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ENCICLOPEDIA DEL CINEMA IN PIEMONTE

Lungometraggi



L'uomo privato
Italia, 2007, 35mm, 100', Colore


Regia
Emidio Greco

Soggetto
Emidio Greco

Sceneggiatura
Emidio Greco

Fotografia
Gherardo Gossi

Operatore
Luciano Federici

Musica originale
Luis Enrìquez Bacalov

Suono
Fulgenzio Ceccon

Montaggio
Bruno Sarandrea

Scenografia
Marcello Di Carlo

Costumi
Elena Del Guerra

Aiuto regia
Alessandro Greco

Interpreti
Tommaso Ragno (l’Uomo Privato), Myriam Catania (Silvia), Giulio Pampiglione (ragazzo suicida), Mia Benedetta (donna bruna), Ennio Coltorti (Commissario), Mariangela D'Abbraccio (Carlotta), Vanessa Gravina (giornalista), Vanni Materassi (il padre), Catherine Spaak (ex amante), Simona Nasi (prima donna casa Carlotta), Ettore Belmondo (ispettore Moretti), Mario Brusa (uomo del Consiglio di Amministrazione), Emanuele Caiati (studente), Gianni Bissaca (ingegnere), Oxana Kres (ragazza convegno)

Casting
Rita Forzano

Produzione
Enzo Porcelli per Achab Film

Distribuzione
Istituto Luce

Note
Collaborazione alla sceneggiatura: Paolo Breccia, Lorenzo Greco; fotografo di scena: Umberto Montiroli; suono in presa diretta; montaggio del suono: Angelo Mignogna; mixer: Alberto Doni; assistente al montaggio: Cecilia Catalucci; supervisione alla scenografia: Andrea Crisanti; supervisione ai costumi: Piero Tosi; altri interpreti: Luciano Caratto (giornalista), Aldo Delaude (uomo casa Carlotta), Clara Droetto (domestica), Massimo Franceschi (marito di Carlotta), Irene Ivaldi (donna  al ristorante), Sato Maki (relatrice giapponese), Xia Mizen (relatrice cinese), Monica Porcellato (seconda donna casa Carlotta), Guido Quintozzi (bidello dell’Università), Alessandra Raichi (un'amante), Carlo Vitale (scrittore), Giorgia Wurth (commessa); organizzatore generale: Stefano Benappi; collaborazione alla produzione: Rai Cinema e Ripley’s Film.
 
Film realizzato con il contributo del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e il sostegno di Film Commission Torino Piemonte.




Sinossi
«Il protagonista è un professore universitario di Diritto, un quarantenne affascinante,
intelligente, ironico, socialmente e professionalmente molto affermato. Non sorprende
che sia corteggiato dalle donne, verso le quali mostra un’accorta disponibilità. Ma da
subito ci appare anche come un personaggio chiuso in sé, rinserrato nelle sue
condizioni di “privilegio”, vissute e usate come uno schermo difensivo frapposto tra sé e
la “ volgarità e insensatezza della realtà”, verso la quale ha un atteggiamento di totale e
aristocratico rifiuto. Il protagonista vive al riparo nella torre d’avorio che si è costruita e sembra che nulla potrà mai violarne le difese. Per preservare questo acceso individualismo, non esita a reprimere i propri sentimenti e sacrificare quelli degli altri. Fino a troncare, senza una ragione plausibile, la relazione che ha con Silvia, una giovane donna disperatamente innamorata di lui. Ma il destino s’incarica di incrinare il perfetto sistema di regole messo a salvaguardia della sua vita: nelle tasche di un giovane suicida - che si scopre essere un suo assiduo studente - la polizia trova un foglio di carta con il nome e il telefono del nostro protagonista. A partire da questo momento, niente sarà più come prima. La vicenda vira verso il giallo, ed è comprensibile che il racconto si fermi qui. Ciò che conta è che la realtà, tenuta accuratamente a distanza, infiltratasi accidentalmente nella vita del protagonista, ora la invade completamente e la stravolge» (dalla Cartella Stampa della Produzione).




Dichiarazioni
«C’è un personaggio – L’uomo privato si chiama il film – che è il protagonista del film: un uomo di successo, dovremmo dire, nel senso che è affermato nella sua professione, è accettato e stimato dalla società che lui frequenta, è di bell’aspetto, e quindi e’ un oggetto di desiderio. Il nostro personaggio pensa, spera, desidera che ci siano delle condizioni che lo preservino dalla realtà, cioè poste tra sé e la realtà. Realtà che evidentemente non ama molto. Vive in questa illusione, mi viene da dire, finché però la realtà non viene incaricata di farlo inciampare in qualche cosa che lo cambierà. Quello che succede al personaggio succede essenzialmente dentro di sé: insomma, è un risvolto di natura morale, etica. Questa è un po’, in forma di metafora, la storia del film» (E. Greco, www.fctp.it).
 
«Mi sono chiesto se tanti elementi, rispetto alla svolta narrativa che c’è nel film, non fossero legati a qualcosa che in fondo tutti noi conosciamo, cioè la voglia di essere sicuri di noi, perchè magari siamo indifferenti a quello che ci sta intorno e che non ci piace, oppure perché preferiamo ignorare le cose che accadono perché non vengano a turbare un nostro equilibrio. Un bel giorno al personaggio arriva uno dei suoi studenti dell’università, che lui manco conosce, manco guarda, con una sorta di dossier su di lui, che si chiama “l’uomo privato» (T. Ragno, www.Cineuropa.net).





«L’insopportabilità del mondo è uno dei segni di grave depressione, ma il protagonista de L’uomo privato di Emidio greco non è malato. È vittima di un fenomeno sempre più esteso, che dagli artisti e dagli intellettuali si va ampliando alla gente comune: il disprezzo, la nausea per l’Italia cialtrona, ladra, volgare nella quale viviamo. [...] L’uomo privato affronta un problema contemporaneo specialmente irrimediabile in profondità e serietà, senza espressioni superficiali ma con intuito intelligente. In più, con una bellissima regìa e una efficacia visiva che è insieme elegante e rara» (L. Tornabuoni, “La Stampa”, 2.11.2007).
 
«Seviziato da troppe amanti, iperangosciate o logorroiche, e annoiato dal successo, un prof universitario quarantenne (Tommaso Ragno, inquietante nella sua recitazione “a levare pressoché tutto”), sorta di Sgarbi, se non fosse anche oggetto d'attrazione dei suoi studenti in diritto, oltre che di vip, ingioiellate rifatte, yes men e di un misterioso persecutore invisibile, scopre, grazie altri due brividi (quasi un avviso di garanzia e un intoppo professionale) quanto sarebbe inebriante la vita, se non del perdente, almeno in un noir. E che forse sarebbe meglio la fuga e l'approdo in un altrove snodato, rivoluzionando i proprii sistemi pulsionali. Strana l'autocritica, anche se il tono è sabaudo, di un autorevole cineasta old fashion che non ne può più delle proprie ossessioni e piaceri ritmico-ottico-sentimentali, e chiede a chi fa e vede cinema, di aprir finestre, far entrare aria nuova e leggerezza, per contrastare i drammi rosa schiocchi parrocchialmente doc, almeno con un individualismo celibe ed anarchico. La pesantezza non dell'essere ma del set, della città come corpo contundente però si oppone alle capriole formali promesse da L'uomo privato. Certo, questa di Emidio Greco è ancora una storia metropolitana sulla privacy impossibile» (R. Silvestri, “il manifesto”, 27.10.2007)
 
«Non è un’da sbagliata, quella di Greco: raccontare attraverso la stucchevolezza di monologhi e dialoghi volutamente (?) aberranti l’(ipotetica) alta società contemporanea, mondo con cui il protagonista è ogni giorno in contatto, mantenendo con essa rapporti di favore, al limite della “corruzione” ideologica. A non funzionare, e parecchio, oltre ad interpretazioni monolitiche (vedi Catherine Spaak), è purtroppo la volontà di tenere invariate le coordinate ritmiche del racconto, anche in seguito alla virata verso il giallo: immobile masso che il presunto, nuovo atteggiamento dell’uomo privato non sposta di un millimetro» (V. Sammarco, “Rivista del Cinematografo” n. 11, novembre 2007).
 
«Film colto e intorcinato, punteggiato da musiche di Mozart, Schubert (e Bacalov), tremendamente d'autore, che il regista di Una storia semplice ha custodito nel cassetto per qualche anno, ritoccandone periodicamente il copione. Dice: “Detesto l'autobiografia. Parlerei semmai di autobiografia fantasticata, ma certo l'investimento esistenziale è piuttosto forte”. In effetti, sia pure nella differenza d'età, un fil rouge lega il brusco Greco al professore di Diritto incarnato da Tommaso Ragno.
Greco teorizza che “la struttura del film è totalmente insolita, non solo nel cinema italiano”, che “al rapporto meccanico di causa-effetto preferisce il solletico dell'intelligenza”, più gratificante per lo spettatore» (M. Anselmi, “il Giornale”, 25.10.2007).

«Si direbbe che, nel realizzare L'uomo privato, Emidio Greco avesse in mente L'anno scorso a Marienbad. Diversamente dal film di Resnais e Robbe-Grillet, però, questo intende produrre un senso oltre il puro sguardo; salvo che non capisci bene quale. Sia la pista del mystery, sia quella introspettiva si perdono in un finale enigmatico che lascia un po' il tempo che trova. Non aiutano la recitazione del cast femminile né la performance di Tommaso Ragno, costretto a stare in posa anche quando fuma» (R. Nepoti, “la Repubblica”, 25.10.2007).

«Emidio Greco ha fatto, semplicemente, un brutto film. Càpita. Attenzione: brutto, ma riuscito. Nel senso che siamo certi che il regista di Ehrengard e del Consiglio d'Egitto voleva fare esattamente ciò che ha fatto. Il problema, quindi, non è che il film sia “venuto male”; il problema è la scelta a monte di raccontare l'Italia con un tono metafisico, quasi alla Bu?uel, scrivendo interminabili dialoghi nei quali non si capisce mai, letteralmente mai, chi siano i personaggi e di cosa stiano parlando. Tutto funziona per allusione [...] La finzione è esplicita: ma il risultato è che tutto sembra tragicamente finto, i personaggi non hanno carne e il protagonista, l'uomo privato del titolo, non affascina neanche un po', è solo un odioso simulacro del potere. [...] Il film è visivamente bello (ottima la fotografia di Gherardo Gossi) ma gelido come un trattato di politologia» (A. Crespi, “l'Unità”, 25.10.2007).

«Divide Emidio Greco. E il suo cinema invisibile, sofisticato, fatto spesso di estrema ricercatezza formale, provoca al tempo stesso fascino e repulsione. Innegabile la ricerca, contestabilissimo – per alcuni – il risultato, nonostante ogni scelta nei suoi film non appaia casuale, ogni aspetto sia curato con estremo calcolo, si lavori con lima e bilancino per dosare e al tempo stesso osare, anche a costo di imboccare vie di non facile ritorno. Anche L’uomo privato, come gli ultimi lavori di Greco (ad esempio Il consiglio d'Egitto, 2002), sceglie di combinare l’autorialità con la rivisitazione del giallo, un richiamo al genere che quasi sempre, e talvolta discutibilmente, si risolve in un pretesto, un amo gettato verso una narrazione che così risulta scandita da codici più facilmente riconoscibili e assimilabili; in quest’ultimo caso, però, più che una premessa, la trama blandamente thrilling è un’improvvisa e non del tutto gradita irruzione, secondo l’usuale strategico gioco di trame e sottotrame, in una serie di veri e propri tableaux che, specie nella prima parte del film, procurano di (rap)presentarci a dovere il protagonista, un professore di diritto. Ritratto impietoso di una vita piatta, attenta alla facciata, limitata, apparentemente sicura di sé, così centrifuga da escludere con estrema naturalezza quanto la circonda; a tratti, perché no, persino ridicola. [...] Gelido: quasi lascia indifferenti L’uomo privato, sortendo così la pellicola lo stesso effetto che la vita ha sul protagonista. [...] Greco asseconda gli umori del suo personaggio con un stile che predilige la dilatazione, ottemperata ossessivamente ai diversi livelli formali. L’uso dei cosiddetti "tempi morti", spesso oculato ed efficace, si dispiega sia nella molteplicità dei punti di vista sulla scena offerti allo spettatore, espressione massima di quella cura nella composizione dell’inquadratura che è stata riconosciuta come uno dei meriti precipui del regista, sia nella reiterazione di intere sequenze nel corso del film (senza alterare più di tanto il punto di vista: è il caso delle sequenze che vengono reintrodotte allorché si scopre sono state filmate di nascosto dall’allievo, solo in parte ci si dedica a mostrare la reazione del professore mentre per la maggior parte del tempo si rivedono le scene già viste in un riquadro – quello del computer – e in un formato – quello digitale consumer – diversi). [...] Il rischio che questo gioco intellettuale si traduca in vacua prolissità è più volte sfiorato, allorché si aggiungono dialoghi ampollosi e personaggi affetti da logorrea, come quello che domina una delle scene iniziali, la giornalista interpretata da Vanessa Gravina, esempio lampante, fra l’altro, di una direzione degli attori non sempre pari al lavoro fatto sugli altri versanti dalla regia. Didascalico il finale, fatto di spicciolo simbolismo, all’altezza forse di quelle parti del film che appaiono meno convincenti e più scontate, ovvero quelle dedicate all’indagine sul presunto suicidio» (A. Barone, “Cinemavvenire”, 6.11.2007).




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