stampa del 7° Festival Internazionale Cinema Giovani, 1989).

«Nella vita di ognuno di noi c'è in agguato la tragedia, come ben sapevano i greci dell'antichità e come, purtroppo sempre più spesso, sperimentiamo noi moderni.
“Io ti ho dato una vita, e ora ne voglio una in cambio: la mia”, dice il criminale al giovane poliziotto. E come nella tragedia dell'Alcesti di Euripide (citata in didascalia all'inizio del film), anche qui si tratta di una gioia (la figlia salvata) che comporta una pena (il ricatto del criminale). “Non si può accettare l'una senza l'altra...”, sentenzia il criminale. E in un'emblematica partita a scacchi: “'Importante è stare al gioco”, vince chi sta al gioco. Il gioco è l'accettazione della vita, anche se è un gioco tragico nel quale le parti possono essere ribaltate. E infatti il poliziotto vive progressivamente, di fronte agli eventi che si compiono e si accavallano, il ribaltamento del proprio modo di essere e di pensare, ritrovandosi simile al suo antagonista. L'impatto con l'illecito, ovviamente, non è senza traumi e comporta un dannatissimo momento della verità, cui lo guida cinicamente il suo indesiderato compagno. Ma tutto si compie nonostante tutto. Perché questa è la tragedia, quando ti colpisce. Dal travaglio, tuttavia, si può anche uscire arricchiti. Il poliziotto infatti nel finale non segue più ciò che “dovrebbe” fare, ma solo ciò che la coscienza gli suggerisce» (C. Franco, www.torinofilmfest.org).

«In particolare ho cercato di staccare il poliziotto dal cliché tradizionale dell'uomo virile e pronto a tutto, propostoci da sempre da film e telefilm americani e nostrani. Nel mio film è solo un essere umano, un giovane con tutta la sua fragilità, macerato dal suo debito di gratitudine nei confronti del criminale, dagli eventi che lo travolgono e lo stravolgono. Ho raccontato una situazione limite, nella quale ciascuno di noi può diventare altro da sé. II poliziotto, non più depositario dei valori della legalità e della giustizia, si avvicina di più alla psicologia del criminale. Del resto, un attore come Rudiger Vogler, che ho scelto come interprete del ricercato, arricchisce di spessore il personaggio, che è violento e inquietante, ma anche uno in grado di considerazioni etiche e morali, con grandi consapevolezze sulla tragicità del destino dell'uomo» (C. Franco, “la Repubblica”, 16.5.1990).






«Corrado Franco, dopo lun­ga gestazione, riesce a produrre e dirigere il suo primo lungometrag­gio, prendendo a pretesto un bel giallo di Cornell Woolrìch. Le sue intenzioni sono naturalmente ben altre (lo studio della contorta psicologia di tre personaggi completa­mente diversi fra loro e costretti a forzata convivenza). Paradossal­mente, però, il meglio del film resta nell'atmosfera "noir" suggerita dal romanzo e nel finale, che è un di­screto pezzo di cinema» (R. Poppi, Dizionario del cinema italiano. I film dal 1980 al 1989. Vol. 5, Tomo 1, A-L, Gremese, Roma, 2000).
 
«Risate beffarde, fischi, grida insofferenti hanno invece accolto alla prima proiezione Corsa in discesa di Corrado Franco, il film italiano presentato in concorso, e nel buio della sera si consuma il momento più brutto d'un giovane cineasta. […] Il dramma df coscienza del poliziotto diviso tra dovere professionale e dovere umano di gratitudine, il confronto tra l'uomo d'ordine che cede al ricatto degli affetti e il portatore di disordine che alla fine muore, sono quasi sempre chiusi nelle stanze della casa borghese del poliziotto: tutto è affidato alla tensione, al clima. Necessaria quindi un'alta bravura narrativa e interpretativa, cui risultano inadeguati Bruno Stori che recita il poliziotto, Debbie Jones che è la ragazza del criminale, gli attori secondari goffi, in parte anche il regista: nell'affrontare il compito arduo posto da film del genere, che o sono perfetti o diventano ridicoli, Corrado Franco ha forse misurato male le proprie forze produttive, presunto troppo di sé» (L. Tornabuoni, “La Stampa”, 13.11.1989).
 
«Ci sono molti modi per accostarsi a un film come Corsa in discesa del torinese Corrado Franco […] Il primo consiste nel lasciarsi fuorviare dalle palesi debolezze del testo, dalla recitazione dilettantesca di parte dei protagonisti (ma Rudiger Vogler, attore-feticcio di provenienza wendersiana è, come sempre, grande), dai dialoghi inadeguati, benché riscritti (e ridoppiati). È quanto successo in occasione della sua presentazione al Festival Cinema Giovani, dove il film fu ingenerosamente accolto o, per meglio dire, clamorosamente frainteso da un pubblico maldisposto. Il secondo consiste nel trattarlo con l'abituale condiscendenza e la paternalistica indulgenza riservata ai prodotti del giovane cinema italiano, che è un altro modo per rifiutarsi di comprendere e di apprezzarne le qualità specifiche. Il terzo consiste nel non oscurarne i difetti, sapendo però metterne in evidenza le ragioni e i meriti intrinsechi. I quali, nel caso del film in questione, sono più d'uno: a cominciare dalla scelta del soggetto, un “noir” ispirato (ma solo per lo spunto iniziale) ad un racconto di quel Cornell Woolrich che a suo tempo aveva attirato le attenzioni di Truffaut e Hitchcock. Ed è già un merito scegliere di misurarsi - rifiutando i binari obbligati della commedia o dell'autobiografia che orientano i percorsi della maggior parte degli esordienti italiani - con un genere estraneo alla tradizione nostrana. E c'è poi il discorso sul trattamento cui sottopone Franco la sua materia, tutt'altro che banale e scontato. […] Ad un'idea di cinema “massimalista” come quella perseguita da Corrado Franco, si possono rimproverare le incertezze da esordiente e l'incapacità di reggere sino in fondo il gioco. Non gli si può però negare il riconoscimento di un talento che, messo in difficoltà dalle vicissitudini che hanno accompagnato la lavorazione del film, mantiene le promesse implicite nei primi lavori che lo aveano fatto apprezzare, dal lungo rivelatore Superotto Al riparo da sguardi indiscreti, al corto finto-documentario L'ultima corsa, già un “noir” a suspense» (A. Barbera, “TorinoSette - La Stampa”, 1989).
 
«L’inizio, in due atti, è folgorante. Atto primo: una bimba si allontana dai genitori, sale su un'auto posteggiata in discesa, disinnesca la marcia e scivola giù per i tornanti della collina, andando a inabissarsi in un fiume. Proprio come il “maggiolone” di Wim Wenders nel mitico inizio di Nel corso del tempo. Subito dopo arriva Rudiger Vogler, cche nel film di Wenders era il protagonista, salva la bimba e la consegna al padre che sopraggiunge trafelato. Atto secondo: tre rapinatori armati assaltano una banca. Pistole e mitragliette in primo piano, neppure una parola. E l'inquadratura tagliata in modo da escludere il volto dei rapinatori, come nel bellissimo L’argent di Robert Bresson. In pochi minuti Corrado Franco […] getta sul tavolo le credenziali teorico-cinefile a cui è ispirato il suo Corsa in discesa: un noir scarnificato e raggelato, tratto da un racconto di Cornell Woolrich e intriso delle ombre e delle ambiguità tanto care allo scrittore americano amato da Hitchcock e Truffaut. […] Tra Wenders e Breeson, ma con un dichiarato debito ritmico-visuale nei confronti di certo Godard, Corsa in discesa trae spunto da una bella idea narrativa: uno del rapinatori (che è, appunto, Rudiger Vogler) si rifugia con la sua ragazza a casa del giovane commissario di polizia a cui aveva salvato la figlia. […] Franco racconta con un linguaggio scarno e raffinato, sa usare con maestria i dettagli e gli spazi e soprattutto ha un respiro narrativo del tutto diverse da quello - ovvio e prevedibile - della maggior parte del cinema italiano corrente. Poco per volta ci rinchiude nella claustrofobia triangolare delimitata dai percorsi affettivi ed emotivi dei suoi personaggi. E mette in scena l'amara fenomenologia di uomini-insetti alle prese con la forma moderna del tragico» (G. Canova, “la Repubblica”, 24.5.1990).
 
«Autori come Truffaut e Hitchcock, che Franco ama “per le atmosfere di grande tensione e di angoscia opprimente, per la messa in discussione di valori etici consolidati, per la  capacità di sfumare i confini tra il Bene e il Male”. Franco ha usato Woolrich per usci re in modo netto e vivace dai canoni della commedia all'italiana più o meno rivisitata, per esercitarsi nel genere noir con personaggi tutt'altro che di maniera» (M.P. Fusco, “la Repubblica”, 16.5.1990).
 
«Un film-mostro vaga per l'Italia. È di nazionalità italiana ma è un noir. Non è scritto in nessuna legge della repubblica ma è come se questo genere sia proibito, da noi, almeno dal ventennio. Così come i film che trattano di religione, sesso e politica […] Il film-mostro (gonfio di sesso, politica e religione, tra le righe, come ogni noir) si intitola Corsa in discesa […] Lo ha prodotto la Medusa di Berlusconi, lasciando il regista in piena libertà e permettendogli poi alcune modifiche, qualche taglio. un rido piaggio, dopo la criticata anteprima al festival Cinema Giovani di Torino, novembre '89. Rivisto dopo il lifting il film è più asciutto, aspro, ellittico. Per quanto resti a tratti zoppicante come un personaggio Nicholas Ray resta comunque un film fuori schema, al di là della corrente produzione nazionale. Non è poco. […] Il bello c’è. […] Nella scena iniziale horror, del saIvataggio della bambina. Nella scena bressoniana della rapina. Nel rapporto tra poliziotto e ragazza del bandito, con schizofrenie in stile Godard. Nelle zone mode del ménage à trois, la colazione, una bevuta, la partita a scacchi, ma a metà dello scontro. Qui Corrado Franco fa capire di aver masticato e digerito del buon cinema. E di saperlo ricucinare e servire su un tavolo inquietante, che si inabissa» (R. Silvestri, "il manifesto”, 26.5.1990).




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