Il Dvd su cui è pubblicato questo cortometraggio contiene anche i testi poetici piemontesi (e la loro traduzione in italiano) e lo “Story-board strutturale”, cioè la progettazione del video tramite colori e segni pittorici che visualizzano il ritmo, le linee di forza e la dinamica delle inquadrature e delle sequenze.
«La finalità di questo lavoro è “far vedere il piemontese”.
Da un consistente blocco di poesie, scelte da Albina Malerba […] inizio a “ritagliare” brevi frasi, in base a mie sensazioni e a miei ricordi, e a ri-comporle in una nuova successione, abbastanza casuale. Poco per volta, spostando i tasselli come in un puzzle, le parole assumono un nuovo significato e formano una storia fatta di avvenimenti e di luoghi reali che si mescolano con altri di fantasia. Così costruisco il parlato del video, mentre inquadrature e sequenze si visualizzano nella mia mente.
L’idea per il protagonista del video mi nasce osservando un disegno del Duca Emanuele Filiberto di Savoia, rappresentato seduto in atteggiamento pensoso e prende forma l’idea di utilizzare per alcune sequenze il “Caval ‘d Brons” di piazza San Carlo, a Torino, ripreso con la telecamera montata sul braccio di oltre 8 m di lunghezza, in modo da avere immagini dei diversi piani del monumento molto ravvicinate e con un movimento “a spirale”. Nel frattempo, il Teatro Alfa mi mette a disposizione una marionetta con le sembianze del Duca che sarà appositamente animata e fatta recitare sul palco.
Con il linguaggio dei colori e dei segni grafici, progetto, in modo quasi maniacale, tutti i dettagli del filmato, sintetizzando il suo spazio–tempo in una scala lineare.
La mia esperienza nel campo della video-elettronica è iniziata negli anni Settanta e si è, quindi, sviluppata con il segnale analogico che comportava prassi e metodologie di lavorazione assai diverse dal digitale, che è arrivato molto dopo. Bisognava, allora, avere fin dall’inizio le idee chiare sul risultato finale, per evitare, in montaggio - tranne casi estremi - qualsiasi rifacimento che inevitabilmente avrebbe comportato un aumento del numero dei passaggi delle immagini, con conseguente perdita della loro qualità. Così sono nati i miei story-board che da sempre chiamo “strutturali” perché, unendo alla mia pratica artistica le conoscenze tecnologiche, “materializzano” sulla carta la sintesi del filmato, ben prima del suo inizio. Il loro fine, infatti, è la distribuzione ed il dosaggio dei sistemi iconici, verbali, sonori, la durata delle diverse sequenze, la scelta delle pause dove non esiste il parlato, il ritmo dei movimenti, le linee di forza delle singole inquadrature, ecc. Il tutto è disegnato con un preciso codice di colori, su tre registri spaziali riferiti, dall’alto al basso della striscia, rispettivamente alla situazione di luce, alle dinamiche delle immagini, al centro, e, in basso, ai suoni e alle voci.
Le dimensioni dei miei “story” non sono mai piccole, perché mi piace lavorare anche in modo gestuale: quello de “Le paròle, ij pòst, la stòria”, in particolare, è lungo circa 11 metri, per 70 cm di altezza ed è formato da pannelli di carta di un metro cadauno, ciascuno dei quali racchiude all’incirca un minuto di filmato, titoli iniziali e finali esclusi» (D. Rissone, dichiarazione originale).