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ENCICLOPEDIA DEL CINEMA IN PIEMONTE

Lungometraggi



Frontiere
Italia, 1934, 35mm, 65', B/N


Regia
Cesare Meano

Soggetto
Cesare Meano

Sceneggiatura
Cesare Meano, Corrado d’Errico

Fotografia
Giovanni Vitrotti

Musica originale
Egidio Storaci

Montaggio
Cesare Meano

Scenografia
Natale Steffenino

Aiuto regia
Felice Minotti

Interpreti
Gino Cervi, Egisto Olivieri, Rina Franchetti, Esperia Sperani, Umberto Mozzato, Amilcare Pettinelli, Luigi Pralavorio, Felice Minotti, Ernesto Corsari

Direttore di produzione
Mario Carafoli

Produzione
Est Film

Note
Nulla Osta n. 28.558 del 31.10.1934.
 
Organizzazione generale: Natale Steffenino.
 
Girato a Torino, nello stabilimento della Leonardo Film.
 
Il film  ha avuto scarsa circolazione, praticamente solo in  sale minori.




Sinossi
Abbiamo scarsissime informazioni sulla vicenda narrata nel film. Protagoniste erano alcune persone ricoverate in un ospizio di carità.




Dichiarazioni
«[...] sono contento che Cervi si sia ricordato del suo battesimo cinematografico del 1934, e anche di me, che fui allora suo padrino, a abbia cominciato quel ricordo, l’aiuto di Adriano Baracco,ai  lettori di Film. Effettivamente, la scoperta cinematografica di Gino Cervi è un mio merito sconosciuto e un mio vanto sincero. Le sorti del cinema italiano, in quell’anno, erano oscure, e oscurissime furono quelle del mio film Frontiere. Girato alla garibaldina, in un capannone del vecchio muto torinese (la Fert non aveva ancora attrezzato modernamente i suoi stabilimenti) con una scarsità di mezzi evangelica, richiese dai  sui cooperatori uno sforzo che soltanto il più caro entusiasmo poté permettere: e si trattava di attori eccellenti, quali, appunto, Gino Cervi [...] Olivieri vestiva l’uniforme  di ricoverato dell’Ospizio di Carità e si frammischiava ai ricoverati veri (altri sta ora girando  in quel celebre ospizio torinese che noi per primi violammo) Gino Cervi lasciava a mezzanotte il Teatro Alfieri, ove recitava con la Maltagliati e con Tofano. Correva in automobile fino alla campagna intorno al capannone dell’antica Leonardo Film. E là giravamo scene notturne di strada, di autocarri, ecc. Ricordi, caro Cervi, quant’erano fredde quelle notti del febbraio torinese? I canti dei galli ci sorprendevano al lavoro, un  po’ rattrappiti, ma allegri. E tu tornavi a all’albergo (incurante del sonno di tua moglie), cantando “Salve dimora casta e pura”» (C. Meano, “Film”, 13.6.1942).





«Nel 1934 Gino [Cervi] è già uno dei più noti attori Italiani. Il teatro, che non aveva mai preso sul serio, l’ha reso celebre. Ed è allora che un commediografo gli fa una proposta. Io devo dirigere un film – gli dice – Vuoi esserne il protagonista? – E va bene, facciamo questo film. Il commediografo in questione è Cesare Meano. Conosciamo e apprezziamo tutto, di Meano, ma del film Frontiere, non sapevamo proprio nulla. Ed anche Gino Cervi, che ne fu interprete, ne sa ben poco, perchè vi lavorò ma non lo vide mai proiettato. Forse nessuno, tranne Cesare Meano, vide proiettato quel film» (A. Baracco, “Film”, 30.5.1943).
 
«Frontiere è nato a un tavolo di redazione, da un incontro di due giornalisti tentati da quella difficile e pericolosa avventura che può essere la creazione di un film. È nato in un’atmosfera di bell’entusiamo, di calorosa fiducia, di non banali propositi. Sono state queste fra le energie  maggiori del Meano e del Carafoli, rispettivamente regista e direttore di produzione del film. Nuovi entrambi ai teatri di posa; forse spettatori attenti ed esigenti di parecchie prime visioni; soliti a risolvere i loro problemi espressivi o di mestiere con la stilografica (il Meano  è anche autore di commedie, romanzi, e di versi); ignari della tecnica cinematografica, delle sue insidie infinite: si sono buttati nell’impresa con un ardore giovanile, degno veramente di ogni simpatia. Oggi si può vedere il frutto delle loro fatiche: un film che ha un’innegabile nobiltà d’impostazione, un’accuratezza d’episodio  e d’incastro; alcune ingenuità; e parecchie prolisse oscurità. Non staremo a raccontare minutamente la semplice vicenda; il film suggerisce piuttosto alcune considerazioni  che serviranno a definirlo nella sua giusta luce. Nei recenti tentativi di giovani pretende infatti un posticino per sé, con la sua tonalità quasi inconfondibile. Non è il film del cosiddetto cineasta alle prime armi, che di solito si sfoga in agilità e civetterie di montaggio; non è l’opera di chi provenga dalle arti figurative e abbia piantato lo schermo su di un cavalletto o su un treppiede ideali, e vi ricerchi composizioni di quadro o effetti plastici addirittura; e non è neppure il pacco di bobine di chi per quello si sia buttato allo sbaraglio, fin troppo sicuro di guadagnarci milioni e miliardi. Frontiere è, tipicamente, il film viziato di letteratura. Di una letteratura morbida e un po’ nebulosa, dolce e dolciastra di commozioni, amante d’allusioni in sordina, accorata di malinconie non sempre legittime;  e questa letteratura vi è tanto più evidente perché il linguaggio cinematografico qui non appare con le sue doti fondamentali di ritmo d’immagini, ma chiede in prestito le sue cadenze al racconto più o meno crepuscolare. Episodi e scorci che, inquadrati nel fluire di alcune pagine, potrebbero acquistare una loro luce e un loro timbro, qui appaiono in una trasposizione assai singolare, dove sovente ci si incontra con ciò che cinematograficamente dovrà considerarsi inespresso; e il film procede così per appunti, spesso per notazioni marginali, dove molte volte il dialogato fa da padrone, e vorrebbe da tono all’immagine» (M. Gromo, “La Stampa”, 1.6.1935).


Scheda a cura di
Valeria Borello

Persone / Istituzioni
Cesare Meano
Giovanni Vitrotti
Gino Cervi
Umberto Mozzato
Felice Minotti


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