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ENCICLOPEDIA DEL CINEMA IN PIEMONTE

Cortometraggi e Documentari



Ritratto di un amico
Italia, 2000, Betacam, 44', Colore


Regia
Gianfranco Barberi

Soggetto
Cesare Viel

Sceneggiatura
Gianfranco Barberi

Fotografia
Luca Periotto, Gianfranco Barberi

Musica originale
Furio Di Castri, Roberto Regis

Montaggio
Giorgio Mari

Interpreti
Cesare Viel, Emanuela De Cecco



Produzione
La Bottega dell'Immagine

Note
Operatore Betacam: Luca Periotto; operatore MiniDV: Gianfranco Barberi; remastering suono: Dynamo Sound Studio; assistente alla regia: Marco Parolo.
All’inizio del film, dopo i titoli di testa, compare la didascalia: “a Cesare”.
 
Il film è stato realizzato con il sostegno della Regione Piemonte.
 
Locations: Torino (via Po, Murazzi, Lungopo, corso Cairoli, piazza della Repubblica, via Orvieto, Aiuola Cavour, via Po, piazza Vittorio Veneto, caffè Elena, Porta Nuova, piazza Carlo Felice, Hotel Roma).
 
I brani letterari citati nel film sono tratti da: Natalia Ginzburg, Le piccole virtù, Edizioni Einaudi; Cesare Pavese, Il mestiere di vivere, Edizioni Einaudi; Sergio Pautasso, Cesare Pavese. Oltre il mito, Edizioni Marietti 1820.
Le sequenze cinematografiche sono tratte dal film Le amiche di Michelangelo Antonioni.




Sinossi
Nel 1999 Cesare Viel progettò una reading-performance consistente nella lettura di alcuni brani di un testo di Natalia Ginzburg dedicati a Cesare Pavese. La lettura avrebbe dovuto avvenire nella stessa stanza dell'hotel torinese dove lo scrittore si era tolto la vita nell'agosto del 1950. La performance non ebbe luogo, a causa di una polemica sollevata sulle pagine del quotidiano “La Stampa” da Lorenzo Mondo il quale accusò addirittura l’artista di essere un "vampiro abusivo".
A un anno di distanza dal progetto, Cesare Viel ha realizzato, insieme al regista Gianfranco Barberi, un film in cui egli stesso prepara la performance all’Hotel Roma e cammina per le strade torinesi care a Pavese.




Dichiarazioni
«Questo film è nato in conseguenza di ciò che è accaduto al progetto di Viel, artista noto nel campo dell’arte contemporanea, il quale aveva in animo di sviluppare un progetto (poi abbandonato): raccontare la vita di quegli scrittori europei del Novecento che per motivi diversi hanno terminato la loro vita in certi luoghi che sono poi diventati dei simboli in qualche modo. Pavese era il primo [...] l’evento doveva svolgersi in questo modo: [...] Viel voleva mettere in scena un testo della Ginzburg, Ritratto di un amico, dandone lettura nella stanza dove Pavese si tolse la vita. [...] La gente avrebbe dovuto affluire poco per volta [...]. Qui Cesare Viel per tutto il giorno avrebbe letto questo ritratto. Viel aveva già fatto locandine, comunicati, quando un giorno aprendo “La Stampa” vide un articolo di Lorenzo Mondo che criticava aspramente la sua iniziativa. [...] A questo punto Viel, il giorno stesso che avrebbe dovuto cominciare la sua performance, si è presentato all’ingresso dell’albergo con dei volantini in cui per correttezza verso il pubblico che si presentava per nulla, spiegava le ragioni per cui questa cosa non si sarebbe fatta, con suo grande rammarico e dolore. [...] A me è parsa all’epoca come una grave sconfitta imposta da un intervento autoritario immeritato. Ho convinto Viel a non buttare via il progetto, ma farlo rientrare da un’altra porta, quella del cinema. [...] Che cosa ha preso corpo nel film a differenza del progetto di Viel? Non c’è solo il testo della Ginzburg, ma rientra il Pavese letterato, traduttore, un personaggio scomodo rispetto ad una certa intellettualità di sinistra dell’epoca. [...] Il lavoro che abbiamo fatto ha il segno della morte però teniamo una speranza aperta: alla fine Viel abbandona sul letto un libro, II mestiere di vivere e [...] facciamo passare il testimone a una donna, la cameriera dell’albergo, la quale si infila il libro in tasca. Mi piace pensare che se lo porterà a casa. Così c’è una speranza aperta, però resta il fatto che noi raccontiamo qualcosa che non c’è stato, e quindi di nuovo un segno di morte. Questo è il senso del film» (G. Barberi, Dichiarazione inedita, luglio 2008).
 
«Il film di Barberi racconta «la preparazione della performance, la particolare esperienza della permanenza nella stanza 346 dell'Hotel Roma, il camminare e il perdersi per la città in alcune strade e lungo il Po alla ricerca di una Torino cara a Pavese e oggi non più esistente, infine l'avventura, personalmente vissuta e subita, della improvvisa e inaspettata censura nei confronti della performance progettata» (C. Viel, www.undo.net/cgi-bin/undo/pressrelease).





«Come mai quello che avrebbe dovuto essere inteso come l'omaggio ad una figura di riferimento, ha suscitato invece un tale disorientamento, tante spaventate resistenze, tante aggressive reazioni? Che questo abbia a che fare con la sempre più radicale emarginazione della morte nella società moderna, con la difficoltà di problematizzarne l'idea, di conciliarsi con essa, sinanche con la sua rappresentazione?» (G. Scardi, www.undo.net/cgi-bin/undo/pressrelease).
 
«La polemica, per certi aspetti grottesca, che si è sviluppata a proposito della performance che Cesare Viel intendeva realizzare a Torino, nella stanza dell'Hotel Roma dove ebbe luogo il suicidio di Cesare Pavese, testimonia anzitutto dello scarto fra i codici propri dell'operazione artistica e la sensibilità comune. Il fatto che ad esprimere piattamente quest'ultima sia stato in realtà uno scrittore (e critico letterario) costituisce solo apparentemente un controsenso. Se Viel avesse scritto un volume od un brano drammatico sul gesto di Pavese, nessuno avrebbe reagito. Il trauma risiede nell'attivazione di un dispositivo non assimilato, in cui presenza e assenza vengono percepiti in maniera ad un tempo diretta (attraverso il luogo, scena reale dell'evento evocato) e mediata (attraverso il testo). Nulla di vampiresco o di "pettegolo" nell'idea di leggere, in quella stanza, un testo, neppur proprio ma di Natalia Ginzburg. Tanto più quando si consideri che le altre stazioni del progetto riguardano Ingeborg Bachmann, Italo Calvino, Roland Barthes, personaggi la cui morte è dipesa da incidente o malattia. La critica che si può rivolgere a Viel è se mai di segno contrario. Di aver tenuto troppo le distanze, di essersi indirizzato esclusivamente sulle dimensioni del lutto e della memoria. Di aver disegnato una cornice troppo letteraria e definita, lontana da quegli slittamenti di senso sui quali imperniano i suoi lavori più importanti» (s.r., www.hozro.it/viel, dicembre 1999).
 
«Cesare Viel è un artista che può essere inserito, come un antesignano, in quella corrente oggi attualissima definita Arte Relazionale (cfr. Nicolas Bourriaud, Esthétique relationnelle, Le presse du réel, Paris 2001). Il suo lavoro, fin dagli esordi nei primi anni '90 a Genova, è incentrato sul rapporto tra l'opera d'arte e il suo fruitore. Molti ancora ricordano quando Viel a Torino nel 1999 aveva tentato di leggere alcune pagine di Natalia Ginzburg dedicate a Cesare Pavese, nella stanza dell'Hotel Roma, dove lo scrittore torinese si era suicidato nell'estate del 1950. Quella performance non fu poi realizzata così come era stata pensata perché sorsero degli ostacoli sollevati, tra l'altro, da alcuni eredi di Pavese. Ci fu però una lettura in strada, davanti all'hotel, con grande partecipazione e coinvolgimento del pubblico» (G. Curto. www.teknemedia.net/pagine-gialle/artisti/cesare_viel).


Scheda a cura di
Franco Prono

Persone / Istituzioni
Gianfranco Barberi


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