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ENCICLOPEDIA DEL CINEMA IN PIEMONTE

Lungometraggi



L'ultimo Crodino
Italia, 2009, 35mm, 100', Colore


Regia
Umberto Spinazzola

Soggetto
Pietro Galeotti

Sceneggiatura
Michele Pellegrini, Cisco Cenni, Federico Mazzei

Fotografia
Luciano Federici

Musica originale
Giuseppe Fulcheri

Suono
Remo Ugolinelli

Montaggio
Maria Bisognin

Scenografia
Emanuela Zappacosta

Costumi
Francesca Arcangeli

Trucco
Nadia Ferrari

Aiuto regia
Claudica Bernardini

Interpreti
Ricky Tognazzi (Crodino), Enzo Iacchetti (Giampaolo Pesce, detto Pes), Serena Autieri (Patrizia, moglie di Crodino), Marco Messeri (Maresciallo dei Carabinieri), Dario Vergassola (Callisto), Enzo Provenzano (Nicodemi), Elena Sofia Tognocchi



Produzione
Mauro Berardi, Luigi Musini per Luna Rossa Cinematografica

Distribuzione
Mikado

Note
Questo film è il primo esempio in Italia di naming placement, ossia inserimento di un marchio nel titolo del film.
Ispirata ad una vicenda realmente accaduta, la sceneggiatura del film è basata sulle notizie di cronaca e gli atti processuali. Parrucchiera: Fiorella Novarino
 
Film realizzato con il contributo del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e con la collaborazione di Film Commission Torino Piemonte.
 
 
«[…] la Campari, principale ma non esclusivo sponsor di questo primo caso italiano di brand place­mertt nel titolo di un film, non si è limitata all'investimento fi­nanziario ma ha anche fornito una sapiente consulenza sceno­grafica e logistica per l'allestimento del Bar Italia. Artefice dell'operazione Crodino, inoltre, è la Top Time, un'azienda di comunicazione nata dopo la legalizzazione, nel 2004, del product placement cinematografico, di cui è socio lo stesso Ricky To­gnazzi» (S. Alovisio, in “Segnocinema” n. 157, maggio-giugno 2009).




Sinossi
A Condove, in bassa Val di Susa, due onesti lavoratori – un operaio delle acciaierie (Pes) e un autista di furgoni (soprannominato Crodino) - benvoluti da tutto il paese ma assillati dai debiti, decidono di dare una svolta alla loro vita organizzando un rapimento. Ma siccome non se la sentono di compiere un atto criminale, e visto che non amano la violenza, progettano di trafugare la salma del Presidente onorario di Mediobanca Enrico Cuccia - sepolto nel cimitero di Meina - e di chiedere il riscatto alla famiglia. Ma quello che doveva essere un lavoro da "professionisti" si trasforma in un'avventura tragicomica, con impronte lasciate dappertutto e la bara che sbuca dal pickup, troppo piccolo per contenerla. Il piano dei due ingenui criminali per qualche giorno tiene in scacco le forze dell'ordine solo e il cerchio delle indagini si stringerà presto attorno a loro.




Dichiarazioni
«La bassa Val di Susa è sempre stato un luogo molto particolare e forse unico nel panorama delle piccoli valli italiane. La sua storia è molto semplice. Negli anni ’70 la valle è stata deturpata della sua bellezza e del suo fascino da una serie di piccoli e medi insediamenti industriali che lentamente hanno sradicato le origini contadine dei valligiani. Sono sbucate acciaierie, fabbriche e plastifici proprio dove pascolavano vacche e dove si coltivava la frutta. L’impatto ambientale è stato tremendo e come sempre accade in Italia è stato sopratutto sottovalutato. Poi hanno deciso di spedire in valle, al confino, molti pericolosi mafiosi. Dimenticandoli. E in breve tempo la mafia si è impadronita di località turistiche come Bardonecchia facendo il bello e il cattivo tempo e murando personaggi scomodi nelle infinite speculazioni edilizie delle seconde case. Poi hanno costruito un grande autoporto per dare la mazzata finale all’ambiente. Centinaia di TIR transitano ogni giorno inondando la valle di scarichi e scorie. E a proposito di scorie si dice da sempre che sotto terra si nasconda un mare di amianto, fatto abusivamente sparire. Il tutto in una piccola e stretta valle con le montagne schiacciate sui paesini che la incorniciano. Una valle dai lunghi inverni che non passano mai e dai tanti piccoli bar sorti come funghi per offrire un antidoto alla noia di una provincia dimenticata. La scintilla iniziale della nostra storia nasce proprio in un bar quando due onesti e anonimi lavoratori decidono di fare il salto e organizzare un rapimento per dare una svolta alla loro vita e per fuggire da quella valle. […] La loro ingenuità e la loro goffaggine nel gestire questo folle rapimento è assolutamente unica e irresistibile tanto da sembrare, in certi momenti, una sceneggiatura già scritta, pronta per essere girata. E, come non bastasse, il contesto in cui la vicenda si svolge è la bassa Val di Susa. Una valle che negli ultimi tempi è diventata un contenitore di grosse tensioni sociali. Il movimento NO TAV, che da anni si oppone in tutti i modi al progetto dell’alta velocità. Gruppi di anarchici insurrezionalisti che agiscono in valle. Sette misteriose di satanisti che continuano imperterriti le loro particolari pratiche notturne nei cimiteri. La famigerata diossina che secondo molte persone è presente in valle in dosi massicce. Tutti elementi che hanno rischiato di depistare totalmente le indagini sul rapimento ma che ci permettono di scattare una sorta di precisa polaroid su questa piccola e inquieta valle. E sui bizzarri personaggi che da sempre la popolano. Proprio come i nostri due protagonisti che si sono improvvisati rapitori per poi finire sbranati da tutti i mass media e subito etichettati come due poveri imbecilli. Ma dopo averli conosciuti e dopo aver chiacchierato un po’ con “la mente” posso dire che imbecilli non erano. Semmai due grandi ingenui, convinti che rapire la bara di un intoccabile della finanza fosse una semplice passeggiata. Raccontare la loro disarmante ingenuità, le loro mosse, le loro paure è senza dubbio “cinematograficamente” forte. Una storia così folle, così unica nel suo genere, da poter essere trasformata in un film ripercorrendo passo passo la realtà. E’ bastato attenersi ai fatti per costruire la sceneggiatura e non abbiamo mai dovuto forzare personaggi e situazioni, rischiando la caricatura o la macchietta. In molti mi hanno domandato se “è tutto vero” quello che i due combinano durante il furto. Ebbene si. Prima e dopo il furto ne hanno combinate di tutti i colori, dimostrando un’assoluta incapacità a delinquere. E questo, per chi racconta, è un aspetto decisamente forte. Ho cercato uno stile asciutto, senza fronzoli e nel rispetto assoluto del “fatto di cronaca”» (U. Spinazzola, Note di regia, in www.cinemaitaliano.info).
 
«Se fossimo stati negli Usa mi avrebbero offerto seicentomila euro solo per trascorrere un po’ di tempo accanto a Pesce e studiare il personaggio, come fanno Al Pacino e Robert De Niro. In realtà ho guadagnato molto poco, ma io i soldi li faccio con la tv, ed è stata un’esperienza bellissima. Anche se ci dovevamo svegliare all’alba e faceva un freddo terribile: abbiamo dovuto bere e mangiare molto per resistere durante le riprese. E poi per sollevare la bara, anche se era vuota, mi è venuta anche un’ernia del disco. Ma ne è valsa veramente la pena» (E. Iacchetti, in www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplrubriche/cinematv).





«Anche se il film non è speciale, i due protagonisti invecchiati, imbolsiti, rimangono simpatici; ma non è il caso di parlare di “omaggio alla commedia all’italiana”, la cui essenza era la crudeltà, la ferocia» (L. Tornabuoni, “La Stampa”, 20.3.2009).
 
«La stessa costruzione del plot e delle bat­tute viaggia su binari creativi un po' scontati: il tema narrativo dei ladri buoni da strapazzo, poveracci o falliti, che si avventu­rano in un'impresa più grande di loro, discende ovviamente da un'autorevole tradizione della commedia all'italiana che pas­sando da Totò, Peppino e i fuorilegge (citato quasi apertamente nella sequenza dei rumori notturni al cimitero e in quella della lettera), I soliti ignoti e Operazione San Gennaro arriva fino al molto più recente La lingua del Santo (che è quasi una varian­te più estroversa del film di Spinazzola). Decisamente più "regionale", ma altrettanto evidente, è in­vece l'influenza del cinema minimale, onestamente intimista e poeticamente vittimistico, del conterraneo Tavarelli: Iachetti e Tognazzi sembrano quasi i fratelli maggiori delle malinconiche coppie maschili senza uscita di Portarni via e Qui non è il para­diso (in quest'ultimo, per altro era già ben visibile il declino pae­saggistico e culturale della Valsusa). Eppure, nonostante questi limiti di progetto e di sceneggiatura, L'ultimo Crodino è un mo­desto film italiano che si distacca dalla medietà compiaciuta e disonesta di altre produzioni coeve. C'è nella sua partitura sce­nica un'idea, prima di tutto visiva, di disfacimento e fallimento che unisce con desolata coerenza i corpi invecchiati e ingrassa­ti di Tognazzi e Iachetti (bravissimo) al grigiore dei muri, delle piazze e delle stradine deserte, e più in generale al paesaggio li­vido e sporco della Valsusa d'inverno, fotografato con una luce sporca e terrea e con uno spettro ridotto di colori spenti da Lu­ciano Federici. La reiterata veduta panoramica sulla valle, che coglie la totalità di uno spazio chiuso e stretto tra le montagne, invece di valorizzare la sua storica funzione di passaggio e scam­bio, scandisce come un inaggirabile segno d'interpunzione la messa in scena di un'ineluttabile disfatta biografica e ambien­tale che non a caso si confronta apertamente con la morte. Ciò che colpisce positivamente in questo confronto, è la li­quidazione di ogni remora perbenista, di ogni possibile prudenza etica, coerente conseguenza di questa disfatta. Il naming place­ment più incisivo del film non è allora il Crodino, ma Enrico Cuc­cia, già nominato e ben visibile addirittura prima del titolo del film (e del brand), e il vero product placernent è la sua bara» (S. Alovisio, in “Segnocinema” n. 157, maggio-giugno 2009).
 
«Il meccanismo narrativo con­fezionato da Spinazzola e dai suoi sceneggiatori strizza timidamente l'occhio a quello della commedia all'italiana, ma la ricerca di un levigato tono agrodolce smussa spigoli graffianti e possibili sfaccettature di significato, bloccando la rabbia e l'irriverenza di una risata libera­toria destinata a non scoppiare. Tutto rimane cristallizzato in un ingenuo sorriso amaro, figlio di un approccio interpretativo della realtà di stampo televisivo E non è un caso giacché gli schermi televisivi, lungi dall'essere sem­plici elementi diegetici che pun­teggiano gli eventi, rappresentano il riferimento culturale dominan­te, l'orizzonte di senso dentro cui galleggiano i personaggi, e disciplinano profondamente il linguag­gio filmico. Nella chiarezza lam­pante del racconto e nella lineari­tà delle strategie comunicative, nella leggera costruzione delle psicologie e nella rinuncia allo specifico cinematografico per ottenere la semplicità, L'ultimo crodino si rivela per ciò che è: un film televisivo fondato sull'illusio­ne che una storia si possa raccon­tare da sola. La fantasia della realtà supera l'inventiva della fin­zione. Ma ladri e cineasti non ci si può improvvisare, e per mettere a segno anche il colpo più facile occorre un buon piano studiato a tavolino nei minimi dettagli» (S. Borgo, in “Duel” n. 51, aprile 2009).

«Successe davvero, nel marzo 2001, che venisse misteriosamente trafugata dal cimitero di Meina in provincia di Novara la salma di Enrico Cuccia, il mitico banchiere da poco deceduto novantatreenne. Da quella storia, dalla grottesca sproporzione tra il misero piano dei "rapitori" e l' allarme che creò, carico di sospetti indirizzati su qualsiasi "pista", proviene il film. Se fosse più corale sarebbe un soggetto monicelliano, se fosse più amaro potrebbe essere un film di John Huston o di Clint Eastwood. Non è sbagliato chiamare in causa lo spirito a noi più vicino dei personaggi e delle situazioni cari a Carlo Mazzacurati. La vicenda dei due spiantati "Crodino" (Tognazzi) e "Pes" (Iacchetti) è picaresca con leggerezza, con una vena malinconica rispettabile» (P. D’Agostini, “la Repubblica”, 21.3.2009).

 «Banche cattive in The International e salme di banchieri "in cattività" ne L’ultimo Crodino di Umberto Spinazzola, tragicomica vicenda ispirata a un fatto vero, qui utilizzato troppo pretestuosamente. Ricky Tognazzi è il tabagista Crodino ed Enzo Iacchetti l'ingenuo ai limiti dell'idiozia Pes. Doveva essere un esempio di product placement ma il problema è che non sono riusciti né a piazzare davvero il prodotto né a dare vera vita al film. Tognazzi e Iacchetti sembrano in gita aziendale e non ricordano minimamente due personaggi per cui poter provare un pizzico di emozione. Meglio i duetti tra il carabiniere Marco Messeri e l'agente di Stato del bravissimo Enzo Provenzano, che ha la gastrite “dai tempi di Ustica”. Te lo bevi tutto d'un fiato. Ma è un analcolico blando che fa annoiare il mondo» (F. Alò, “Il Messaggero”, 20.3.2009).
 
«Il film di Umberto Spinazzola è piccolo, semplice come un lungo reportage di una tv regionale e vive della bravura e simpatia dell'affiatata coppia Iacchetti e Ricky Tognazzi, che suppliscono con speciale malinconia alla povertà stilistica di un'opera in cui si raccontano fatti e misfatti ma senza alcuna passione e senza destare alcun interesse, sorvolando solo una cronaca grottesca» (M. Porro, "Corriere della Sera", 20.3.2009).
 
«”Il produttore e il distributore hanno mandato allo sbando il mio film con Ricky Tognazzi, disinteressandosi completamente del suo destino e facendo poca e cattiva pubblicità. In molti pensavano che fosse uno spot o un film demenziale […]. Enzo Iacchetti ha attaccato Luna Rossa Cinematografica e Mikado, casa produttrice e distributore del suo film L’ultimo crodino. L’attore si è detto amareggiato per l’esito del film […]. Secondo il popolare comico tv sarebbe stato sufficiente selezionare le sale per “permettere al film di andare avanti con le sue gambe anche grazie al passaparola. Questo – ha aggiunto – sta avvenendo in Piemonte, terra in cui si svolge la storia, dove continua ad essere programmato con successo” » (D. Cavalla, “La Stampa – Torino7”, 25.6.2009).




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