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ENCICLOPEDIA DEL CINEMA IN PIEMONTE

Lungometraggi



Figli di Annibale
Italia, 1998, 35mm, 92', Colore


Regia
Davide Ferrario

Soggetto
Davide Ferrario, Diego Abatantuono, Sergio Rubini

Sceneggiatura
Davide Ferrario, Diego Abatantuono

Fotografia
Giovanni Cavallini

Operatore
Enrico De Luigi

Musica originale
Damiano Rota, Fabio Pizzalunga

Suono
Tiziano Crotti

Montaggio
Claudio Cormio, Luca Gasparini

Scenografia
Franca Bertagnolli

Costumi
Emanuela Pischedda

Interpreti
Diego Abatantuono (Tommaso Canali), Silvio Orlando (Domenico Maroccolo), Valentina Cervi (Rita), Flavio Insinna (Orfeo), Ugo Conti (Ermes), Elena Giove (Carmela), Piero Ghislandi (impiegato di banca), Caterina Sylos Labini (guardia giurata), Gianluca Gobbi (appuntato Formelti), Enrico Salimbeni (appuntato Zamboni), Vita Francioso (zia Vita), Loredana Zucchi (Ottavia), Massimiliano La Spina (passeggero sul treno), Sylvie Lubamba



Produzione
Maurizio Totti per Colorado Film, Medusa Film

Distribuzione
Medusa Film

Note
2512 metri.
 
Assistenti scenografi: Laura Pozzaglio, Rita Rabassini; assistente costumista: Rosalba Troiano; assistenti alla regia: Daniele Cascella, Lorenzo Dalla Vedova; altri interpreti: , Giampaolo Talia, Salvatore Masuzzo, Andrea Moretti.
 
Il film prende il titolo dal brano Figli di Annibale (eseguito dai Nidi d'Arac) degli Almanegretta che prendono parte alla colonna sonora, nella quale un quartetto d'archi rielabora brani di Clash, CCCP, Talking Heads.
 
Location torinesi: Quartiere Falchera.




Sinossi
Domenico, disoccupato torinese, decide di rapinare una banca a Como e poi fuggire col bottino nella vicina Svizzera. Impacciato com'è, tutto gli va storto e sequestra un cliente della banca, Tommaso, un imprenditore aggressivo e spregiudicato. Gli affari però gli stanno andando molto male, il fallimento incombe, lo aspettano debiti, protesti, derisione da parte dei colleghi. Il sequestro e la fuga gli si presentano perciò come un'occasione che il destino gli offre per sparire e ricominciare da capo. Escono allora insieme dalla banca e a questo punto i ruoli si invertono: Tommaso convince Domenico a fuggire non verso il Nord ma in Puglia dove potranno imbarcarsi su una nave diretta in Nord Africa. Tommaso è in rotta con la moglie, dalla quale si allontana senza troppo rimpianto, mentre Rita, la figlia, non vuole veder partire il padre. Durante il viaggio in macchina, la situazione si chiarisce: Tommaso ha una relazione omosessuale con il poliziotto Orfeo, fattosi trasferire in Puglia; Rita si presenta all'improvviso e Domenico comincia con lei una timida relazione; poi da un ospizio arriva la sorella di Domenico, grossa, cieca e sfacciata. Dopo vari contrasti, il poliziotto lascia il gruppo. Gli altri quattro si imbarcano su una nave scassata. Dall'Egitto mandano una lettera ad Orfeo, scrivendo che tutto va bene. Ma non è vero, e Domenico dice: "E se pensassimo ad una banca?"




Dichiarazioni
«Puntata numero uno di una sfida forse ancora da vincere. Perchè in Italia non è possibile fare una commedia popolare diretta da un “autore”? Perchè i comici si dirigono sempre da soli (o si fanno aiutare da mestieranti?), con risultati cinematograficamente deludenti? Così quando Diego Abatantuono mi chiese di fare un film con lui, accettai al volo. Figli di Annibale è la storia paradossale di uno sfigato rapinatore che prende in ostaggio un tipo che finisce col plagiarlo e lo trascina in una folle fuga dalla Svizzera all’Africa attraverso tutta l’Italia. Il film è ancora molto divertente, con una splendida fotografia. Peccato che a un certo punto quelli della mafia pugliese ci fregarono un pezzo di girato e alla fine si sente che manca qualcosa... » (D. Ferrario, www.rossofuocofilm.it).  





«Gli Almamegretta hanno ispirato il titolo del prossimo film di Davide Ferrario. Dopo aver inserito nella colonna sonora Figli di Annibale, il brano tratto dal primo disco del gruppo napoletano, Ferrario ha infatti deciso di utilizzarne il titolo anche per il film, sostituendo quello di lavoro. […] "Il pezzo degli Almamegretta mi è venuto in mente montando il film – spiega Ferrario - per il suo ritmo e anche perché i due protagonisti, come Annibale, dopo essere andati al Nord tornano al Sud. Sono due figli di Annibale, neri dentro, precari, mediterranei". Nella colonna sonora del film anche Clash e Talking Heads, eseguiti da un quartetto d' archi» (“la Repubblica”, 29.1.1998).

Ecco il testo della canzone Figli di Annibale di Almamegretta:

«Annibale grande generale nero / con una schiera di elefanti attraversasti le alpi e ne uscisti / tutto intero. / A quei tempi gli europei non riuscivano a passarle neanche a piedi / ma tu Annibale grande generale nero tu le passasti con un mare di elefanti. / Lo sapete quanto sono grossi e lenti gli elefanti? / eppure Annibale li fece passare le alpi con / novantamila uomini africani. / Annibale sconfisse i Romani restò in Italia da padrone per quindici o vent’anni. / Ecco perché  molti italiani hanno la pelle scura. / Ecco perché molti italiani hanno i capelli scuri. / Un po’ del sangue di Annibale è rimasto a tutti quanti nelle vene. / Si, è rimasto a tutti quanti nelle vene. / Nessuno può dirmi stai dicendo una menzogna. / No se conosci la tua storia sai da dove viene il colore del sangue / che ti scorre nelle vene. / Durante la guerra pochi afroamericani riempirono l’Europa di bambini neri. / Cosa credete potessero mai fare in venti anni di dominio militare / un’armata di africani in Italia meridionale. / Ecco perché ecco perché noi siamo figli di Annibale. Meridionali figli di Annibale. / Sangue mediterraneo figli di Annibale?»    

 «L'idea non è nuova: un po' Thel­ma e Louise, un po' Marrakech Ex­press. Ma in sintesi i soliti temi dell'evasione e del viaggio, periodo unico e irripetibile in cui si speri­mentano forti legami di amicizia, fu­ga verso un'esistenza diversa lonta­no da una vita che ti schiaccia. […] il tema dell'amicizia tra persone tanto diverse, quella tra Die­go Abatantuono e Silvio Orlando è molto poco sentito e i due non hanno avuto quell'intesa che sta alla base dei classici road movies. Improbabi­le anche il rapporto padre e figlia, tra Tommaso e Rita, Valentina Cervi. Sembra quasi che si sia aggiunta nella trama una parte femminile per rendere più "accessibile" il film, laddove poteva essere una storia fi­nalmente sulle amicizie, di ogni ge­nere, al maschile» (E. Rindi, “Film” n. 46, luglio-agosto 2000).

«Più che i singoli episodi della fuga, risolti in maniera cameratesca un po' alla Salvatores, si impone un clima generale di simpatia verso i ritmi e i colori di un sud senza connotazioni terzomondiste: è l'elogio dell'arabesco, di una saggezza indolente e antica, di una rassegnazione attiva che conosce le debolezze umane. Mentre magari risulta un po' forzata l'irruzione surreale di quella barca riminese che espone sulla prua una statua di Federico Fellini, geniale manipolatore di storie e di sogni» (M. Anselmi, “l'Unità”, 14.3.1998).
 
«Se doves­simo cercare un modello a questo film di Ferrario - che il pallino dell'ironia ce l'ha incorporato - lo troveremmo in Mel Brooks e nelle sue "Follie". Ma Ferrario, sappiamo, è anche cinefilo doc e quindi si può scommettere che c'è dell'altro. Per esempio qualcosa di Ferreri (quando è acidulo), echi evidenti di western e di film "on the road", con le lunghe strade assolate riprese dall'alto; e di Fellini, che appare addirittura... di persona, nel sen­so che un manichino a lui somigliante troneggia a prua della barca - la "Federico Fellini" appunto - che tra­sporta la combriccola del film in fuga. [...] L'assolato "pastiche" è articolato con brio. Non solo per presenza di attori di grande simpatia ma per lo zenzero im­messo direttamente da Ferrario, senza tregua, con la macchina da presa: la porta letteralmente a spasso, alzandola, abbassandola, ponendola di traverso e di sghimbescio, come fosse sulle montagne russe» (F. Colombo, “L’Eco di Bergamo”, 18.3.1998).
 
«Ci si diverte. Si sente che regista e attori si sono divertiti a farlo e a tratti riescono a trasmettere il loro piacere allo spettato­re. Ma è una commedia? Non ne sono sicuro: non ne ha l'ingegneria, l'orche­strazione degli effetti, nemmeno un vero finale. [...] Sono tre le note positive in questo film dispersivo, frammentario e un po' auto­indulgente. A livello ideologico­sentimentale c'è nel lombardo Ferrario un'esplicita simpatia verso il "diverso" inteso come Sud e la sua dimensione della vita e verso l'omosessualità simpa­tia che si coniuga con un implicito invito alla tolleranza. A livello tecnico­espressivo contano la colonna musicale e il modo con cui il regista e il suo opera­tore Giovanni Cavallini hanno messo in immagini i paesaggi di Puglia. [...]  Come ra­ramente succede in un film leggero al servizio degli attori, Ferrario ha messo molta cura e attenzione alla scelta e alle riprese del paesaggio, di una natura colta nella sua bellezza come nel suo de­grado ambientale» (M. Morandini, “Il Giorno”, 22.3.1998).
 
«Se lo spunto della storia, un'amicizia tra persone diverse che nasce in una situazione estrema, non è nuovo, è personale e assai divertente il modo in cui è imba­stito. Non parliamo tanto di certi vezzi stilistici (inquadrature sghembe, accelerazioni ecc...), quanto della felicità con cui il regista bergamasco ridisegna il paesaggio pugliese in suggestiva metafo­ra di un Meridione inteso come nostra culla originaria (sarà questo il senso del titolo?) e luogo del Mito. E soprattutto alludiamo al bel ritmo comico e alla mano lieve che Ferrario dimostra nel guidare e lasciarsi guidare dal gioco de­gli eccellenti protagonisti» (A. Levantesi, “La Stampa”, 15.3.1998).
 
«Africa, diceva la portiera a Rocco e i suoi fratelli. Africa rimbomba la minac­ciosa colonna sonora dei Figli di Anni­bale [...]. Film curioso, instabile, che richiede partecipazione. È più facile dire che cosa non è I figli di Annibale di Davide Ferrario: non è una commedia tradizionale, non un film di strana cop­pia di attori; chissà, un road movie; di sicuro l'ideale continuazione di Tutti giù per terra. Nella lotta tra film d'autore e di genere vince il primo e l'occhio del film rimane quello vigile di Ferrario, che osserva la disastrata realtà italiana con un montaggio un po' schizoide al limite del farsesco, da comica, evitando molti passaggi inutili. [...] Il coraggio di questo film, che of­fre alcune gemme kitsch sonore tra cui Milva e Patty Pravo, è di essere coraggioso nella sgradevolezza dell'offerta caratteriale, al di là dei bei panorami pugliesi non turistici. Vince la casualità della vita: ma l'aggettivo sgradevole de­ve essere un incentivo per vederlo, en­trandoci in un certo modo, e non per scartarlo perché Diego non è il solito Diego, ma cerca e talvolta trova una dol­cezza amara e speciale» (M. Porro, “Corriere della Sera”, 14.3.1998).
 
«La dinamica narrativa, anche nei momenti comici, non è molto vivace, la sua logica stenta a trovare delle vere conclusioni, qua e la facendo perfino sospettare che alcuni suoi snodi, i più tragici, siano stati ac­colti soprattutto per consentire ai due protagonisti di esibirsi ciascuno secondo le proprie corde: Abatantuono con le spavalderie e le furbizie in cui ormai ec­celle, Orlando, con la consueta remissi­vità dì "umiliato e offeso". [...] Nessuna riserva, invece, per la regia di Ferrario che anche di recente si era fatta apprez­zare con Tutti giù per terra: è attenta, con finezza, alle immagini, privilegia i ritmi disinvolti, cura le tecniche con me­stiere provveduto, specie quando evoca gli sfondi delle Puglie con gusto quasi pittorico, riservando anche molti spazi alle musiche, tutte scelte o arrangiate, in equilibrio attento fra l'ironia e la tensio­ne» (G.L. Rondi, “Il Tempo”, 18.4.1998).
 
«Come in Tutti giù per terra, anche in I figli di Annibale la rappresentazione ama una messinscena frammentata e di­scontinua come per uno squilibrio che dai personaggi, magari grottescamente schizzati a macchietta, e dalle situazioni di nevrosi si sposta su un linguaggio di taglio espressionistico, di sapore grotte­sco sia pure in chiave di leggerezza e ironia. Non solo tra i titoli di coda si insinua una sorta di rilettura, un po' omologa, un po' diversa, della straordinaria avventura di Domenico e Tommaso. Anche lungo il film la cadenza drammatica tende sempre a neutralizzarsi e stravolgersi con un montaggio straniante» (A. Pesce, “Il Giornale di Brescia”, 17.3.1998).
 

«In questo film (a parte un piccolo ruolo per Sylvie Lubamba, resa poi nota da Piero Chiambretti in televisione) c’è spazio anche per tre ragazzi della Falchera, Gianpaolo Talia, Salvatore Masuzzo e Andrea Moretti. Alla Falchera (che appare per la prima volta al cinema nel 1960 con Esterina di Carlo Lizzani) Davide Ferrario è rimasto particolarmente legato visto che quel quartiere appare anche nel suo film di gran successo Dopo mezzanotte» (S. Della Casa, “La Stampa – TorinoSette”, 30.4.2010). 

 

«La ricerca spasmodica di un "rifugio" si conferma […] una costante per i personaggi ferrariani, figure fondamentalmente incapaci di "stare al mondo" e, per questo, animate da una profonda inquietudine che le porta ad un ipercinetismo anzitutto esistenziale, la cui traduzione filmica è l'ineguale paesaggio che il loro convulso dinamismo finisce per configurare. Come accade nel […] trip film di Ferrario, Figli di Annibale (1998), in cui la fuga (qui "verso Sud") di un rapinatore cassintegrato a zero ore, insieme con l'ostaggio che ha preso con sé (un imprenditore fallito), si fa ulteriore occasione per indagare "una natura colta nella sua bellezza come nel suo degrado ambientale" che "non è soltanto una tela di fondo per i personaggi, ma un contenitore" (Morando Morandini in Antonio Maraldi, - a cura di -, Il cinema di Davide Ferrario, Il Ponte Vecchio, Cesena 2007, p. 38)» (C. Uva, “Quaderni del CSCI” n. 6, 2010).





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