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ENCICLOPEDIA DEL CINEMA IN PIEMONTE

Lungometraggi



Imago mortis
Spagna/Italia/Irlanda, 2008, 35mm, 109', Colore


Regia
Stefano Bessoni

Soggetto
Stefano Bessoni, Piero Tomaselli, Giulia Graglia, Filippo Meneghetti, Giovanni Antonio Marchesi

Sceneggiatura
Stefano Bessoni, Luis Alejandro Berdejo

Fotografia
Arnaldo Catinari

Suono
Alessandro Zanon

Montaggio
Raimondo Aiello, Consuelo Catucci

Effetti speciali
Luigo Ottolino, Leonardo Cruciano

Scenografia
Briseide Siciliano

Arredamento
Sabrina Coppolecchia

Costumi
Alessandra Torella

Trucco
Alessandro Bertolazzi

Interpreti
Alberto Amarilla (Bruno), Oona Chaplin (Arianna), Leticia Dolera (Leilou), Geraldine Chaplin (contessa Orsini), Álex Angulo (Gustav Olinski detto Caligari), Francesco Carnelutti (Ermete Astolfi), Silvia De Santis (Elena), Francesco Martino (Richard), Kenji Kohashi (Ozu), Jun Ichikawa II (Achi), Paolo De Vita (Orfeo), Matteo Danese (Matteo), Franco Pistoni (Girolamo Fumagalli), Anna Cuculo (signorina Niccolodi), Lorenzo Pedrotti (Sebastiano)

Casting
Michela Forbicioni, Carol L. Dudley

Direttore di produzione
Francesco Beltrame

Produttore esecutivo
Javier Ugarte

Produzione
Sonia Raule per Industrial Illusions Distribution, Pixstar, Alvaro Augustin per Telecinco Cinema

Distribuzione
Medusa Film

Note
Collaborazione alla sceneggiatura: Marcello Paolillo, Giulia Blasi, Richard Stanley; assistente al montaggio: Gianni Vezzosi; assistente scenografo: Fabrizio Serralunga; assistente costumista: Debora Pagano; assistente arredatrice: Manuela Zappacosta; supervisore effetti speciali visivi: Bruno Albi Marini; parrucchiere: Massimiliano Gelo; effetti speciali di makeup: Leonardo Cruciano, Luigi Ottolino; assistente alla regia: Simona Cagnasso, Silvia Chicoli; altri interpreti: Gioele Calorio (Gunter), Alessia Cardella (June), Fabiola Palmas (ragazza melagrana); stunt: Stefano Maria Mioni; segretario di produzione: Danilo Goglio; coordinatrice di produzione: Patrizia Roletti; organizzatore generale: Stefano Benappi; segretaria di edizione: Michela Bozzini; location manager: Andrea tafani; produttore associato: Matteo Danese.
 
Film realizzato con il sostegno di Ministero per i Beni e le Attività Culturali e Film Commission Torino Piemonte.
 
Locations: Torino (Lumiq Studios, ex Istituto Riposo Vecchiaia in corso Unione Sovietica).




Sinossi
Nella seconda metà del XVII secolo lo scienziato Girolamo Fumagalli tentò un audace quanto orribile esperimento che denominò Thanatografia. Si trattava di estirpare i bulbi oculari di una persona nello stesso momento in cui moriva per fissarne su una lastra fotografica, mediante una macchina da lui creata, l'ultima immagine impressa sulla retina. Nella scuola internazionale di cinema Murnau lo studente spagnolo Bruno sta affrontando le prove di fine anno di corso. Ad assegnarle è il temibile professor Olinski, soprannominato Caligari. Orfano di entrambi i genitori, per poter affrontare la costosa retta dell'istituto Bruno lavora di notte presso l'archivio scolastico, ove comincia ad avere quelle che ritiene essere delle allucinazioni, senza riuscire più a distinguere ciò che è reale da ciò che non lo è.




Dichiarazioni
«Imago mortis nasce dal desiderio di costruire una favola nera incentrata sull’ossessione per le immagini, una fiaba gotica popolata di spettri terribili, di ragazzi indifesi che cercano di sfuggire ad un gioco sanguinario […]. È un film sulle immagini e sul loro utilizzo come strumento per fermare il tempo e vincere, seppure in maniera effimera, la morte. […] Qualche anno fa, quando ancora la produzione del film era in alto mare, vidi per la prima volta Torino e subito ne rimasi affascinato, o forse, per meglio dire, stregato. Passeggiavo per le strade e per i vicoli bui completamente ammaliato dalle architetture sinistre, maestosamente decadenti e segnate dalla fuliggine di secoli di misteri e di storia, scoprivo a poco a poco la città che più si avvicinava ai posti del mio immaginario. Ero stato a Praga, a Parigi e mai avrei pensato di trovare qui da noi un luogo così magico, macabro, elegante ed evocativo come Torino. Certo, avevo visto la città nei film, nelle fotografie, ma quando l’occhio si appropria direttamente di un luogo avviene qualcosa di prodigioso, e a volte quel posto ti riconosce, ti risponde, ti cattura, trasformandoti in una sua creatura, in un suo abitante. Come non dimenticare la prima visita al Nautilus di via Bellezza, la bottega di curiosità e stranezze dove puoi acquistare antichi strumenti chirurgici, mostri sotto formalina, o strambi reperti patologici. E come non rimanere ammaliati dal museo anatomico e dalla vecchia sala settoria, o dagli spazi in cui teorizzava le basi della criminologia Cesare Lombroso, o ancora, la moderna arca di Noè del museo di scienze naturali, le mummie del Museo Egizio e la Mole Antonelliana, cimitero monumentale del mio mezzo espressivo prediletto: il cinema. Il mio cinema è fatto di tutto questo e trovare in un solo luogo tante tracce delle mie passioni non poteva che portarmi a girarci il mio primo film» (S. Bessoni, “La Stampa - Torino7”, 16.1.2009).
 
«Negli anni Cinquanta e Sessanta abbiamo avuto veri e propri pionieri nel campo del fantastico e dell'horror, basti pensare ad un Freda o ad un Mario Bava. Negli ultimi anni sembra finito tutto. E un intero universo di riferimenti e di escursioni nel fantastico è svanito nel nulla. […]  È stato un percorso piuttosto tortuoso, innanzitutto per quanto riguarda la sceneggiatura. Alcuni miei collaboratori, fra i quali il bravissimo Richard Stanley, hanno dato vita a stesure che non mi convincevano, le sentivo lontane dal mio mondo, da quello che volevo davvero raccontare. Poi ho avuto la fortuna di incontrare a Madrid Luis Berdejo… […] mi sono sentito davvero felice nello scoprire che Luis era sulla mia stessa lunghezza d'onda. Condividiamo gli stessi gusti e la medesima impostazione visiva; insomma è scattata subito una sintonia totale che ha fatto sì che in due settimane di lavoro nascesse la sceneggiatura definitiva del film. Delle stesure precedenti non è rimasto praticamente nulla. […] Dire che i film di Del Toro, Balaguerò e gli altri mi abbiano influenzato è dire poco. È un cinema che adoro per la sua capacità di creare storie stratificate, mondi sommersi e incantati dove l'orrore più profondo si alterna alla poesia più sorprendente. Il livello tecnico poi è altissimo: non c'è un movimento di macchina di troppo e la cura nella realizzazione è davvero straordinaria» (S. Bessoni, www.mymovies.it/cinemanews/2009).
 
«Mi ha appassionato la storia che ave­va a che fare con un problema che ci riguarda tutti: fotografare la morte, l'istante del passaggio, del salto dell'ani­ma nel momento in cui abbandona il corpo. Anche mio padre era ossessiona­to dal desiderio di fermare l'attimo es­senziale. Lui ripeteva la scena migliaia di volte fino a quando l'obiettivo non co­glieva la ripresa vera […] Ero emozionatissima e terrorizzata al­l'idea di bloccarmi dovendo parlare con mia figlia Oona in una scena. Così mi rivolgevo ad Amarilla per non confondermi. A un tratto, non potendone fare a meno, mi sono girata e l'ho guardata negli occhi. In quel momento avevo davanti il perso­naggio non Oona. Questo per dire che è un'ottima attrice. […] Non credo nei fantasmi e, sfortunatamente, non credo in Dio. Non credo in molte cose e oggi non cre­do neppure negli esseri umani; sono or­ribili e faccio fatica ad accettarlo ma penso che la radice di tutto sia l'ingiu­stizia sociale che poi porta inevitabil­mente all'odio. Mio padre su questo problema forse avrebbe fatto un film: Tempi moderni. Ma essendo un inguari­bile ottimista avrebbe trovato una paro­la di speranza come fece nel Grande dit­tatore facendo dire al suo Hitler "La lu­ce sta filtrando"» (G. Chaplin, “La Stampa”, 18.1.2009).





«Spettri terribili, fantasmi inquietanti, ombre che appaiono e scompaiono facendo paura, in un luogo senza tempo e senza nome dove le immagini contano più delle parole e il brivido corre lungo la schiena facendo trattenere il fiato. Perfetta, dunque, in questo senso, l’accoppiata Geraldine e Oona Chaplin. Perché lei, Geraldine, che della madre Oona O’ Neill ha la grazia e del padre la leggerezza da segno grafico, ha sempre mostrato sullo schermo l’irrealtà di un corpo nel quale non si avverte il peso e la consistenza della carne. E l’altra, Oona, la figlia nata dal suo matrimonio con l’operatore madrileno Patricio Castilla, ha uno sguardo misterioso, con il bianco della cornea che corre sotto l’iride, in un volto antico uscito da un quadro del Seicento spagnolo. […] Ma, anche se Oona, poco più che ventenne, ha già al suo attivo una decina di ruoli soprattutto teatrali e il confronto con la madre può servirle da stimolo, la vera diva di questo nuovo film di orrore fiabesco che ancora una volta vede Torino sullo sfondo è Geraldine, che in quaranta e più ani di carriera non ha mai smesso di recitare con nomi illustri e esordienti ignoti, in ruoli grandi e piccole partecipazioni, accettando ogni proposta come una occasione per studiare di più e approfondire il mestiere, secondo l’insegnamento del suo severissimo padre Charlie Chaplin» (S. Robiony, “La Stampa – TorinoSette”, 11.1.2008).
 
«Storia di immagini rubate alla morte, Imago mortis mescola atmosfere da favola gotica a elementi narrativi tipici delle ghost stories. Il regista Stefano Bessoni, in coppia con lo sceneggiatore spagnolo Luis Berdejo, non confeziona però uno sterile omaggio al cinema "di genere": il suo è un horror in senso viscerale, nel confrontarsi con la vacuità della morte, vero e proprio nucleo a cui si condensano paure e reazioni, solitudini ed emozioni. […]  Nel mettere in scena il sogno registico, di cogliere la "morte al lavoro", Imago mortis sembra sollevare alcune domande sull'ontologia del cinema: è il frutto di uno sguardo ormai spento e reciso? Oppure è uno strumento per far sopravvivere quello sguardo oltre la sua stessa fenomenica fine, riaccendendolo e permettendogli di trovare un nuovo senso grazie all'interazione costruttiva con l'occhio di un'alterità?» (S. Borgo, "Duellanti" n. 49, febbraio 2009).
 
«Lezioni di horror classico. Bessoni, quarantenne di talento, si inventa, nella Spagna piovosa, la "scuola Murnau", dove i professori insegnano che per una bella immagine si può uccidere. Fra tristi fantasmi, a occhi sbarrati, come l’Alex di Kubrick, carnefici e vittime cercano di fissare l'attimo che segna la fine della vita» (C. Carabba, “Corriere della Sera Magazine, 29.1.2009)

«Catturare la morte, congelarla. È l'ossessione di Bruno (Alberto Amarilla), catalogo vivente di ossessioni da horror ispanico, da Del Toro a Balaguerò. È il tarlo del corpo insegnante dell'istituto Murnau, capeggiato dal sinistro professor Gustav Olinski, detto Caligari per la sua formazione espressionista, e dalla contessa Lucia Orsini (Geraldine Chaplin), proprietaria della scuola per registi. Ma è anche compendio di uno sguardo sul cinema e del potere delle immagini, che trova in Imago Mortis funebri riverberi dei Freda e Bava 50/60. Nelle mani di un film-maker meno abile avrebbe fatto acqua; Stefano Bessoni, illustratore romano e appassionato di zoologia, ribalta invece i topos della morte. […] Agli aspiranti registi del Murnau è assegnato un tema a settimana: tempo, morte, paura, destino, verità. Quasi fossero atti di una tragedia in cui, a partire dai protagonisti, il tormento transita nell'inquadratura dell'Arkham ove si compie la mattanza, nei dialoghi e nelle espressioni facciali esagerate e gonfie: di lacrime, gioia e terrore. La caricatura è l'arma di difesa di Bruno e della sua compagna di corso Arianna (Oona Chaplin) contro l'indifferenza di quel microcosmo. Sceneggiato dal prezioso Luis Berdejo, il film è più debitore a 4 mosche di velluto grigio di Argento che a Saint Ange di Laugier. La “ghost story” inattesa omaggia i classici (Golem, Arancia Meccanica) e ha il suo orco nei richiami ottici di Newton. Un modo per scaricare la paura e riscoprire l'esordio di Bessoni, Frammenti di scienze inesatte, mai distribuito» (F. Brunamonti, “il manifesto”, 23.1.2009).
 
«Nel bizzarro Murnau Film Institute accadono cose strane. Uno studente di cinema vede fantasmi, beve assenzio e indaga sul "tanatoscopio", un marchingegno che fotografa nell'iride l'ultima immagine vista. […] Imago mortis ovvero "quer pasticciaccio brutto" (coproduzione ispano-italo-irlandese) scopiazzato dal cinema spagnolo del terrore. Sceneggiatura improbabile, attori improponibili, lunghezza al di là dell'umana sopportazione, citazioni senza senso e zero atmosfera. Si volevano evocare i fantasmi di Amenábar e l'orrore fiabesco di Del Toro e invece si è arrivati dalle parti dell'ultimo Dario Argento. Ridicolo involontario. Altro che "tanatoscopio", questa è la cura Ludovico. È inutile. Non li sappiamo più far» (F. Alò,  “Il Mattino, 16.1.2009).
 
«Usciti dalla sala, ci si stupisce di non essere tornati negli Anni 70 perché il tono del film è proprio quello degli horror di allora. I fatti: a Torino per studiare nella scuola di cinema diretta da Geraldine Chaplin, l' orfano Bruno (Alberto Amarilla) fa amicizia con due ragazze (una è Oona, la nuova generazione Chaplin) ma inizia per lui un terribile periodo di incubi in cui lo insegue uno zombie. E poiché è sempre «l' occhio che uccide» (per dirla con Michael Powell) verrà fuori il segreto, un folle che in passato tentò di riprendere dalla cornea le ultimi visioni di un morituro […] Così la storia si ripete in un film senza scosse, a tappe fisse e prevedibili, autore Stefano Bessoni, che non sfrutta un buon soggetto “metacinema” che gli permette solo alcune citazioni (l' istituto Murnau, i nomi di Ozu e della Nicolodi)» (M. Porro, Corriere della Sera, 16.1.2009).
 
«Le 35 riscritture della sceneggiatura pesano sull'andamento del film e sulla sua logica horror, salvata da un'atmosfera da favola nera e cupa, piena di riferimenti al cinema espressionista, ai quadri pre raffaelliti e al gotico tedesco. Bessoni, inoltre è riuscito a portare sullo schermo le Chaplin madre e figlia, che avevano già lavorato insieme, ma qui si ritrovano per caso in un acting a distanza. Geraldine meravigliosa come direttrice della scuola. Così presa in cose esoteriche ed esperimenti visivi estremi» (Dario Zonta, “l'Unità”, 16.1.2009). 200
 
«Stefano Bessoni dirige Imago Mortis, film di genere finalmente girato da un italiano. Non se ne vedevano da tanto tempo di così professionali e tecnicamente validi! La decisione di associarsi a una produzione spagnola è una scelta intelligente e proficua, l’horror spagnolo è ultimamente diventato un punto di riferimento in Europa, e permette al regista italiano di avvalersi di ottimi collaboratori primo fra tutti lo sceneggiatore Luis Alejandro Berdejo, autore tra gli altri, di Rec. Certo non siamo di fronte a un film che recupera o si fonda sulla tradizione horror/fantastica della nostra cinematografia (quella degli anni ’60-’70 per intendersi). È evidente l’influenza che, sul modo di girare, di costruire le inquadrature, di curare la fotografia (anche se a firmarla è l’italiano Arnaldo Catinari), ha avuto il recente stile iberico. […] Ma Imago Mortis […] si propone come un omaggio al cinema, in particolare quello espressionista. […] Il cinema guarda dietro e dentro se stesso (emblematico il continuo smontare e mostrare i pezzi degli strumenti di ripresa, cineprese e macchine fotografiche d’epoca, veri pezzi da collezione), alla ricerca dell’origine, e l’origine è comunque nell’occhio umano. I continui richiami all’importanza dell’immagine, della conservazione immortale dell’ultimo sguardo, vogliono portare su un altro livello interpretativo: se ciò che si vede in punto di morte è ciò che si conserva per l’eternità, allora l’ultimo sguardo montato all’interno di un film sarà testimonianza eterna e ripetibile, e chi ha guardato non morirà mai. Filosofia affascinante e di non facile esplicazione sullo schermo. Bessoni prova a trasmetterla rispettando contemporaneamente i canoni di genere, ma limiti soprattutto di scrittura, dopo un avvio molto ben riuscito, si evidenziano in particolare nella seconda parte, in cui la trama si fa contorta e il colpo di scena sa di posticcio, mentre la storia d’amore tra i due protagonisti trasuda banalità. Imago Mortis è tuttavia un film che può segnare un punto di inizio» (www.close-up.it).




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