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ENCICLOPEDIA DEL CINEMA IN PIEMONTE

Cortometraggi e Documentari



Vorrei che volo
Italia, 1982, 35mm, 69', Colore


Regia
Ettore Scola

Soggetto
Ettore Scola

Sceneggiatura
Ettore Scola

Fotografia
Claudio Ragona

Montaggio
Raimondo Crociani



Produzione
Unitelefilm

Note
Nulla Osta n. 75398 del 6.9.1980; 1932 metri.
 
Il documentario fa parte della serie “Un autore una città”
 
I testi delle lettere citate sono tratti da Lettere al Sindaco, Edizioni SEI.
 
Nei titoli di testa compare la scritta: “Un film di Ettore Scola, Raimondo Crociani, Ezio Di Monte, Francesco Lazotti, Claudio Ragona, Paola Scola, Giorgio Scotton”.
 
Interventi di: Diego Novelli, Luciano Allais, Pasquale Avvisato, Carlo Bertocchi, Maurizio Cinti, Generoso Di Serio, Giancarlo Granatelli, Alberto Passone, Salvatore Peluso, Mauro Pinto, Beppe Ronza, Pina Triunveri, Alessandro Zanon e la Cooperativa “Educazione Progetto”.




Sinossi
Documentario su Torino dieci anni dopo Trevico-Torino, con la guida di Diego Novelli, sindaco della città.





«Nel suo film inchiesta Scola mette a fuoco il procedere dell'integrazione degli immigrati meridionali a Torino quando ormai, siamo nel 1980, il grande flusso migratorio dei decenni precedenti dal Mezzogiorno si è esaurito: da una parte ci sono gli operai che l'esperienza della fabbrica e l'impegno nelle organizzazioni del movimento operaio ha trasformato a tutti gli effetti in nuovi torinesi, partecipi e responsabili; dall'altra rimangono ampie sacche di marginalità, che producono forme di piccola criminalità o si materializzano nelle figure del drogato, del ragazzo che si prostituisce, della ragazza madre abbandonata a se stessa, del drop out che dorme all'aperto. È sui marginali che Scola soprattutto si sofferma, a partire dai pregiudizi dei vecchi torinesi, che sembrano invariati rispetto agli anni Sessanta, mettendo a confronto le loro esigenze più o meno disperate e le politiche di risanamento che l'amministrazione della città, incarnata nel film dal sindaco Novelli, ha varato o sta varando. L'espediente delle lettere al sindaco dei torinesi consente al regista di legare fra loro ritratti efficacissimi degli immigrati più sfortunati e le dichiarazioni di Novelli, che si assume il compito di creare condizioni perché tutti possano diventare cittadini a pieno titolo della città in cui ormai si svolge e si svolgerà la loro vita. È un ritratto di Torino inusuale quello che emerge dal film di Scola: non è più la città carica di esplosive contraddizioni degli anni Settanta, non è ancora la città in cui si affacceranno, fra l'altro, nuovi immigrati di diversa provenienza. I luoghi e i risvolti della marginalità e anche i problemi materiali che ostacolano l'assunzione di una effettiva cittadinanza sono tuttavia quelli che anche oggi conosciamo e anche, in qualche modo, gli interrogativi che ne derivano; quel che sembra appartenere a un altro tempo è la certezza degli amministratori che la marginalità si può e si deve debellare e l'integrazione di tutti si può perseguire sviluppando forme crescenti di partecipazione e adeguati servizi» (Scheda dell’Archivio Nazionale Cinematografico della Resistenza, 2008).
 
«In evidente connessione con Trevico-Torino, col quale forma un ditti­co omogeneo, questo film si presenta come una forma ibrida, a metà strada tra il documentario e il film a soggetto, una sorta di docufilm, che possiamo inserire nella grande e geniale tradizione inaugurata da Rossellini e Pasolini, dove la struttura documentaristica veniva tempe­rata e felicemente alterata con l'apporto poetico-narrativo del regista, che vi introduceva elementi a soggetto, dando luogo ad una forma espressiva originale. [...] Il titolo deriva dal giovane Massimino, un ragazzo immigrato a Tori­no, che guardando un aereo in cielo, non riesce a contenere il suo grande desiderio e, nel suo italiano approssimativo, esclama con rabbia e speran­za insieme: “Vorrei che volo”. Diego Novelli, che in Trevico-Torino aveva partecipato alla stesura della sceneggiatura, con un suo apporto persona­le e ben documentato, amava ripetere che Torino era “la terza città meri­dionale d'Italia, dopo Napoli e Palermo”. Vorrei che volo è un medio­lungometraggio della durata di 75 minuti e ha una struttura di documen­tario più evidente rispetto al precedente Trevico-Torino, che era più sbi­lanciato verso un apologo con dichiarati scopi di militanza e presentava una vera e propria storia, sia pure all'interno di una chiara ricerca docu­mentaristica, quasi da cinema verità. Rispetto al precedente film, questo Vorrei che volo ha una lunghezza inferiore di circa mezz'ora e presenta una dimensione documentaristica più accentuata, anche se il punto di vista di Scola tende a privilegiare un'umanità più fragile, trovata in storie minimalistiche di giovani e giovanissimi immigrati, come appunto il pic­colo Massimino che sogna di volare o come Salvatore, anche lui venuto da una Napoli degradata e lontana, che vive a Torino da vent'anni senza essere ancora riuscito a trovare un lavoro stabile quale che sia e che con­fessa apertamente di provare istintivamente paura quando incontra un poliziotto. Il suo desiderio pertanto non è quello di volare (espresso in modo esplicito nel titolo) quanto quello di liberarsi di questa atavica e pulcinellesca paura, di vivere una vita dignitosa, di farsi una famiglia e di poter andare incontro a un poliziotto sulla strada magari per abbracciar­lo» (E. Bispuri, Ettore Scola, un umanista nel cinema italiano, Bulzoni, Roma, 2006).


Scheda a cura di
Franco Prono

Persone / Istituzioni
Ettore Scola


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