Nulla Osta n. 1.512 del 1.12.1913
Prime proiezioni all’estero e metraggio: Francia 28.11.1913 (747 metri); Spagna novembre 1913 (768 metri); Stati Uniti 24.3.1914, in 3 parti
«Due graziose e divertenti riduzioni sono i due films della Casa Ambrosio. Curatissimi nei particolari, sono il risultato di un lavoro cosciente e preciso. Il pubblico di Roma ha accolto con viva simpatia le due produzioni, che attraverso l’obbiettivo fotografico acquistano forse una maggiore comicità. Bella la messa in scena, buona sotto ogni rapporto l’esecuzione. Rodolfi è apparso un “Figaro” ideale pieno di sobria vivacità e di elegante furberia. La Morano, attrice di una grazia e sagacità non comuni, ha creato i due personaggi di Rosina e di Susanna con una verve ed una civetteria graziosissima. L’attore che sostiene la parte di Don Bartolo è superiore ad ogni elogio. Lo Stefani è un bel Conte di Almaviva, signorilmente comico. Don Basilio è forse un po’ meno felice, anche perché il carattere del personaggio è molto deformato dalla riduzione.
Per effetto teatrale sarebbe stato opportuno conservare ai due conosciutissimi lavori la stessa trama qual è nelle rispettive commedie. Chi fa il confronto per esempio fra l’opera e la cinematografia del Barbiere trova molte cose diverse, e questo potrebbe forse non piacere. Ma ad ogni modo entrambi i films meritano ogni successo, per la magnifica esecuzione, per la fedele ricostruzione dei quadri e per la bellissima fotografia» (“La Cinefono & La Rivista Fono Cinematografica”, a. VII, n. 259, 22.11.1913).
«Questa ricostruzione fotografica, non c’è che dire, diverte: diverte il soggetto denso di situazioni comiche, nelle quali primeggia e vince sempre, la furberia di Figaro e a spese di tutti. A spese di Don Bartolo, il prototipo dei tutori burlati. Di Don Basilio, il tipo classico del calunniatore, e un po’ anche del Conte D’Almaviva, dalle gradi arie. Dunque, commedie buone, ben giocate = films riuscite. E intendo parlare soltanto di loro, indipendentemente affatto dal soggetto e dal valore della pellicola. Tant’è vero che se queste due produzioni si chiamassero con altro titolo, potrei francamente e dire che gli esecutori furono assai efficaci. Ma pur troppo si tratta assolutamente di Figaro, di Don Bartolo e di Don Basilio che tutto il mondo conosce perfettamente e li conosce così, come il Beaumarchais li ha scolpiti e come la scena da secoli ce li ha tramandati. Ed è così che conviene riprodurli ancor oggi nella scena o nel cinematografo, e che converrà riprodurveli domani in qualunque altra forma d’arte si presentino. Ed ogni deviazione è uno sbaglio, ogni modificazione un errore, ogni mutamento, una profanazione. Dal vestito alla posa, dal gesto alla parola, tutto dev’essere riprodotto integralmente. In questi lavori la virtuosità consiste solo nella integrità della riproduzioni, e non nella varietà e personalità che l’attore vi mette. Io ho molto rispetto per l’arte del sig. Rodolfi, ed egli sa come non gli abbia certamente lesinata la lode ogni qualvolta ho visto l’arte sua signorilmente profusa specie in certi lavori suoi, pieni di sapore goldoniano. Il Vaser è pure un attore comico di valore; e lo Scalpellini ha già in arte un buon nome, ma non posso convenire interamente coi loro criteri che non sono quelli che finora la storia ci ha tramandati sulla interpretazione di questo genere di lavori. È inutile: Una tragedia di Alfieri non si recita come un dramma di Marco Praga, né una commedia di Goldoni come una commedia di Renato Simoni. V’è una interpretazione, un sistema di recitazione tutto speciale per certi lavori, così, come v’è un modo speciale, per riprodurre certi personaggi. Ho assistito a Le Nozze di Figaro – data da una primaria compagnia drammatica, la compagnia Reiter, e ho visto scrupolosamente osservati, anche da questa compagnia, quei concetti ai quali si sono informati tutti gli esecutori passati e presenti, tutti gli interpreti più efficaci di queste creazioni dal genio o della fantasia popolare. Figaro è più una maschera che tipo. Tipo è invece Don Basilio, mentre Don Bartolo è un carattere. Figaro è un’espressione limitata a quel tempo e a quelle circostanze. [...] La riproduzione d’un tal personaggio non è certamente delle più facili, e quella data dal Rodolfi offre il fianco, nel suo insieme a parecchie lodi, e dico che il Rodolfi ci ha dato un Figaro slanciato ed elegante. Il Vaser, è comicissimo nelle vesti di Don Basilio, e diverte immensamente il pubblico, che accoglie ogni sua apparizione sullo schermo con una risata. Non si può esigere di più. In quanto al tenebroso calunniatore di Salamanca, quello ce lo riprodurrà in un’altra occasione. Per questa volta ci ha fatto vedere la toga. Se non ho visto male, lo Scalpellini non mi è sembrato troppo in carattere. La visuale viziata dal vedere in Don Bartolo, sempre un buffo da opera comica, può far deviare la giusta linea critica, tuttavia non m’è sembrato di quei babbioni che si fanno infinocchiare. [...] Ciò che assolutamente non v’ha, è la cerimonia dello sposalizio di Figaro, celebrante Don Basilio in paludamenti sacri. Eh! no. Quello non va, per ragioni che credo prudente non citare. D’altronde si noti che Don Basilio era dottore in lettere e filosofia: professore di musica, era tutto quello che vi pare, ma non era prete» (“ll Maggese Cinematografico”, a. II, n. 1, 10.1.1914).