Regia Roberto Faenza
Soggetto Roberto Faenza, dal romanzo omonimo di Elena Ferrante
Sceneggiatura Roberto Faenza
Fotografia Maurizio Calvesi
Operatore Alessandro Gentili
Musica originale Goran Bregovic
Suono Mario Dallimonti
Montaggio Massimo Fiocchi
Effetti speciali Stefano Marinoni
Scenografia Davide Bassan
Costumi Alfonsina Lettieri
Trucco Esmè Sciaroni
Aiuto regia Gaia Gorrini
Interpreti Margherita Buy (Olga), Luca Zingaretti (Mario), Goran Bregovic (Damian), Alessia Goria (Poverella), Gea Lionello (Lea), Gaia Bermani Amaral (Carla), Simone Della Croce (Gianni), Sara Santostasi (Ilaria), Fausto Maria Sciarappa (Franco), Dina Braschi, Paolo Coruzzi, Alessandro Cremona, Salvatore Rizzo, Loredana Sileo, Roberto Accornero
Casting Gianfranco Cazzola
Direttore di produzione Mandella Quilici
Ispettore di produzione Andrea Tavani
Produttore esecutivo Elda Ferri
Produzione Elda Ferri per Medusa Film, Jean Vigo Italia
Distribuzione Medusa
Note 2630 metri.
Collaborazione alla sceneggiatura: Gianni Arduini, Cristiana Del Bello, Diego De Silva, Dino Gentili, Filippo Gentili, Lella Ravasi, Anna Redi; assistente operatore: Emanuele Leurini; canzone originale: Carmen Consoli, Goran Bregovic (I giorni dell’abbandono); orchestrazione: Nikola Miljkovic; suono in presa diretta Dolby SR; montaggio del suono: Marzia Cordò; microfonista: Andrea Dallimonti; assistente al montaggio: Francesco Bilotti; mixage: Danilo Moroni; parrucchiere: Italo Di Pinto, assistente alla regia: Valerio Valente; altri interpreti: Elisabetta Acella, Giovanna Cavallo, Emanuele Ostuni, Emese Piozzi, Maria Grazia Solano, Silvana Ugrotto; fonico di doppiaggio: Fabrizio Salustri; doppiaggio: Time Out Cinematografica; direttore di produzione: Mandella Quilici; amministratore: Giulio Cestori; organizzatore generale: Olivia Sleiter; location manager: Giorgio Turletti, Emanuele Perotti; supervisore post produzione: Franco Casellato; collabrazione alla produzione: Sky.
Film realizzato con il contributo del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Direzione Cinema, con il Patrocinio della Città di Torino e la collaborazione della Film Commission Torino Piemonte.
Locations: Torino (piazza Castello, via Roma, piazza Vittorio, parco del Valentino, via San Massimo, via Bligny, Porta Palazzo, viale Virgilio, piazza Cavour, via Verdi, via fratelli Calandra, via Po, via Provana, via Treviso, via Cervino). Teatri di posa: Lumiq Studios, Torino.
Premi: Globo d'Oro 2006 per la Miglior Sceneggiatura.
Sinossi
Olga, trentacinquenne con due figli, dopo dieci anni di matrimonio viene improvvisamente lasciata dal marito che non le dà alcuna spiegazione (ma, come la moglie stessa scoprirà, si è innamorato di una ragazzina). L’abbandono provoca nella donna umiliazione, depressione, disperazione: trascura i figli, diventa aggressiva, fa male il suo lavoro di traduttrice, beve, piange, litiga, si colpevolizza, sembra perdere la propria identità. Infine Olga inizia a riprendersi grazie all'incontro con un musicista suo vicino di casa.
Dichiarazioni
«Si fanno molti convegni oggi su cinema e letteratura ma, benché spesso utilizzi libri per i miei film, sono convinto che siano due linguaggi totalmente differenti. Come sempre [del libro della Ferrante] mi ha interessato il meccanismo del racconto, anche perché mi è parso che dietro la storia di questa moglie tradita ci sia una intelligente analisi della condizione dell’abbandono che sperimentiamo tutti: come figli, come genitori, come lavoratori, come innamorati. Anche per questo, io che sono un torinese fuggito da Torino, ho voluto girare il mio film proprio a Torino. […] la vicenda della città di Torino è speculare a quella della protagonista del film. Negli anni Sessanta Torino era una città grigia, oppressiva, soffocante, dominata dal gigantismo della Fiat: la odiavo. Adesso che l’industria automobilistica è entrata in crisi, dopo un momento di smarrimento, Torino è uscita dal letargo ed è nata a nuova vita. È festiva, creativa, vivace. Le Olimpiadi invernali l’hanno costretta a un totale rinnovamento urbanistico: di tutte le città italiane mi pare la sola che guardi al futuro» (R. Faenza, “La Stampa” 25.8.2005).
La discesa nell’abisso di una profonda crisi e la risalita verso il recupero della propria dignità di una trentacinquenne della borghesia torinese non ha incontrato un pieno e indiscusso successo né presso la critica, né presso il pubblico. I detrattori della pellicola di Roberto Faenza, regista torinese in passato molto attivo sul fronte del cinema militante, sostengono che il film riproduca soltanto in modo superficiale e “spettacolare” gli stati d’animo della protagonista: «a forza di freddezza, di oggettività, di distacco, non riusciamo a entrare davvero nel corpo e nella mente di questa donna così educata (anzi repressa) da sembrare anacronistica», scrive ad esempio Fabio Ferzetti (“Il Messaggero”, 7.9.2005).
Inoltre risulterebbero incongrui e non significativi, secondo alcuni critici, elementi simbolici quali il ramarro scoperto nella stanza dei bambini ed una enigmatica donna senzatetto la quale è l’osservatrice silenziosa che vive in un giardino proprio davanti alla casa di Olga nel centro di Torino. Forse invece i momenti onirici, irrazionali, inverosimili quali l’apparizione del cane tra i piedi degli orchestranti, il già citato ramarro, gli sguardi della mendicante dickensiana, alcune improbabili battute dei bambini costituiscono gli ironici momenti della messa in scena di una vicenda che altrimenti rischierebbe di apparire banale e priva di alcun interesse. Infatti trasportare «sullo schermo un romanzo a focalizzazione interna come quello della Ferrante è già un’impresa kamikaze, che Faenza riesce generosamente a controllare virando sull’analisi fenomenologica, sul racconto di una deriva psichica e percettiva» (C. Altinier, “Cineforum” n. 449, 2005).
Secondo Lietta Tornabuoni, invece, i pregi del film sono considerevoli: «I giorni dell’abbandono di Roberto Faenza racconta una vicenda usuale in uno stile straordinario, lontano, lucido, senza sentimentalismi che fa comprendere in profondità tutti i perché e che porta al massimo della bravura la protagonista Margherita Buy» (L. Tornabuoni, “La Stampa”, 7.9.2005).
In modo molto efficace il regista contrappone l’estrema naturalezza, la freddezza, la lucidità del marito che annuncia di voler lasciare la famiglia e lo sbigottimento della moglie che non riesce a darsi una spiegazione logica di quanto le sta accadendo. I due protagonisti sono all’altezza della situazione: Luca Zingaretti riesce a rendere credibile un personaggio antipatico, insensibile, crudele nella sua determinazione; Margherita Buy non recita in modo composto e trattenuto come le è consueto, ma esprime senza risparmio incertezza, dolore e paura, rabbia e aggressività. Ogni eccesso interpretativo non pare mai utilizzato dal regista in modo greve e manieristico, e il merito va soprattutto «alla libertà intelligentemente concessa a Margherita Buy di fare il film contro il film, di abbandonarsi ai flutti di un’amnesia temporanea; agli istanti in cui la vediamo dimenticarsi non di recitare ma di recitare in quel film, e in cui sembra girarne uno tutto suo» (C. Altinier, Op. cit.). Disorientato pare invece il musicista Goran Bregovic nei panni del vicino di casa innamorato di Olga: la sua dolce passività rischia di apparire un po’ troppo ridicola.
La città di Torino in cui la vicenda è ambientata non è un semplice sfondo, ma costituisce una costante presenza significativa: «le scenografie di Davide Bassan riflettono bene i gusti della neoborghesia contemporanea. Torino è vista come una bella città sconosciuta: le sue strade dritte accentuano il disordine e dolore amoroso della protagonista; la calma volgarità del marito e le esplosioni d’ira sboccata della moglie sono rese iconiche dalla fotografia di Maurizio Calvesi» (L. Tornabuoni, Op. cit.).
«Una densa storia d’amore, passione, sofferenza e rinasita viene generosamente offerta a Roberto Faenza dalla scrittrice Elena Ferrante, per quel connubio che lega spesso questo regista al mondo della letteratura. Ma offrire una densa, bellissima storia tutta femminile on significa realizzare un denso, bellissimo film. E non significa essere ingenerosi con gli autori (qui sono, ad esempio,addirittura otto i responsabili della sceneggiatura) quando si è costretti a confessare che le sofferenze per le debolezze strutturali e artistiche del film sorpassano di gran lunga quelle condivise per la storia di Olga, diventando le prime assai più immediate per lo spettatore. Si masticano dialoghi e si evocano immagini poco pertinenti al dramma della donna, che pure ha il volto di Margherita Buy e le sue doti d’attrice» (L. Pellegrini, “Rivista del Cinematografo” n. 10, ottobre 2005).
«Il film si presenta come il lavoro stilisticamente più complesso di questo regista. L'autore cerca di riprodurre il vuoto, le conseguenze di un amore che si trasforma in tormento, in clamoroso vuoto di senso per la protagonista, la trentacinquenne con due figli a carico interpretata con generosità da Margherita Buy. Faenza evita l'ironia, crede in quello che filma, e i protagonisti - tra cui un silenzioso Zingaretti che incarna perfettamente l'uomo non più innamorato di sua moglie - sorprendono per la naturalezza dell'identificazione con i personaggi. […] Il cinema di Faenza si conferma attratto una volta di più dai grandi conflitti dell'animo umano, nella dimensione di un racconto ora disteso e "letterario", ora sospinto da una maniera che non dimentica di essere discorso diretto con l'alterità. In altre parole il cinema di Faenza rappresenta un particolare punto di contatto tra le esigenze di una forma cinematografica "bella" e "pulita", talvolta sospinta da una venatura romantica, e l'attenzione appassionata ai temi del dialogo interiore» (R. Lasagna, “Segnocinema” n. 136, novembre-dicembre 2005).
Scheda a cura di Davide Larocca
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