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ENCICLOPEDIA DEL CINEMA IN PIEMONTE

Cortometraggi e Documentari



ThyssenKrupp Blues
Italia, 2008, DvCam, 73', Colore


Regia
Pietro Balla, Monica Repetto

Fotografia
Francesca Frigo, Andrea Parena

Suono
Stefano Grosso

Montaggio
Eleonora Cao

Produttore esecutivo
stripslashes(Monica Repetto), Pietro Balla, Giuliana Del Punta, Bruno Restuccia, Enrico Giovannone

Produzione
Deriva Film

Note
Montatore aggiunto: Francesca Vaschetti; con la partecipazione di: Carlo Marrapodi, Melita Giambrone, Mario Marrapodi, Rocco Carniccio, Cekoschi Carniccio, Callisto Fiorenza, Massimiliano Tassone, Salvatore Interdonato; responsabili dello sviluppo: Francesca Boschi, Tiziana De Sanzo; responsabile di produzione in Piemonte: Enrico Giovannone; responsabile di produzione Deriva Film: Francesca Boschi; coproduzione: Esperia Film e BabyDoc Film.
 
Documentario realizzato con il sostegno della Film Commission Torino Piemonte
 
Immagini di repertorio da Anno zero di Michele Santoro, Rai Due
 
Studio di posa: Logout, Torino.
Locations: Torino; Pazzano, Monasterace (Reggio Calabria).




Sinossi
Carlo, 30 anni, è un operaio della ThyssenKrupp Acciai Speciali Terni. Vive e lavora a Torino, dove si è trasferito dal Sud Italia. Nell’aprile del 2007 la dirigenza tedesca della ThyssenKrupp decide di smantellare lo stabilimento di Torino e  l’11 giugno Carlo riceve la lettera che annuncia la cassa integrazione immediata. A nulla valgono le marce di protesta organizzate con i suoi colleghi, l’incontro con il sindaco e i rappresentanti sindacali per impedire che la fabbrica sia chiusa.
Il 4 luglio, mentre la città di Torino è in festa, Carlo invita la sua amica Melita a cena. Durante l’incontro Carlo annuncia a Melita di dover tornare in Calabria, dalla sua famiglia, per riuscire a sopravvivere. Alla sensazione di essere stato usato dai suoi datori di lavoro, si aggiunge la tristezza della rinuncia ad una relazione importante. Inaspettatamente, però, l’azienda rimanda lo smantellamento degli impianti a fine anno richiamando Carlo a lavorare in linea. Per non perdere il diritto alla liquidazione, gli operai fanno turni massacranti e in condizioni di sicurezza precarie, dato che la manutenzione alle macchine è stata sospesa già dalla primavera. Cronaca di una morte annunciata: la notte tra il 5 e il 6 dicembre 2007, alla ThyssenKrupp torinese scoppia l’inferno. Nella linea 5 le fiamme travolgono i sette operai di turno, bruciandoli vivi. Carlo quel giorno aveva fatto il turno pomeridiano. Una telefonata all’alba lo avverte  del disastro. Adesso, gli operai della Thyssen, che prima nessuno ascoltava, vengono sbattuti sulle prime pagine dei giornali e in tv. Lo stabilimento di Torino chiude definitivamente e Carlo, di nuovo senza soldi, torna in Calabria. Il viaggio di ritorno alla terra d’origine si trasforma in una ricerca d’identità e del proprio posto nel mondo. La Calabria, negli incontri e nella natura, si fa terra mitica in cui un uomo fatto a pezzi dalla rabbia, dal dolore e dall’infernale circolo mediatico tenta di ritrovare se stesso.




Dichiarazioni
«Le riprese di questo film sono iniziate nel maggio del 2007. Stavamo cercando i protagonisti per un documentario sulla vita quotidiana di operai. Abbiamo incontrato uomini e donne, spesso senza bandiere, con le loro fragilità, amori e desideri. Diversi dall’immagine compatta di “classe” a cui eravamo abituati. È in questo modo che abbiamo conosciuto Carlo. Mai avremmo immaginato che la morte sarebbe entrata a segnare la sua vita. Thyssenkrupp Blues racconta una società, la nostra, in cui lavorare può voler dire morire. Thyssenkrupp Blues racconta una storia di solitudine e di abbandono che ci riguarda. La dissoluzione della fabbrica di Carlo è avvenuta in situazioni tragiche e ha fatto rumore. La maggior parte di noi silenziosamente e anonimamente è privata di relazioni solidali. Carlo è un giovane uomo che vive nel Nord Italia e lavora sette anni per una delle industrie del settore siderurgico più note al mondo. La sua è la storia di un eroe sconosciuto che lotta ogni giorno per sopravvivere e per conservare integra la sua identità. Volevamo raccontare la drammaticità del suo quotidiano quando d’improvviso quel quotidiano è stato violentato dall’orribile rogo che ha distrutto sette vite, straziato famiglie e compagni di lavoro. La tragedia ha cambiato la vita di Carlo per sempre. Cambiando per sempre anche il nostro film e lasciandoci ancora più soli. Un film così non vogliamo raccontarlo mai più» (P. Balla, M. Repetto, Press Book della Produzione, 2008
  
Cosa hai fatto nel periodo della cassa integrazione?
«Per quattro mesi sono tornato al paese. Lì vivevo a spese di mammà. Come quando avevo 15 anni. […] Ad ottobre i signori della ThyssenKrupp hanno deciso che mi avevano fatto fare la fame abbastanza e mi richiamano. Solo io e altre teste calde siamo rientrati così tardi. In fabbrica ho trovato uno scenario incredibile. Non capivo come quel posto in 4 mesi si fosse trasformato in una stalla. […] Portavano via impianti, treni di laminazione, vere e proprie campate. Con cantieri, con gru esterne. A poche centinaia di metri noi continuavamo a lavorare. Molti miei colleghi avevano trovato un altro lavoro. Io ero diventato un rimpiazzo. Sostituivo un po’ tutti, anche in lavori che non sapevo fare. Per esempio chi lavorava al finimento si ritrovava magari alla laminazione, lavoravamo con un solo capoturno per tutto lo stabilimento. Eravamo la metà di quelli che eravamo prima. […] Ricordo il mese di novembre in questo posto schifoso. Se già di suo era un girone dantesco, adesso era diventato incredibile. Piazzavano la gente nei posti più strani. Mi mandano nel posto più lontano dagli altri operai. Addetto imballo. Il posto dove avevo iniziato, dove mettono quelli che non sanno fare niente. 8 ore al giorno ero solo, non vedevo nessuno. Non c’era un cazzo da imballare. Ma io stupidamente mi spostavo. Io quel giorno 5 dicembre ero andato alla linea 5 a parlare con Toni» (C. Marrapodi, Press Book della Produzione, 2008).





«Monica e Pietro avevano iniziato a seguire Carlo, operaio della ThyssenKrupp, per testimoniare le insufficienti misure di sicurezza della fabbrica, la successiva chiusura dello stabilimento, l’ancora successiva chiamata dell’azienda al lavoro. Perché Carlo ha accettato? per denunciare le ingiustizie, naturalmente. In più, da ragazzo, Carlo aveva sognato di fare l’attore, così che davanti alla camera ci sarebbe stato volentieri, cosa che infatti nel documentario è più che evidente. Poi capita il dramma delle morti, dramma dal quale Carlo si salva per pura fortuna, non essendo di turno al momento dell’incendio. Che fare, a quel punto? buttare tutto il girato nel cestino, così evitando ogni sospetto d’opportunismo, visto che della ThyssenKrupp si è già detto di tutto e di più? oppure proseguire con più entusiasmo, ulteriormente raccontando e documentando? Carlo-Monica-Pietro scelgono questa seconda strada, strada che poi porterà Carlo a tornare disoccupato e sconfitto nel suo paese d’origine, la Calabria. [...] Lo stile fortemente – forse esageratamente – grezzo che il documentario ha ci dimostra che, almeno inconsciamente, il rischio catartico è stato percepito dai due autori, come se avessero inteso sottolineare quanto loro volessero fare denuncia e non cinema festivaliero, cioè al di là di concorsi e consensi e premi. Loro hanno preferito fare piuttosto che non fare, anche se pure il non fare, cioè l’interrompere la loro documentazione, sarebbe stato un (meno visibile) modo di fare. Speriamo con tutto il cuore che abbiano avuto ragione loro» (M. Lombardi, “Il Sole 24 Ore”, 8.9.2008).
 
«Il dolore e la rabbia dell'operaio Thyssen Carlo Marrapodi, raccontati con affetto e pudore da Balla e Repetto, rimandano a un’Italia che sem­bra lontana più di cinquant'anni e invece è oggi, ogni giorno, ora. La fab­brica d'acciaio Thyssen pericolosa come una miniera, la vita di un ope­raio in balia della produttività, l'industria che prende la forma tragica di un campo di concentramento: il lavoratore può essere deportato da uno stabilimento all'altro e la sua vita è un fattore secondario, non deve pen­sare (Marrapodi ci ha raccontato che un capo una volta gli disse: “Ecco, lo vedi qual è il tuo problema: tu pensi!”), può essere sacrificato e se un tubo perde bastano pochi centimetri di scotch per la "sicurezza". […] Balla e Repetto […] riescono a instaurare un rapporto di amicizia con l'intervistato per poi ritrovarsi per caso di fron­te alla tragedia. Sanno raccontare entrambe le fasi della vita dell'opera­io con estremo pudore. Per distinguere il prima dal dopo basta il volto di Marrapodi segnato dal tutto, lo sguardo da arrabbiato a triste, da uomo solitario a solo. Nessun grido delle vittime, nessun ricatto emotivo. […] Nessuna lacrima, nessun pianto (solo in un frammento dei funerali, tratto da Annozero). Anche se, da privilegiati al sicuro, siamo lontani dalla Thyssen, ci assale lo sguardo di dolore di Marrapodi, più efficace delle centinaia di pagine di cronaca sulla strage» (L. Barnabè, “Duellanti” n. 46, ottobre 2008).

«Il film ci racconta quello che è successo prima della tragica notte tra il 5 e il 6 dicembre 2007. Ci dice di una fabbrica in dismissione, delle lotte dei lavoratori per non essere “deportati agli stabilimenti di Terni”. Della messa in mobilità del personale e poi del loro reintegro, per permettere di chiudere la produzione. Tutta materia, però, che allora non faceva notizia... Monica Repetto e Pietro Balla, invece, erano lì da tempo. Curiosi da sempre di temi sociali, la coppia di filmaker indipendenti, stava lavorando a un progetto dedicato alla realtà del lavoro» (G. Gallozzi, “l'Unità”, 4.9.2008).

«Lo splendido documentario ThyssenKrupp Blues, di Pietro Balla e Monica Repetto comincia prima della tragedia. [...] Il doc è diviso in tre: prima parte da cinema in presa diretta con Carlo cassaintegrato pedinato dalla camera; seconda parte riflessiva con Carlo in primo piano che racconta piangendo la tragedia; terza parte di nuovo in diretta con lui che torna in Calabria per ritrovare un senso scavando nelle sue radici. Il film non è un altarino vittimista né un pamphlet politico. È la storia di una persona perbene che non trova posto in questa Italia. L'Italia della ThyssenKrupp» (F. Alò, “Il Messaggero”, 6.9.2008).



Scheda a cura di
Franco Prono

Persone / Istituzioni
Pietro Balla
Monica Repetto
Enrico Giovannone


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