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ENCICLOPEDIA DEL CINEMA IN PIEMONTE

Lungometraggi



Il dolce e l’amaro
Italia, 2007, 35mm, 98', Colore

Altri titoli: The Sweet and The Bitter

Regia
Andrea Porporati

Soggetto
Annio Gioacchino Stasi

Sceneggiatura
Andrea Porporati, Annio Gioacchino Stasi

Fotografia
Alessandro Pesci

Musica originale
Ezio Bosso

Suono
Alessandro Zanon

Montaggio
Simona Paggi

Effetti speciali
Danilo Bollettini, Stefano Camberini

Scenografia
Beatrice Scarpato

Costumi
Mary Montalto

Trucco
Giulio Pezza

Aiuto regia
Barbara Daniele

Interpreti
Luigi Lo Cascio (Saro Scordia), Fabrizio Gifuni (Stefano Massirenti), Donatella Finocchiaro (Ada), Ornella Giusto (Antonia), Toni Gambino (Gaetano Butera), Gaetano Bruno (Mimmo Butera), Pierluigi Misasi (Cosimo Albanese), Renato Carpentieri (Vicari), Mario Patanè (Babbuzza), Gioacchino Cappelli (Saro a 14 Anni), Stefano Ciprì (Mimmo a 14 Anni), Irene Caruso (Ada a 14 Anni), Raffaele Sabato (Turi Sciacca), Vincenzo Amato (Vito Scordia, padre di Saro), Emanuela Muni (signora con la parrucca), Pietro Arcidiacono (proprietario chiosco)

Casting
Jorgelina Depetris Pochintesta, Chiara Agnello

Produzione
Francesco Tornatore per Sciarlò, Medusa Film

Distribuzione
Medusa

Note
Collaborazione alla sceneggiatura: Anna Maria Morelli; fotografo di scena: Chiara Dalmaviva; Orchestra: Filarmonica ‘900 del Teatro Regio di Torino; collaboratori al suono: Roberto Mozzarelli, Paolo Amici, David Quadroli, Fabrizio Quadroli; aaaistente scenografo: Marcello Di Carlo; parrucchiere: Alessio Pompei; altri interpreti: Fulvio D’Angelo (artificiere mafioso), Santo Leonardi (traduttore), Filippo Luna (direttore del carcere), Tommaso Caporrino (rapinatore), Domenico Montesanto (rapinatore), Antonino Pensabene (ragioniere), Alessio Piazza (Lillo), Marcllo Payer, Enrico Pappalardo, Flora Massimo; location manager: Emanuela Carozzi.
 
Film realizzato con il contributo del Ministero per i Beni e le Attività Culturali ed il sostegno di Film Commission Torino Piemonte.
 
Locations: Palermo, Trapani, Venaria Reale, Torino (corso Giulio Cesare, carcere delle Vallette, Lumiq Studios).




Sinossi
Primi anni Ottanta. Sicilia. Saro Scordia viene preso sotto tutela dal mafioso di spicco don Gaetano Butera dopo la morte in carcere del padre. Comincia così la sua carriera all'interno di Cosa Nostra con le prime rapine e i primi incarichi di scarsa rilevanza. Finché un giorno si presentano prove di fiducia molto più dure: uccidere qualcuno per ordine del padrino. Muovendosi tra ambienazioni meridionali (Palermo e Trapani) e il Piemonte (la rapina in banca a Torino, il tentativo del protagonista di costruirsi una nuova vita a Venaria Reale), il film pone l'attenzione sul modo in cui la mentalità mafiosa prende dimora nella mente di un ragazzo conducendolo al crimine.




Dichiarazioni
«È una storia che parte egli anni Sessanta e si protrae fino ai primi ’90. nel titolo c’è il senso della vita, così come viene trasmesso al protagonista Saro dal padre. “Ricordati che nella vita c’è il dolce e c’è l’amaro”, e questo diventerà il metro di giudizio attraverso il quale Saro, cresciuto nel difficile quartiere della Kalsa a Palermo, giudicherà gli uomini in un percorso esistenziale che lo dilanierà fimo a farlo ravvedere. Non c’è uomo d’onore se non sa prendersi l’amaro della vita. Ma i mafiosi no, si prendono solo il dolce e lasciano l‘amaro agli altri. Vede, io vengo dalla scrittura della Piovra, un fenomeno dell’immaginario di tutto il Paese. Dentro mi erano rimasti tanti fatti e tante storie che non potevano trovare posto in quella serie. Io volevo raccontare la mafia di fatti piccoli, della quotidianità che accompagna il dato eclatante. Volevo far sapere che questi mafiosi vivono in una realtà insopportabile, nella nevosi, in una giungla nel terrore che arrivi ad ucciderli una belva più belva di loro. [...] In nostro Saro, un po’ per amore, molto per convinzione, diventa un pentito e cambia radicalmente esistenza. Grazie alla sua nuova identità viene a vivere in Piemonte e qui realizza la bellezza della vita banale, qualunque» (A. Porporati, “La Stampa”, 11.10.2006).

«L'intento è quello di raccontare cosa vuol dire essere mafiosi attraverso lo sguardo di uno di loro e come piano piano questo sguardo cambi. Il dolce e l'amaro è quindi anche la storia di una conversione. Nei film di mafia si racconta sempre il momento dell'omicidio, ma per me era più importante mostrare quello che accade il giorno prima nella persona che viene incaricata di ucciderne un'altra. Uccidere non è come si vede nei film, è un atto profondamente intimo e disumano e nel momento in cui lo compie Saro si rende conto che quello che ha davanti è un uomo e non una fotografia» (A. Porporati, Note di regia nel pressbook della Produzione, 2007).
 
«La mia sicilianità è la consapevolezza che l’esperienza umana è tragica compresenza degli opposti e che scegliere è impossibile, è  un destino. Nel caso specifico essere siciliano mi ha aiutato anche nell’uso del dialetto» (L. Lo Cascio, “La Stampa”, 11.10.2006).

«Trovo che ci sia un grande aspetto simbolico nel mio personaggio che scrive un "no" a caratteri cubitali contro la mafia. Ada è legata a Saro da un grande amore, ma alla proposta di matrimonio di lui è costretta a rifiutare perché è una persona normale che vuole una vita normale, senza sposare un delinquente per fare una vita che non le appartiene. Quando i due si rincontrano, dopo un lungo percorso del ragazzo chiamato ad affrontare una grossa crisi esistenziale, il ritorno tra le braccia di Ada è un ritorno alla sua vera natura di uomo libero, di un uomo che alla fine ha scelto anch'egli di vivere una vita normale» (D. Finocchiaro, www. cinema.castlerock.it).





«Si intitola Il dolce e l'amaro, ovvero la Sicilia e la mafia rivestite delle luci mediterranee di Alessandro Pesci, in quadricromia: il rosso del fuoco, l'azzurro del cielo, il marrone della terra e delle case screpolate, il bianco delle camicie inamidate dei boss, della luna e dell'acqua trasparente dove due amici d'infanzia giocano e rimorchiano straniere. Siamo agli antipodi dello sceneggiato tv, anche se produce quell'azienda in filiera di Medusa. Intanto c'è una rivolta all'Ucciardone. Viste poche rivolte di penitenziari nel cinema italiano, figuriamoci nella fiction. E sapremo poi che i capi della lotta sono stati addirittura giustiziati dalle forze dell'ordine. Assassinati. Altro che Raiuno o Canale 5. Mai sentito nulla di simile in tv, se non nei programmi elettorali di Sarkozy che han sedotto Jack Lang. Nulla qui dunque è embedded, certo gli stereotipi dettano legge, ma seguono schemi di regia eccentrici. [...] La mafia controlla, con la violenza, tutto e tutti, quasi un raddoppiamento disciplinare, talebano, altro che un nemico, di chiesa e stato (screzi a parte). E visto che Romanzo criminale ha funzionato, perché non rovesciare il punto di vista spettacolare e parlare di Mafia, non con l'occhio di Dalla Chiesa o del Giudice Ragazzino, ma della manovalanza criminale erede della manovalanza criminale? Questo anti-Piovra è la biografia di un mafioso palermitano di secondo livello, da picciotto a killer, dalle rapine alle esecuzioni comandate, uomo d'onore efficace anzi perfetto che decide infatti di collaborare con i giudici quando non ha più via di scampo ed è tradito dalla cupola, ma non dalla donna che ha sempre amato e che lo ama [...]. Luigi Lo Cascio (che già è stato Peppino Impastato, quasi il «contro campo» di questo film) è l'interprete, impeccabile e schizofrenico, odioso e amabile di una storia mafiosa che non sfiorando nemmeno da lontano i corridoi del Palazzo sembra più di n'drangheta» (R. Silvestri, “il manifesto”, 6.9.2007).

«È certo un film sulla mafia, e anzi sulla formazione di un giovane mafioso, Il dolce e l'amaro [...]. E però il bel film scritto e diretto da Andrea Porporati non si chiude dentro la miseria umana di Cosa nostra. Saro Scordia (Luigi Lo Cascio) ci è molto più vicino di quanto la sua carriera criminale induca a sospettare. La si intuisce fin dalla prima sequenza, questa vicinanza (eventuale). Inquadrati di spalle contro un paesaggio pieno di luce, Saro e Gaetano Butera (Toni Gambino) fanno pipì insieme. C'è già un indizio di quella vicinanza, appunto, in questo rituale virilistico. È un po' come se i due intendessero il mondo, e certo il loro rapporto, alla luce di quel gesto. Questo è il mondo, dunque, per molti: una questione di potenza. Per usare un'espressione adeguata alla situazione, c'è chi lo mette sotto, e c'è chi se ne lascia metter sotto. [...] Se il mondo è una questione di prevaricazione, se gli uomini si dividono fra chi mette sotto e chi si lascia metter sotto – così "impara" Saro –, allora conviene prender parte a questa potenza che tutto fa suo. A decidere del vero e del falso saranno dunque gli occhi di chi sta sopra. [...] Insomma, Saro si consegna a Gaetano: si consegna a questo suo padre assoluto, a questo suo padrone, con l'entusiasmo di chi intravede anche per sé un futuro di potenza e di prevaricazione. Per comandare, così immagina, occorre prima obbedire. Per dirla tutta, per mettersi sotto il mondo, occorre prima lasciarsi metter sotto. [...] Ora dunque può entrare in Cosa nostra, tra uomini il cui onore si misura con il metro che Gaetano gli ha mostrato. Ma proprio ora Il dolce e l'amaro comincia a ritrovare quella tale contraddizione. Chi è il nuovo uomo d'onore, se non uno dei molti "messi sotto" nella macchina dell'obbedienza? E infatti viene usato, ingannato, tradito. [...] Riuscirà a sfuggire a Cosa nostra, Saro. Riuscirà anche ad avere una vita sua, libero da padri padroni. Ma ne pagherà il prezzo. Sarà una risata, quel prezzo. Nell'ultima sequenza, lontano dalla Sicilia, affrancato dalla logica virilistica della potenza e della prevaricazione, gli toccherà di rivedere la propria misera carriera riflessa in altri che, come lui, si sono "consegnati". E ne riderà, appunto. Ne riderà come di un incubo tragico, tanto assurdo quanto vicino» (R. Escobar, “Il Sole-24 Ore”, 16.9.2007).

«Non che non sia ben fatto né ben recitato, ma anche se viene collocato vent'anni fa è intollerabile pensare che sia tanto identico al cinema sulla mafia di trenta, quarant'anni fa. Anzi, pensare quanto sociologicamente e politicamente sia peggiore: perché ne Il dolce e l'amaro nessuno si ribella o s'indigna per il prepotere della mafia, che appare un uso locale necessario da sopportare; e pur essendoci un magistrato di buona volontà, non esiste uno straccio di poliziotto, giudice, giornalista, politico, sindaco o cittadino che speri in un mondo migliore. Soltanto l'innamorata Donatella Finocchiaro è irriducibile: “Sei un delinquente. Non posso sposare uno come te”. Magari i meriti del film stanno proprio nel registrare questa passività indifferente e l'alta idea della mafia che ha il protagonista. Ma è difficile capire come mai mafia e mafiosi, da secoli traditi e spiati, nei film di fronte al tradimento cadano dalle nuvole, irati e sbalorditi» (Lietta Tornabuoni, “La Stampa”, 5.9.2007).

«Il film, girato interamente in Italia, tra Palermo, Trapani, il Piemonte e una rapida incursione a Milano, vanta un avvio deciso, e presenta una composizione attenta delle immagini. […] A differenza di altri film sulla Mafia, il lavoro di Porporati si concentra sul singolo individuo, sull'affermazione criminale in un contesto ambientale limitato e affronta a chiare tinte una storia d'amore tormentata, mentre il rapporto con il compaesano divenuto giudice è un po' schematizzato. I toni romanzeschi non risultano sempre convincenti, e qui destano perplessità alcune rigidezze dei personaggi ma soprattutto l'evoluzione di Saro, che il pur bravo Lo Cascio non può rendere psicologicamente plausibile: il suo personaggio è in grado di tornare padre senza alcun rimpianto per i figli nati in precedenza e abbandonati senza sensi di colpa. Le incongruenze psicologiche non sono una novità in questo tipo di cinema, e questa volta salutiamo le buone intenzioni di fondo. […] Un lavoro certo non nuovo, non originale, ma attento a non strafare, a dosare i suoi elementi in una messa in scena che mostra un po' troppo i limiti del contesto. La bravura di Andrea Porporati è evidente quando è in scena l'azione, e grazie a un taglio da cinema "civile" comunque lontano dal clima della fiction» (R. Lasagna, “Segnocinema” n. 148, novembre-dicembre 2007).)

«Porporati [...] si è mosso con secca decisione, costruendo attorno al protagonista, con realismo durissimo, quella cornice palermitana in cui la mafia incombe, fra ricatti, uccisioni, tradimenti anche dei più prossimi, ed evocandovi poi in mezzo, con asciutto rigore, il cammino via via sempre più sconfortato e deluso di quel protagonista che non tarda ad aprire gli occhi sugli orrori da lui stesso commessi mettendo alla fine in atto i sistemi anche i più rischiosi per separarsene. In cifre figurative di scabra evidenza, pur lasciando che in mezzo, quasi simbolicamente, vi predomini il buio. Vi aderisce, con una partecipazione totale, Luigi Lo Cascio: una mimica lacerata, una gestione spesso ai limiti della violenza, pur con meditati equilibri. Gli dà la replica, come Ada, Donatella Finocchiaro, in tanto nero, uno spiraglio di luce» (G.L. Rondi, “Il Tempo”, 5.9.2007).

«Era difficile provare empatia per Ray Liotta in Goodfellas, figurarsi se si può trepidare per questo mafiosetto da due soldi interpretato da Luigi Lo Cascio. È il problema di fondo del film, unito a un paio di zeppe di sceneggiatura (davvero non si capisce perché il protagonista maturi all'improvviso una venerazione per il magistrato). Non mancano però scene potenti (la rivolta nel carcere, il primo omicidio in quel di Milano, gli incontri con un super-boss magistralmente interpretato da Renato Carpentieri) e nel complesso Il dolce e l'amaro si vede, ma con un retro-pensiero: di film così, in un cinema sano, dovrebbero usarne 100 all'anno, e andare nei cinema e in tv senza tante fanfare. Senza passare da Venezia» (A. Crespi, “l'Unità”, 5.9.2007).

«Alcuni passaggi risultano magari stereotipati, ma nel complesso prevale la fluidità del mix tra documentato realismo e armi grottesche o paradossali (memorabile, in questo senso, la rapina contrappuntata dalla traduzione simultanea delle gergali invettive dei banditi in italiano): la Sicilia che funziona da “scena primaria” insieme saggia e ferina, risulta insolitamente credibile e non a caso il bonus decisivo è guadagnato dalle presenze di un magnifico veterano come Renato Carpentieri e un esordiente assoluto come Gaetano Bruno» (V. Caprara, “ll Mattino”, 5.9.2007).

«L'intento era di descrivere l'ineluttabilità del male nella sua quotidianità, mostrare il dissidio insanabile tra normalità e anormalità nella vita di un ragazzo cresciuto nel mito dell'uomo d'onore. Obiettivo mancato. Il risultato è una fiera dell'ovvietà dalla cui visione si esce anche con un po' di imbarazzo. Perché non si riesce a salvare nulla: né il racconto di mafia che qui sembra la solita barzelletta raccontata agli americani, né il lavoro degli attori (accanto a Lo Cascio, Fabrizio Gifuni e Donatella Finocchiaro) costretti a forzare ruoli mal scritti sulla carta, né lo sforzo del regista che pure ci aveva dato una buona opera prima con Il sole negli occhi del 2001» (R. Ronconi, “Liberazione”, 5.9.2007).

 «La resistibile ascesa del predestinato Luigi Lo Cascio (nemesi storica dei Cento passi), manovale dell' onorata società costretto a fuggire non appena gli si riordina la coscienza: non potrà che finire con l'ultima risata. Gli aspetti grotteschi, alla Lattuada di Mafioso, sono appena accennati (la trasferta al Nord dove non si capiscono), ma sulla lavagna va la lezione morale col ricordo dei vecchi film americani dove c' erano sempre due compagni d'infanzia di cui uno prende la cattiva e l' altro la buona strada (il bravo Gifuni, onesto magistrato) » (M. Porro, “Corriere della Sera”, 14.9.2007).
 
«Andrea Porporati non privilegia lo sguardo intimista e prova a tratteggiare il profilo di un giovane siciliano, Saro Scordia, destinato a diventare picciotto di Cosa Nostra. [...] Luigi Lo Cascio, Donatella Finocchiaro e Fabrizio Gifuni sono i corpi e i volti di un film che non lievita mai oltre il suo passo ridotto da ritratto criminale in grigio e dove il padrino di Renato Carpentieri associa il gusto del caviale con l'oggetto del desiderio maschile» (N. Bruzzone, “Il Secolo XIX”, 5.9.2007).

«Il regista italiano Andrea Porporati non offre alcun identikit per il personaggio di Saro Scordia. Ne mostra vent'anni di vita, dalla giovinezza alla maturità. Lo colloca in una contesto che, per le amicizie del padre, lo mette in contatto con persone in apparenza molto tranquille ma di fatto ai vertici della Mafia. Saro si lascia convincere che nel cielo diurno c'è la luna. [...] Il dolce e l'amaro è un buono, anzi un ottimo film. Convincenti le interpretazioni di Luigi Lo Cascio e Fabrizio Gifuni» (F. Bolzoni, “Avvenire”, 5.9.2007).
 
«La cosa più imperfetta è probabilmente il titolo. Oltretutto ripetuto in chiave chiarificatrice un paio di volte durante il film. L'intestazione è sbilanciata su due termini inadeguati a reggere il peso dell'architrave poetico/interpretativa di un'opera che parla di scelte etiche nell'Italietta mafiosa. Bastava lasciare l'intuizione allo spettatore. Per esempio parliamo dell'emulazione scorsesiana, perché Porporati vuole raccontare una fettina di "Cosa Nostra", spettacolarizzando quaranta minuti di inizio film. II risultato non è da strapparsi i capelli, ma vent'anni di vita mafiosa di Saro Scordia non sono un quartino di "eroiche" imprese di Riina o Provenzano. [...] Porporati sa come muoversi e ha in mano il timone del comando. In aggiunta prova a lavorare sul suono e sulla musica, nascondendo e usufruendo di fonti diegetiche e non» (D. Turrini, “Rivista del Cinematografo” n. 10, ottobre 2007).

«Il dolce e l'amaro di Andrea Porporati, arrivato in sala direttamente dalla Mostra di Venezia, racconta la storia semplice di un manovale della criminalità organizzata, un piccolo uomo né particolarmente violento né efferato e crudele che vive la sua vita come se interpretasse un ruolo, l'unico che gli permette di ottenere rispetto, soldi, potere. Il tutto è raccontato senza enfasi, con cruda asciuttezza. Il problema è che in questo modo il film deraglia presto, vittima di un tono dimesso al punto da sembrare piatto, scialbo, sfinito. Porporati ha qualità di sceneggiatore (e infatti il film è scritto bene, scivola fluido) ma difetta, nella messa in scena, di forza, quasi vittima della propria carenza di ambizione. E l'appassionata interpretazione di Luigi Lo Cascio non basta a far decollare una storia che sembra restare sempre troppo in superficie, senza scavare, senza emozionare» (F. Pedroni, “FilmTV”, www.film.tv.it).
 
«Qualcuno ci ha insegnato a vedere la mafia come un fenomeno di costume, come, appunto, una "cosa nostra", come un’epopea antica e interminabile. [...] Ma forse nessuno aveva trattato un tema sempre attuale e scottante come la mafia con la semplicità e l’umanità di Porporati, che sceneggia anche il suo Il dolce e l’amaro. [...] Il copione è scritto nella prima scena tra Sardo e Butera: il boss invita il picciotto a guardare il cielo, per ammirare una luna impossibile in pieno pomeriggio. Prima il giovane è interdetto e sta per dissentire, ché non vede nessuna luna, ché non può vederla. Ma subito dopo capisce il senso della domanda e risponde “Già, è proprio una bella luna”. Il boss è compiaciuto: “Bravo, piccirillo”. Perché la legge è tutta qui: vedere le cose con gli occhi di chi comanda» (S. Lo Gatto, 6.9.2007, www.fondazioneitaliani.it).
 
«Il pericolo maggiore che corrono gli autori cinematografici che intendono girare film sulla mafia è quello di celebrare la mitologia di Cosa Nostra, cioè di rendere involontariamente attraente il tragico sistema-mafia e di far diventare degli assassini eroi, i criminali simpatici. In questo gigantesco errore sono caduti praticamente tutti i grandi registi, compresi due maestri come Coppola e Scorsese. Ebbene, ciò non è accaduto ad Andrea Porporati, il quale con Il dolce e l’amaro ha saputo realizzare un affresco credibile e drammatico del mondo mafioso. Ha messo al centro della sua elaborazione una figura emblematica: quello che in gergo mafioso viene denominato “soldato”, cioè uomo d’onore destinato ai lavori più sporchi e pericolosi, un individuo che non farà mai carriera all’interno di Cosa Nostra. Porporati, attraverso il suo personaggio, mette a fuoco perfettamente la logica della mafia, una logica perversa, putrida, per nulla onorevole. C’è una frase importantissima che a un certo punto un grande boss dice al protagonista: “Ricordati, nessuno tradisce meglio di un amico”. Proprio in questa affermazione è rintracciabile la vera natura della mafia, organizzazione parallela allo Stato che dice di voler “fare giustizia” e che invece conosce solo la legge del più forte e del più spietato. [...] Andrea Porporati ha edificato una vicenda al cui centro c’è un soggetto realmente tragico, un uomo che riesce a comprendere il suo mondo solo quando i suoi “fratelli” cercheranno di eliminarlo. Saro, interpretato da un ottimo Luigi Lo Cascio, è così di fatto strumento di approfondimento antropologico e psicologico, di analisi dell’universo mafioso, delle sue storture, delle sue nefandezze. Non c’è nulla di eroico e mitologico nei mafiosi, poiché non può esservi nulla di eroico e mitologico in chi pratica il tradimento tutti i giorni e la sopraffazione violenta dell’uomo sull’uomo» (www.sncci.it).


Scheda a cura di
Franco Prono

Persone / Istituzioni
Andrea Porporati
Alessandro Pesci
Ezio Bosso
Alessandro Zanon
Simona Paggi
Luigi Lo Cascio
Fabrizio Gifuni
Donatella Finocchiaro
Renato Carpentieri
Vincenzo Amato


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